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Gli Usa Gli Usa «Pronti a pagare i debiti all'Orili» Franco Pantarelll NEW YORK Il Senato americano ha deciso praticamente all'unanimità (98 voti contro uno) che è ora di pagare i soldi arretrati che gli Stati Uniti devono all'Orni, ma non è che la questione sia stata definitivamente risolta con il prossimo invio dell'assegno che il povero Kofi Annan, il segretario generale, aspetta da anni per sistemare i conti. Prima che ciò avvenga dovranno accadere tante altre cose, e non è detto che accadano. Intanto c'è il problema che le due parti non sono d'accordo sull'esatto ammontare del debito: secondo le Nazioni Unite è di un miliardo e 600 milioni di dollari mentre gli Stati Uniti, senza indicare una cifra precisa, dicono che la somma dovuta è «più vicina al miliardo» (e il pagamento deciso dal Senato è di 800 milioni). Poi c'è la clausola «aggiuntiva» che la legge votata ieri impone, e cioè la riduzione del contributo americane all'Onu, che deve passare dal 25 al 20 per cento del bilancio, e che deve essere decisa dagli Stati Uniti «unilateralmente», cioè senza una trattativa fra la gente dell'Onu e quella del dipartimento di Stato, il che è sicuramente destinato a creare un altro lungo e difficile contenzioso. Infine c'è il problema che la legge votata dal Senato deve ora passare alla Camera e lì i repubblicani hanno deciso di «collegarla» al problema dell'aborto, nel, senso che nel testo verrà detto esplicitamente che i soldi degli Stati Uniti non devono servire a consentire le interruzioni di gravidanze, cosa che invece varie agenzie dell'Onu fanno in giro per il mondo. L'anno scorso, su un tentativo analogo compiuto dai deputati repubblicani è piovuto il veto di Bill Clinton, che ha bloccato l'operazione antiaborto, ma anche il pagamento del debito. Madeleine Albright, il segretario di Stato, era contraria alla riduzione del contributo americano, ma ha finito per accettarla non tanto allo scopo di chiudere la faccenda del debito (che comunque per lei, capo della diplomazia americana, è sempre motivo di imbarazzo), quanto per vedere finalmente ratificata dal Senato la nomina di Richard Holbrooke a rappresentante americano presso le Nazioni Unite. Quella nomina è bloccata da tempo non perché i senatori siano contrari ma perché il presidente della commissione Esteri, il conservatore Jesse Helms, si rifiuta con vari cavilli di farla votare. Solo se accettate di ridurre unilateralmente al 20 per cento il contributo americano all'Onu, ha praticamente detto Helms all'amministrazione, la nomina di Holbrooke sarà messa ai voti. L'amministrazione e i senatori democratici hanno accettato 10 scambio e questo spiega la quasi unanimità con cui si è arrivati a questa legge, che tuttavia è solo un primo passo verso 11 pagamento del debito. L'unico che ha votato contro, il senatore democratico del Maryland Paul Serbane, lo ha fatto non perché fosse contrario ma perché gli sono apparsi «inaccettabili» sia il virtuale ricatto fatto da Helms sia il concetto stesso di porre delle condizioni per il pagamento di un debito. «E' semplicemente inconcepibile - ha detto - che la più ricca Nazione del mondo sia anche la più grossa debitrice delle Nazioni Unite». Hai ragione, gli ha replicato Joseph Biden, il leader della minoranza democratico alla commissione Esteri, «in un mondo ideale anch'io vorrei pagare i debiti arretrati senza condizioni. Ma la nostra scelta ora è o così o niente». Holbrooke, quasi a rendere omaggio all'accordo raggiunto per la messa ai voti della suo nomina, ha detto che quando sarà finalmente nominato ambasciatore all'Onu, quella di ridurre il contributo americano sarà la sua «più alta priorità».

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