Morto per una fatale negligenza

Morto per una fatale negligenza Morto per una fatale negligenza L'italiano colpito da un mitra dimenticato Francesco Grlgnettl inviato a PEC E' morto per una involontaria raffica di fucile. Uno stupido incidente. Ma a ucciderlo è stata la paura e la tensione che si respirano nell'aria del Kosovo. Pasquale Dragano, 21 anni, bersagliere, è il primo soldato italiano che muore per riportare la pace in questa provincia martoriata. Un compito immane, che sta mettendo a dura prova i nervi e il fisico dei soldati, «I ragazzi stanno dando tutto da parecchi giorni - ammette il generale Mauro Del Vecchio, comandante della Brigata Garibaldi, molto provato umanamente da questa vicenda -, ma non penso che il fatto sia attribuibile alla stanchezza. La pattuglia stava tornando in servizio dopo un riposo di 12 ore». Forse questi ragazzi non erano stanchi. Ma sicuramente erano stressati. Da due settimane lavorano a ritmi pazzeschi, sempre in strada, con il perìcolo dietro a ogni angolo. Mangiano di frétta. Dormono brevi sonni agitati dagli incubi della morte. Ha raccontato un suo amico, Sebastiano Gravina, originario di un paese vicino a quello di Dragano, bersagliere nello stesso reggimento: «Pasquale qualche notte fa aveva fatto un sogno premonitore. Si era svegliato bagnato di sudore perché si era visto morto per una raffica che io colpiva alla spalla e alla faccia». E' andata proprio cosi. Come il bersagliere Pasquale Dragano aveva sognato. Sistemando la mitragliera del suo automezzo, in piedi su un predellino, ha urtato contro un fucile sistemato nella rastrelliera intema. E' partita una piccola raffica. Tre colpi che lo hanno raggiunto dal basso verso l'alto. Un proiettile gli è entrato nella testa. «In quel momento ha perso conoscenza e non l'ha più ripresa», dice il capitano medico Filippo Agosta, che per primo l'ha soccorso. Con lo stesso automezzo dove si trovava - si vede ancora il sangue sulla ruota posteriore sinistra e sul parafango - il ferito è stato portato in tutta fretta alla piazzola degli elicotteri. n medico intanto cercava di salvarlo, con trasfusioni di sangue e con l'ossigeno. Invano. Un ora dopo, nonostante il trasporto all'ospedale di Prìstina, Pasquale Dragano è morto per arresto cardiocircolatorio. Quel maledetto fucile, contro ogni regola, aveva il colpo in canna. Un errore imperdonabile che si può spiegare con una sola parola: paura. I soldati del contingente di pace sono molto provati da quello che vedono attorno a loro. Ma soprattutto si rendono conto che la situazione qui è davvero pericolosa. Notte e giorno sentono sparatorie, vedono case incendiate, affrontano a brutto muso gente armata, requisiscono fucili e pistole. Proprio ieri il colonnello Caricai, uno degli ufficiali del comando di Brigata, è andato di persona ad arrestare un guerrigliero con divisa nera dell'Uck che stava terrorizzando un'anziana donna serba con pistola e coltello proprio di fronte all'edificio dove ha sede la Brigata. Questo è il clima che si respira a Pec e dintorni. Un Far West dove gli italiani sono chiamati a mettere un minimo di ordine. E questo nostro intervento (specie per via della protezione alla minoranza serba) ha già scatenato diverse rappresaglie. Quelli di Djakovica sono stati finora i più colpiti da attentati. E forse qualcuno della pattuglia di Dragano si è sentito insicuro ad uscire di pattuglia dentro un automezzo Torpedo che è poco più di una camionetta scoperta con un telone sulla testa, due larghe piastre di acciaio sui fianchi e una mitragliera sul tetto. La pattuglia di Dragano aveva l'ordine di vigilare su una spettrale strada di Djakovica, di fronte a una casa bruciata di aerini Distri et, dove i serbi hanno commesso una delle loro peggiori atrocità. Proprio in questi giorni, in quella abitazione bruciata, stanno lavorando gli agenti speciali dell'Fbi per fissare le prove del crimine - venti tra donne e bambini albanesi bruciati con il lanciafiamme - che è tra quelli attribuiti alla responsabilità diretta di Slobo Milosevic. Ma un conto è lavorare di giorno con le telecamere alle costole, il nastro giallo «Crime site-off limits», un pubblico albanese plaudente. Altro è pattugliare il quartiere di notte, tra odi e vendette, con il cuore in gola, e sapendo che già diversi colleglli sono incappati in imboscate notturne e misteriose. I bersaglieri si preparavano a uscire, dunque, dopo 12 ore di riposo. Avevano di fronte una notte intera da trascorrere in strada, dalle 20 alle 8 del mattino dopo. Mancavano cinque minuti alla partenza. Nel piazzale della caserma di Djakovica stavano sistemando i mezzi. Il caponi! maggiore Dragano era alla mitragliera sul tetto dei veicolo. Gli altri ancora fuori dal mezzo a fumarsi l'ultima sigaretta. I fucili nella rastrelliera. E lì, a quel punto, è successo qualcosa di imprevisto. Un urto con lo scarpone. O una scivolata. La raffica. Stavano andando al lavoro. Perché di un lavoro si tratta per questi ventenni che hanno scelto la vita militare come professione. «Era un ottimo soldato, una grande perdita», dice il tenente colonnello Giovanni Fungo, che comanda il distaccamento. «Era un amico. Un atleta. Uno imbattibile sui 2000 metri», piange Giulio Pignatello. Caporale anche lui, originario del Foggiano. Come spesso accade sotto le armi, la vicinanza dei paesi cementa le amicizie. Pasquale Dragano aveva 21 anni e veniva da San Giovanni Rotondo, il paese di Padre Pio. Aveva cominciato come soldato li leva e aveva confermato la erma. Agli amici di camerata ìveva raccontato di avere a Cosenza, dove è di stanza il 18° Reggimento Bersaglieri, una fidanzata. Si chiama Marisa. Non l'aveva ancora presentata ai suoi genitori, ma era intenzionatissimo a farlo a fine missione. Borbottava spesso, in queste due settimane di missione, perché i telefonini non funzionano e le comunicazioni con casa sono limitate a tre minuti ogni due giorni. Lui doveva dividere le telefonate tra la famiglia e la fidanzata. Comunque, raccontano ancora gli amici, era partito contento per questa missione in Kosovo. Perché credeva nella vita militare. Ma soprattutto perché aveva vinto il concorso e sarebbe entrato presto nel servizio permanente. Era il suo sogno: bersagliere a vita. In fondo era anche invidiato dai suoi colleghi, quelli a cui mancano pochi mesi alla fine del periodo triennale di ferma e dopo la missione non sanno bene cosa fare. Sul contingente, intanto, è calato un clima di gelo. «Siamo profondamente rattristati. E' un fatto che ci addolora - dice il generale Del Vecchio - ma continueremo ad andare avanti». I carabinieri hanno sequestrato l'automezzo e il fucile. Per tutto il giorno hanno interrogato i componenti della pattuglia. E' stata informata la magistratura in Italia. E c'è nell'aria una denuncia per omicidio colposo nei confronti del militare che aveva lasciato l'arma con il colpo in canna. Il caporale ha urtato il fucile appoggiato a terra con il proiettile in canna ed è partita una raffica II generale Del Vecchio «I ragazzi sono sotto pressione ma non credo sia colpa della stanchezza»

Luoghi citati: Cosenza, Italia, Kosovo, San Giovanni Rotondo