Quando Craxi sfido i confederali di Pierluigi Battista

Quando Craxi sfido i confederali Quando Craxi sfido i confederali E Berlinguer rispose: attentato alla democrazia I il precedente Pierluigi Battista ANCHE allora, nel 1984, c'era Giuliano Amato in un ruolo cruciale di governo. E c'era anche, esattamente come oggi, un leader della sinistra a Palazzo Chigi disposto ad andare al braccio di ferro con il sindacato. Oggi, a differenza di allora, non c'è un sindacato spaccato a metà, non c'è un Pei a oltre il 30 per cento determinato a scatenare la guerra santa contro un decretolegge come quello siglato il giorno di San Valentino, non c'è una De partito di maggioranza relativa desideroso di fare lo sgambetto all'alleato-avversario socialista. Tante differenze. Ma anche tante somiglianze. E tante comuni preoccupazioni che lo show-down con il sindacato confederale possa incrementare 1'inétabilità, fomentare le tensioni sociali, mobilitare le piazze. E tuttavia la storia di come il decreto-legge fortissimamente voluto da Bettino Craxi per sterilizzare l'impatto della scala mobile sull'inflazione, anche a costo di andare alla rottura frontale con la componente comunista del sindacato e maggioritaria nella Cgil, è una storia istruttiva e ricca di chiaroscuri. Una storia che, sfogliando i giornali di allora, sembra partire in sordina, con i giornali che non danno il giorno del decreto uno spazio enorme alla notizia del taglio di tre punti {lercentuuli di scala mobile vouto dal governo presieduto da Craxi in sintonia con la Cisl di Pierre Camiti, la Uil di Giorgio Benvenuto e la componente socialista della Cgil guidata da Ottaviano Del Turco e contro la componente comunista della Cgil diretta da Luciano Lama. E invece, in pochissime ore, la polemica comincia a divampare: nella politica italiana si va rapidamente allo scontro frontale, il sindacato unitario va in frantumi, il mondo politico e sindacale viene scosso dal ciclone di una battaglia che si configurerà sempre più come un conflitto interno alla sinistra tra i socialisti di Craxi e i comunisti di Enrico Berlinguer. Tra il decisionismo socialista che manda al Paese il messaggio che si può e si deve governare anche sfidando il veto dei sindacati e la risposta comunista secondo cui la posta in palio è il principio: i.mza e contro» il Pei non si può governare. La controffensiva comunista, nei giorni successivi al 14 febbraio 1984, è durissima. Giorgio Napolitano bolla come «avventurista» la scelta di Craxi. Il Pei annuncia una «battaglia senza quartiere». Alfredo Reichlin contesta con veemenza l'«atto d'imperio dissennato» e minaccia «scontri molto aspri nel Parlamento e nel Paese». E pensare che soltanto poche ora prima una parte della Confindustrìa, allora diretta da Vittorio Merloni, aveva giudicato troppo timida e insufficiente hi mossa craxiana. Il direttivo confindustriale si era diviso con un voto 11 contro 5, Leopoldo Pirelli lamentava il fatto che «tre punti in meno di scala mobile non bastano a contenera il tasso di inflazione al 10 per cento: bisognava incidere più decisamente» e il presidente Merloni che, dopo aver apertamemte auspicato il braccio di ferro, verrà ricevuto a Palazzo Chigi e convinto a deporre l'ascia di guerra proprio da Giuliano Amato, sottosegretario alla presidenza del Consiglio. Nel sindacato scoppia invece la burrasca. Luciano Lama, dopo tanto tempo in sintonia con Bruno Trentm, si sveste per qualche giorno del suo abito di dirigente moderato per contrastare un decreto che «ferisce prerogative fondamentali del sindacato» e «interpretare lo stato d'animo diffuso tra i lavoratori». «Lo stato d'animo», come lo definisce Lama, è una febbre contagiosa di scioperi improvvisi, di cortei, di ferrovie paralizzate, di blocchi stradali a Napoli e a Salerno, a Firenze e a Palermo. Lo «stato d'animo» produce una rottura traumatica tra le componenti sindacali, con la Cisl che allerta i suoi iscrìtti per rintuzzare quelle che definisce «azioni protestatarie» e i socialisti della Cgil che si dissociano da «certi atteggiamenti» invece approvati da Lama. E' l'antipasto della rottura formale, sancita solennemente da questa dichiarazione di Pierre Camiti: «La Federazione, come l'avevamo costruita 12 anni fa, è un'esperienza che ha esau¬ rito la sua capacità propulsiva». Si tratta di una dichiarazione che ricalca quasi alla lettera le parole (l'esaurimento della «fase propulsiva») con cui Berlinguer qualche anno prima aveva annunciato lo «strappo» con l'Unione Sovietica. Ma non è l'unica dichiarazione di rottura in quei tempi infuocati di divisione a sinistra. L'allora ministro del Lavoro Gianni De Michelis denuncia che durante le trattative i sindacalisti comunisti si sarebbero rivolti ai dirigenti della Confindustrìa esortandoli così: «non firmate, non aderite, vi daremo di più». I sindacalisti smenti¬ scono sdegnati e per il Pei Ugo PecchioU esprìme la rabbia per {'«infondata» provocazione di De Michelis. Ma è solo l'inizio della guerre, il capogruppo dei senatori comunisti Gerardo Chiaromonte tuona contro 1'«incostituzionalità del provvedimento» e annuncia lotta durissima in Parlamento visto che il decreto di San Valentino deve essere approvato in 30 giorni. In realtà nel Pei l'anima «migliorista» espressa da Napolitano e Chiaromonte è in subbuglio per la rottura incipiente con Craxi e si arriva addirittura sull'orlo dell'aperta polemica quando l'Unità allora diretta dal «migliorista» Emanuele Ma caluso sembra correggere un passaggio durissimo ili un discorso di Enrico Berlinguer in cui si denunciava nel decreto craxiano un «attentato a una delle libertà irrinunciabili dell'ordinamento democratico». Berlinguer aveva detto che «la permanenza del governo diventa sempre più rischiosa» ma sull'Unità appare l'espressione «diventerà rischiosa»: un'attenuazione declinata al futuro. Ma Berlinguer e Macaluso diranno che si era trattato di un banale equivoco. Craxi appariva col vento in poppa. Alcuni giorni dopo firma assieme al cardinal Casaroli, segretario di Stato vaticano, il nuovo Concordato. Il governo da lui presieduto vince la battaglia in Parlamento. E malgrado ì precoci innamoramenti per i sondaggi di un Piero Fassino che assicura come in «percentuali nettamente superiori al 50 per cento» gli italiani sarebbero stati contrari al decreto di San Valentino, il governo vincerà anche la battaglia referendaria del 1985 quando la maggioranza degli italiani si dirà m disaccordo ad abrogare la legge che aveva tolto poco più di venticinquemila lire dalla busta paga dei lavoratori. E pensare che nella primavera dell'84 imponenti manifestazioni sindacali avevano solcato le vie di Roma con l'Unità che intitolava a caratteri cubitali «Eccoci» e Berlinguer che veniva immortalato mentre sul lato della strada seguiva e applaudiva gli operai che sfilavano. E pensare che proprio pochi giorni dopo il decreto di San Valentino era sembrato che la De di Ciriaco De Mita fosse intenzionata a creare qualche problema a Craxi suggerendo un emendamento in cui si prometteva ai lavoratori dipendenti la restituzione dei soldi nel caso in cui «l'inflazione alla fine del 1984 fosse ancora superiore al 10 per cento». Quella battaglia, accanto a un Bettino Craxi sul punto di rafforzarsi enormemente nella sua leadership, lascerà molti feriti sul terreno. E oggi, per quanto la situazione sia per molti aspetti diversa, il rischio che altri feriti e altre lacerazioni possano rappresentare il prezzo di una rottura tra la sinistra di governo e la parte maggioritaria del sindacato. E se è vero che al posto di un grosso Pei c'è la pattuglia molto più esigua di Rifondazione, che il sindacato è meno diviso e non c'è nemmeno la minaccia di un'alleanza conflittuale con la De, è vero anche che, paradossalmente, il D'Alema che sfida il sindacato sulle pensioni rischia di assomigliare, più che al Craxi del decreto di San Valentino, al Berlusconi che a capo del governo decise nel 1994 di inserire il capitolo delle pensioni nella legge finanziaria. Chi l'avrebbe detto cinque anni fa? Cisl, Uil e socialisti Cgil con il governo contro la componente comunista diretta da Luciano Lama Il Pei scese in campo per una «battaglia senza quartiere» minacciando «scontri molto aspri»

Luoghi citati: Firenze, Napoli, Palermo, Roma, Salerno, Unione Sovietica