Hezbollah, l'alibi di Assad

Hezbollah, l'alibi di Assad Hezbollah, l'alibi di Assad Damasco gioca la carta delle milizie reportage Fiamma Nirensteln KIRIAT SHMONE E' metafisico vedere una manifestazione contro il cielo, contro le bombe, con i pugni levati per aria, le lacrime di rabbia negli occhi, le bambine spaventate che si stringono alla mamma, i ragazzi sefarditi con l'orecchino che piangono davanti alle case distrutte e gridano «basta, facciamo la guerra! ». Nella cittadina di Kiriat Shmone, così ironicamente pacifica in mezzo ai pini della Galilea, questa è stata la reazione della gente all'attacco degli Hezbollah, appena temperata, giovedì dal senso di essere stati finalmente ascoltati quando Israele ha lanciato i suoi aerei contro il nemico con cui si batte in un corpo a corpo feroce quanto inestricabile da vent'anni. Il terzo attacco in poche settimane alla cittadina povera e ormai nevrastenica dove invano tra le case bucherellate dalle schegge, il sindaco fa piantare fiori aie sprofondano nelle buche create dalle bombe, è diventato un casus belli che non si sa come andrà a finire. Hanno dettato legge i cittadini provenienti per la maggior parte dai Paesi africani e asiatici, che escono per la strada disperati, in canottiera in mezzo alla notte, che si raggomitolano sotto gli alberi quando gli scoppi divengono terrificanti, che devono continuamente cancellare matrimoni, funerali, lezioni ed esami (ieri quello di maturità) perché ormai il calendario contempla solo la voce «bombardamenti». Il Capo di Sta¬ to Maggiore Shaul Mofaz nei giorni scorsi aveva protestato perché il governo Netanyahu, ormai agli sgoccioli in attesa del nuovo gabinetto di Ehud Barak, non dava il via all'esercito dopo ben tre attacchi in poche settimane. Niente da fare. La politica di Bibi, che sta mettendo nelle casse le carte del suo ufficio di primo ministro, era quella di non mettersi in ulteriori guai e di lasciare a Barak la patata bollente. Ma le urla di ieri pomeriggio al funerale di uno dei due uccisi, Shimon Elimelech, un nome tipicamente sefardita di un 43enne padre di quattro figli, esprimono nel modo più drammatico una paura, una rabbia, che non poteva essere trascurata: esse infatti sono per loro natura basilarmente popolari, e questo soprattutto per il luogo da cui provengono. Kiriat Shmone è infatti uno di quei luoghi di confine destinati ad essere la garitta di guardia del Paese, senza i quali Israele perde la sua storia e i suoi avamposti. Kiriat Shmone è stata più forte della opportunità politica, e così gli Hezbollah non hanno potuto approfittare interamente del periodo di interregno prima dell'avvento di un governo di sinistra che può distruggere la loro strate¬ gia, che è invece totalmente conflittuale. Tutti sanno che gli Hezbollah smetteranno di sparare solo il giorno in cui Assad di Siria dirà loro che è giunto il momento di deporre le armi. E, gioco perfettamente mediorientale, proprio il giorno avanti sul giornale arabo che esce a Londra, «Al Hayatt», Assad aveva chiamato Barak in un'intervista al suo biografo ufficiale Patrick Seale «un leader forte e onesto che vuole la pace». Un complimento inaudito, quasi incredibile da parte dell'irriducibile leader siriano, a cui Barak aveva risposto con altrettanta cortesia chiamando la Siria «il punto nodale della pace»; con questo, aveva conferito ad Assad quel ruolo centrale nelle dinamiche odierne che il rais siriano pretende da tempo per sé, senza riuscire ad ottenerlo. Due messaggi che dovrebbero costituire il tappeto verde per il prossimo gioco di pace che il nuovo premier israeliano si prepara a squadernare di fronte ad Assad. E il tappeto sembra intatto, poiché le dichiarazioni ufficiali di ieri da parte siriana accusano solo Netanyahu di tutti i mali del Libano. Barak non viene nominato. Gli Hezbollah da parte loro hanno probabilmente compiuto in queste settimane, con la loro pioggia di katiushe una forzatura politica per invitare sia i libanesi che i siriani a tener conto di loro anche nella prospettiva di pace. D'altra parte, per Assad non è male che Israele debba chiedergli come merce di scambio contro il Golan, che lui vorrebbe tutto intero, la cessazione delle ostilità dei guerriglieri. Ma, e altrimenti di nuovo, non saremmo in Medio Oriente, anche per Barak in definitiva aver dato una bella dimostrazione di forza e persino di spietata abilità militare prima di eventuali colloqui, anche se non è stato lui in prima persona ad ordinarla, non è certo un dispiacere. Quello che è certo è che in questa boxe fra le due parti c'è un tragico elemento di verità: questo non è un luogo dove le paci firmate su un pezzo di carta sono il riflesso di un clima pacificato e sereno. La serenità non è di questi luoghi. L'enigmatico e crudele Assad dovrà alla fine sedersi di fronte al duro Barak sapendo bene che non soltanto di terra si tratta ma di un odio che dai tempi della guerra del '78 è diventato sempre più acuto. Gli Hezbollaht dal Sud del Libano, sono ideològicamente determinati a combattere contro Israele e vedono in questo una ragione di vita per la loro stessa organizzazione. E gli israeliani non sono tipi che porgono l'altra guancia. Di questa pasta è fatto il gioco, e così bisogna giocarlo.

Luoghi citati: Israele, Libano, Londra, Medio Oriente, Siria