L'arringa finale dell'ex guerrigliero di Giovanni Bianconi

L'arringa finale dell'ex guerrigliero «Fratelli curdi scendete dalle montagne e deponete le armi, ci basta l'autonomia culturale» L'arringa finale dell'ex guerrigliero Ocalan parla di paceper 3 ore: «La storia mi assolverà» Giovanni Bianconi invialo a MUDANYA Le ultime carte di «Apo» Ocalan sono un appello ai suoi soldati e il richiamo alla guerra del Kosovo. «Lasciate le armi e lavorate anche voi per una soluzione di pace», dice ai militanti del Pkk ancora nascosti sulle montagno del Kurdistan. E alle autorità turche, ma pure all'Occidente: «Il Kosovo insegna che la strada da seguire è quella dei diritti umani, e nella nostra terra non troverete fosse comuni». Chiuso in quella specie di acquario che gli hanno costruito intorno, alla ripresa del processo sull'isola-bunker di Imrali, Abdullah Ocalan tenta ancora una volta - l'ultima prima della sentenza - di convicere i suoi giudici a non condannarlo a morte. Il leader del Pkk parla per quasi tre ore, e il presidente della Corte Ttirgut Okyay prende appunti. Chissà quanto convinto da un imputato che esordisce: «La difesa giuridica la lascio ai miei avvocati, io affronterò il problema politico». Insomma, Apo parla al tribunale che dn ieri, dopo la riforma varata dal Parlamento turco, è composto tutto da civili, ma i suoi proclami di pace e fratellanza sono rivolti al governo di Ankara e al mondo intero. Cerca di separare gli interessi turchi da quelli di Europa e Stati Uniti quando dice: «L'Occidente ha voluto e provocato la mia cattura, ma è stata una palla di fuoco gettata sulla Turchia per incendiare il Paese; vogliono prolungare il problema curdo per altri cento anni, allo scopo di indebolire la forza e la potenza dello Stato turco». Per adessso, però, i discorsi di Apo sembrano cadere nel vuoto. ■ Mentre Ocalan parlava in mezzo al Mar di Marmare, sulle coste del Mar Nero veniva ucciso Ago Kahran, il capo militare del Pkk in quella regione, «nel corso di un'operazione delle forze speciali», riferiscono le fonti ufficiali. E ad Ankara il Comitato per la sicurezza dello Stato prorogava di altri quattro mesi lo stato d'emergenza nel Sud-Est del Paese. Nel frattempo a Berlino Ferhan Ahrran, rappresentante del Pkk in Europa, dichiarava: «Se Ocalan non resta in vita e non vengono revocate le leggi speciali, il conflitto si allargherà da 30.000 a 200.000 morti». La pace, dunque, sembra ancora lontana, ma dalla sua gabbia di vetro Ocalan continua a ripetere soprattutto quella parola, «pace», affiancandola con «democrazia» e «fratellanza». Ormai ha smesso del tutto i panni del capo guerrigliero; non solo perché al posto della divisa grigioverde indossa giacca e camicia aperta sul collo come un qualsiasi civile, ina per quello che dice. Parla del suo passato e spiega: «La mia più grande aspettativa, oggi, è quella di passare da ribelle per la libertà Ma il podel Pick iavvertegiustizguerra e rtavoce n Europa se sarà iatola sploderà a combattente per la pace comprensiva della libertà». Ammette che lui e il suo partito hanno commesso errori, e invoca: «Il Pkk deve smettere di sbagliare e vivere nel suo Stato (la Turchia, non più il Kurdistan da costruire, ndr) in fraternità con gli altri. Per ottenere la libertà la lotta armata non serve; continuare i combattimenti, ora, sarebbe solo terrorismo e significherbbe travalicare i nostri obiettivi». Che si riducono, a questo punto, al raggiungimento di quell'autonomia culturale sulla quale Apo insiste più di ogni altra cosa: «Perché ci impedite di parlare la nostra lingua? Quella che utilizziamo in casa dev'essere permessa anche sui giornali e in tv. Guardate gli Stati Uniti; lì la lingua ufficiale è l'inglese, ma poi ognuno parla la sua lingua d'origine, senza pericoli per nessuno. E per questo non serve uno Stato federale, si può fare anche in uno Stato unitario». Il separatismo, ormai, è un vecchio ricordo di progetti sbagliati: «Che senso avrebbe, anche per me, separarmi per vivere in una grotta in montagna? Nella grandezza del popolo turco ci può essere posto anche peri curdi». Per spiegare il suo nuovo sogno Ocalan ripercorre la storia dal lontanissimo 1071, quando i turchi arrivarono in Anatolia: «Da allora turchi e curdi hanno convissuto pacificamente». Poi, soprattutto negli ultimi due secoli, ci furono le rivolte, «ma quella del Pkk dev'essere l'ultima. Il partito si deve inserire nel contesto democratico dello Stato, solo così cesserà di essere una minaccia per la Turchia. Nell'agosto dell'84 eravamo 80 persone, oggi ci sono più ai 10.000 militanti, e questo continuo reclutamento rappresenta un pericolo per lo Stato che deve finire. Non lo dico per salvare me stesso, ma per la democrazia e per la pace». A queste parole, una delle madri delle vittime della guerra, presente in aula, grida: «No, quello non si deve salvare, deve morirei». Poi sviene. Sul molo di Mudanya, altre centinaia di parenti avvolti nelle bandiere turche alzano e fotografie dei loro cari e continuano a invocare la pena di morte per Apo: «Imrali sarà la sua tomba I Chiudete il conto, impiccatelo subito!». Ocalan lo sa, e prima di lasciare la parola ai sui avvocati che proseguiranno oggi la loro difesa tecnica, guarda verso il presidente della Corte e dice in tono solenne, citando Fidel Castro: «La storia mi assolverà». E conclude. «Tutto ciò che ho fatto, l'ho fatto per la libertà e la democrazia di un popolo. Anch'io ho subito dei cambiamenti, oggi sono pronto a rispettare le leggi della Repubblica turca e mi auguro che il prossimo secolo sia un secolo di pace e fratellanza. Saygilar, i miei rispetti». Ma il portavoce del Pick in Europa avverte: se sarà giustiziatola guerra esploderà Il leader del Pkk Abdullah Ocalan nella gabbia di vetro durante l'udienza di ieri sull'isola di Imrali