E «Victor» inventò la dolce vita di Igor Man

E «Victor» inventò la dolce vita Ricordo di ottono Tombolali, leggendario creatore del Café de Paris in Ma Veneto E «Victor» inventò la dolce vita Tra divi e scrittori, rese uniche le notti romane Igor Man EGrandi Vecchi se ne vanno, che guaio. Uno appresso all'altro, è una emorragia, sembra che abbiano fretta di lasciare questa terra senza pace. L'altro giorno Soldati, poi Victor: quanto lavoro per San Pietro. A Soldati, ogni tanto» qualche bestemmia robusta gli scappava, specie quando faceva il cinema. Non so quale film stesse girando nei Cinquanta ma ogni notte di queir estate veniva a sorbirsi una china nell'accogliente farmacia notturna di piazza San Silvestro, proprietà della dinastia teatrale Garinéi. «Stai prendendo una china pericolosa», gli disse una notte, in farmacia giustappunto, Ennio Flaiano e lui, Soldati, la prese brutta, quella battuta, e bestemmiò come un sergente degli alpini, regalandoci il gusto d'una buona risata. Erano «tempi fiduciosi», giusta la felice definizione di Carlo Laurenzi. «Bisogna aver vissuto a fondo nella Roma di allora per capire che cosa valesse esser convocati ed elogiati al Caffè Rosati, in Via Veneto (dai "vecchi maestri", da Branca ti a Barzini, da Montanelli a Sandro De Feo)» ha scrìtto Laurenzi in un suo elzeviro sul Giornale. Quella che ho già definito la Libera Università Mario Pannunzio, aveva eletto a sua sede il (mitico) Caffè Rosati diretto dal più garbato e discreto barman di quel tempo: Valenti| no, Insieme con (pochi) altri Riovani, ero ammesso a quei «corsi» che ci insegnavano a tradurre l'antifascismo in costume di vita, a scrìvere fattualmente ma non sciattamente. I docenti si chiamavano Luigi Barzini, Sandro De Feo, Vitaliano Brancati, Gian Gaspare Napolitano, Indro Monta- nelli, Vittorio Gorresio, Paolo Monelli, Franco Libonati e il goetbiano Giuseppe Saragat. Pannunzio era il Rettore, davvero magnifico, di quell'Università dove Flaiano faceva da «supplente» poiché i maestri giravano il mondo ovvero stavano sempre di più a Milano. Infine cominciammo anche noi, gli. studenti, a girare il mondo ma ogni volta che tornavamo a Roma correvamo all'Università, ansiosi di conoscere il «loro» giudizio. Sempre severo ma affettuosamente onesto: «Il primo pezzo era buono ancorché si vedesse che l'avevi dettalo a braccio - troppo colore, poche cifre troppi dati, poca atmosfera»: questo il riassunto dei giudizi che accoglievamo con rispetto, con gratitudine. (Non senza emozione). Ma non c'era, in Via Veneto, soltanto quell'appuntamento. Ce n'era un altro, più frivolo ma (forse) anch'esso importante. I giornali, allora, chiudevano tar- di, dopo la prima edizione, a mezzanotte, si metteva mano alla seconda, quella nazionale, sicché arrivavamo da Victor non prima delle 2 del mattino, se non addirittura alle 3. Victor era un night-bar, con un pianoforte sul quale strimpellavano personaggi come Renzo Nissim, Oscar de Mejo, eccetera. Era proprio alle spalle di Rosati e vi si beveva buon whisky, non rififi (truccato) come in altri locali. Victor si chiamava Vittorio Tombolini e faceva il barman sulla Costa Azzurra, finché, una volta diventato sicuro di se stesso, non decise di tornare in Italia, con la moglie Bianca. Madame Bianche per i clienti, Bianche per gli amici cari (pochi). Scelse Roma perché si celebrava il Giubileo, nel 1950. Fu subito assunto come direttore all'Open Gate, un locale «esclusivo», ma una volta messo da parte Yargent necessario, aprì il suo locale, sicuro di sfondare: «Perché servo roba ge¬ nuina, e non ammetto tipi da rissa», spiegava. E infatti nel suo Victor non volò mai un bicchiere. Victor era piccolotto, proprio un tombolino, ma deciso: teneva sotto il banco una bottiglia piena d'acqua: la impugnò una volta sola, a mo' di clava, per calmare gli ardori di un divo americano: quello vide e capì, smettendo di fare il cascamorto. Con Ava Gardner, figurarsi, che proprio allora cominciava a flirtare con Walter Chiari ed erano botte da orbi (finte) quando Walter e Ava uscivano dal locale e l'immenso Tazio Secchiaroli e gli altri «paparazzi» cominciavano a cliccare. Ci sono passati tutti, da Victor, seguendolo, poi, al Café de Paris: il suo capolavoro poiché, con esso, nacque la Rive Gauche di Via Veneto. Quella della Dolce Vita che Fellini trasformò nel film (profetico) che conosciamo. Da Victor una sera vidi Lauren Bacali graffiare con studiata lentezza le guance di suo marito Humphrey Bogart, colpevole ai suoi magnifici occhi stellari di fare lo stupidino con una biondona che avrebbe, successivamente, vinto il titolo di Miss Europa. Di solito Pierino (Accolti), Mirko (Manzella) ed io arrivavamo da Victor verso le 3, salutati dal rituale «allabuonora» di Lello Beisani. Madame Bianche mi preparava un piatto di spaghetti, al dente, cui facevo seguire un sedano. La guardarobiera sarebbe diventata una buona attrice di prosa (recita tuttora), c'era un tipo allegro che chiamavamo «il maggiore» e non sapeva che tutti sapevano che lui fosse nei Servizi. Capitavano ogni tanto Giuseppe Berto, Peppino Amato con Gene Tiemey, Giancarlo Fusco sempre generoso di storie dissa- oranti. Fattosi crescere la barba, chissà poi perché, una sera Flaiano ce lo trovammo inopinatamente appoggiato al bancone. Ciao Ennio, che fai qui da Victor? Nessuna risposta. Ennio, ti abbiamo salutato. Silenzio. Alla terza volta, finalmente: «Scusatemi ragazzi, ma con questa barba che me cresciuta non vi avevo riconosciuto», disse. Che dolcezza quegli anni: ci si divertiva con nulla. Quando Victor chiudevo, all'alba, anche la Dolce Vita andava a dormii?. Ma prima raggiungevamo il Pincio per vedere il sole incendiare piano piano, con mille zolfanelli invisibili, la cupola di San Pietro. Poi, finirono gli anni fiduciosi e finì la dolce vita. Victor cedette tutto: il Café de Paris, il ristorante Sans Souci, ritirandosi nella sua gentile villa ni Castelli. Aveva 96 anni, è morto sereno, stringendo la mano della sua Bianche. Una dolce morte per protagonista vero della Dolce Vita. Aveva fatto il barman in Costa Azzurra. Scese in Italia nel '50: poteva sfruttare il Giubileo Ava Gardnercon Walter la Bacali con Bogey e poi Flaiano, Brancati Che mondo quel mondo Nella foto in alto Via Veneto come appariva nel 1966 Vìttorio Tombolini (foto in alto) all'interno del mitico Café de Paris da lui creato dopo un glorioso passato di barman nei più esclusivi locali di Roma Qui accanto, Igor Man

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