Storie di Città

Storie di Città . ■lettori, sollecitati dalle noBstre richieste di aiuto circa i ■modi di dire e le tradizioni del nostro Piemonte, ci scrivono e sono generosi di informazioni, suggerimenti e anche di fotoco- Sie di testi preziosi o introvabi. Una lettrice citava un proverbio piemontese contro coloro che hanno i capelli rossi e si chiedeva il perché di tanto accanimento. Ancora una volta Giorgio Amprimo mi viene in soccorso con ima grande mole di documentazione. Segnala un libro di Roberto Giardina, In difesa delle donne rosse, edito da Rizzoli nel 1988; 112 pagine ricche di notizie e citazioni letterarie e artistiche. Ecco un bel regalo da fare a una donna dai capelli rossi, se fosse ancora in catalogo. Scrive ancora Giorgio Amprimo a questo proposito: «Nelle varie regioni d'Italia, presso molti popoli mediterranei ma anche dall'Europa centrale si incontrano detti sulle persone con i capelli rossi, sarebbe lungo citarli; come esempio riporto un detto romeno: Fereste de omul rosu cioè Guardati dall'uomo rosso. Una tesi antropologica sostiene che i rossi sono i «residui» del passaggio dei Celti: gli irlandesi, che ne sono diretti discendenti, hanno per il 50% i capelli rossi; essi sono poco più di tre milioni in Europa ma dalla loro terra sono usciti ed escono tuttora personaggi di rilievo, come scrittori, musicisti, cantanti, attori, politici, gente «estrosa». Ecco, direi che ì rossi di capelli sono «estrosi»: intelligenti, di grande temperamento, creativi, testardi, grintosi, spiritosi (la nostra Littizzet- to non à fulvocrinita?), il che non esclude che essi siano seri e di animo gentile. (Immagino Luciana che replica: «Fulvocrinita sarà tua sorella!):). Anche il dottor Emilio Bellomo interviene su questo tema scrivendo: «Ai tempi della mia fanciullezza si diceva: Capelli rossi cattiva lanai'Capelli rossi che bestia grama. Questa immeritata immagine negativa era peraltro presente i nella parola latina Rufus (rosso) da cui il termine Ruffiano». Il dottor Bellomo fa a sua volta una richiesta, rilanciando il gioco della ricerca dei nomi scomparsi: «le chiedo il favore di spiegarmi il significato e la derivazione della parola piemontese Giget (Allegria?, Euforia?). Da parte mia posso solo dire che il Sant'Albino, alla voce Giget scrive: Zurlo, ruzzo, uzzolo, frega. Vedi Gatii e Veso. Il Gatii è un capriccio, un grillo, uno zurlo insomma. Il Veso o Sperveso è «Prurito o voglia grande, fantastica, immaginaria, non ragionata, di dire o fare checchessia». Perciò avere il Giget potrebbe significare «avere un accesso di allegria o avere il semplice desiderio di stare allegri». Quanti echi rimanda una sóla parola della nostra lingua madre! E che bello avere ogni tanto uno zurlo! Visto che siamo in vena di appelli ai lettori, ne abbiamo ancora uno. Gigi Gattina chiede, a nome di un gruppo di amici, «di risolvere il mistero per cui la parola Bischeuit (tipo di castagna cotta un tempo molto in auge) non compaia sui vocabolari piemontesi (dal Sant'Albino al Gribaudo) e quale l'esatta corrispondente parola italiana». Ai cortesi e sapienti lettori la risposta. Per il giornalista croato ohe chiedeva l'origine del nostro intercalare Nèh un illustre studioso mi ha telefonato la mattina stessa il cui è uscito l'articolo per dirmi che deriva dal latino Non est, da cui, come nota Giorgio Amprimo, il francese N'est-ce pas?. Visto che siamo in tema, colgo l'occasione per ringraziare il signor Ugo Canale che mi ha mandato una deliziosa lista di simili tadini piemontesi di cui è un attento raccoglitore. Bellissimo il Mairi come 'na laserta morta da tre di cioè Magro come una lucertola morta da tre giorni che diceva sua nonna. Molte grazie anche al dottor Carlo Rossi che mi ha fatto dono del suo Dizionario della Crusca torinese o Ciufia 'd la mala. E' una lingua furba, un fuoco d'artifìcio di trovate. Ogni parola di questo dizionario meriterebbe un racconto. Il «Padre» è Minerai mentre il «nonno» è Grisantem. «Sta calmo» è Bugia nen le cuerte cioè «non agitare . le Coperte come di chi stia nascosto entro un letto. Se nel letto si dorme allora diventa Sulvegié 'n t'ia capunera, letteralmente «solfeggiare nella stia dei capponi». L inconcludente è Ansaca nébia mentre l'imbecille è Carpendu, come le mele. Il parrucchiere è Cicapui, l'ammazza pidocchi; il suo lavoro di tagliare i capelli si dice Scupé i orane, tagliare i rami; il barbiere invece è Siviglia, in omaggio all'opera di Rossini e di conseguenza «avere i capelli lunghi» si dice Masè Siviglia, cioè farlo morire d'inedia. La guardia è il Ciapa ciuk, l'acchiappa ubriachi. «Respirare con affanno» si dice Avei i rat 'nt al guardaroba, «avere i topi nel guardaroba. Di un dirigente Rai che aveva l'abitudine di divorare una bistecca in quattro bocconi per poi avere dei «ritorni», Gipo Farassino diceva Ala na Strass an't el mutur, «ha uno straccio nel motore». «Fumare» è Gargarisé mentre la «sigaretta accesa» è la Veia; perciò «Tienimi la sigaretta accesa» si traduce con Tenme la veia cauda. Il tram, aveva tre versioni: Sghiun, Ramblé, Baciuk. Rispettivamente Scivolone, Piattaforma di caricamento, Malsicuro, intontito. Allora come ora, il tram è importante ma non c'è da fidarsi.

Luoghi citati: Europa, Italia, Piemonte, Siviglia