La MOLE è una cosa meravigliosa

La MOLE è una cosa meravigliosa Restaurato in soli cinque anni, il monumento dell'Antonelli ospiterà il museo del Cinema La MOLE è una cosa meravigliosa TORINO CINQUE anni di lavori, 130 operai impiegati, oltre 4500 metri quadrati di superfici restaurate, 60 chilometri di cavi installati, 8 piloni in cemento armato e mattoni sostituiti con altrettanti pilastri in acciaio, una scala elicoidale Isempre in acciaio del peso di 26 tonnellate sospesa ad un unico cavo centrale del diametro di otto centimetri: sono soli alcuni degli elementi che caratterizzano il restauro della Mole Antonelliana, presentato ieri mattina dal sindaco Castellani, dall'assessore alla cultura Perone e dal presidente del Museo del Cinema Mario Ricciardi. Il restauro, costato 22 miliardi, era infatti la premessa indispensabile per poter portare nell'edificio simbolo della città le preziose collezioni raccolte da Maria Adriana Prolo. Coordinati dall'ingegnere capo del comune Giambattista Quirico, su un progetto degli architetti Gritella e Bortolotti, i lavori hanno dotato il «gioiello dell'Antonelli» dalla storia lunga e travagliata (nato come sinagoga, per lunghi anni deposito comunale e fino a tre anni sede di mostre d'arte), di una centrale tecnologica, di oltre 6 mila metri cubi collegata ai sotterranei. La centrale permetterà anche di riscaldare l'edificio, che finora era utilizzato solo nei mesi estivi. Sono state anche restaurate e ridipinte per intero le facciate esterne che hanno un'estensione di 24500 metri quadrati. Il cantiere ha dovuto risolvere problemi non facili: la Mole con i suoi 167 metri d'altezza è infatti l'edificio in muratura più alto d'Europa. Marco Vallerà TORINO I finalmente un altro degli scandali clamorosi connessi alla storia accidentata ed umiliante dei I nostri Beni Culturali pare intravedere ima sua conclusione: la straordinaria collezione del Museo del Cinema di Torino, che ha davvero pochi confronti al mondo, e che giaceva da anni, scandalosamente, in inimmaginabili depositi o che, appunto, paradossalmente, girava i musei internazionali a farsi ammirare, poco profeta in patria, sembra avere trovato casa. Ed una casa prestigiosa come la Mole Antonelliana, che in questi giorni risquaderna le sue mirabili strutture e mostra il suo nuovo aspetto, dopo un restyling durato in realtà, molto ragionevolmente, non più di cinque anni. A questo punto non resta che verificare se a tempi e cifre lusinghieri fa seguito un risultato altrettanto decoroso: ma se in questo Guinness dei primati si calcola pure il vanto iniziale, di un progetto tanto delicato, risolto alla svelta dal luglio 1994 al febbraio 1995, vacanze comprese, qualche non meno ragionevole dubbio incomincia a profilarsi all'orizzonte. Ma non è la Mole Antonelliana uno dei monumenti più originali ed eccentrici di tutta la storia dell'architettura nostrana, un prodigio di statica e di fantasia per contrastare il primato modernista della Tour Eiffel, seppure ottenuta con materiali tradizionali e teneri, come mattoni e stucchi, una sorta 1863. Alessaprenderà il susinagoga della1877. L'edificeduto al Cocostose) moddestinarla a se1905-1908.all'interno da 1931-1936.Albenga reali1953. Un vioche viene rico1976. Il Commonumento di sfida tra David e Golia della propulsione alla verticalità? «L'edificio monumentale tecnologicamente più complesso in Italia» ammettono i due responsabili del restauro, gli architetti Gritella e Bortolotti, in una radiografia del monumento dalle cifre trionfali. «La costruzione in muratura tradizionale più alta al mondo» ripetono i manuali: ma non saranno un po' pochi cinque mesi di progettazione, con velocità rossiniana, per rischiare il destino di questa delicatissima macchina neobarocca di tecno-archeologia e prodigioso ardimento ornamentale? E non sarebbe forse stato più legittimo bandire un concorso internazionale prima di compromettere un simile gioiello di delicatezza storico-architettonica e di precaria condizione statica, che sin dalla sua nascita ha creato problemi e discussioni? Sarebbe come se, toute proportion gardée, per ritoccare la Tour Eiffel, e magari costruirci dentro un Museo dell'Acciaio, si fosse rigorosamente cercato un tecnico nel circondario del Trocadero, e guai uscire dall'arrondissement. Bando alle prevenzioni, pro- viamo ad entrarci con animo curioso, in questo guscio restituito alla vista: e certo quella catacombale grande sala d'introibo, con la foresta di colonne per di più dipinte antracite, non aiuta a rilassare lo sguardo. Il primo impatto è un po' soffocato, con quella grande parete spaccata che chiude la vista, un po' memorial della bomba alla Stazione di Bologna un po' Duomo bicolore di Pistoia, con un uso dei materiali spregiudicati e pomposi, che sembra aver poco a che fare con la levità grave dello spirito di Antonelli. Ma è salendo a livello della grande aula, concepita come tempio e poi dirottata dallo stesso Antonelli ad un altro uso, più simbolico e rappresentativo, e lì che lo choc visivo ha i suoi primi, turbati contraccolpi. C'è da dire che la struttura interna, quell'enorme aula vuota, sorta di Pantheon liberty, sovrastata dalla gigantesca cupola a quattro spicchi, era già stata compromessa (ma in fondo felicemente) da una coraggiosa ingabbiatura in cemento armato, che con spirito molto antonelliano, negli Anni '30, aveva tentato di contrastare i cedimenti strutturali che erano seguiti al cambio di destinazione dell'opera. Dall'iniziale concezione di sinagoga (mai ultimata) a questo assolo protagonisti co di torre senza funzione, che doveva svettare longilinea sopra la prospettiva educata e regolare della città. Su questa già doppia ed eccentrica struttura ottica, che alle vecchie decorazioni floreali e stuccate di Antonelli contrapponeva una gabbia cruda di cemento in pure stile Eur, con occhiaie vuote e nicchie ardite, i due architetti torinesi hanno disinvoltamente aggiunto la loro zampata, non proprio discreta, aggiungendo sconcerto di stile a quanto già non era proprio lineare e limpido. Quello che loro chiamano spregiudicatamente: «un percorso museale atipico dotato di forte sensazionalismo». Alla faccia delle struttiire rimovibili e delle so\/rintendenze che non lasciano spostare uno spillo! Può darsi benissimo che la grande scala elicoidale, inserita in uno spazio vergine, abbia un suo fascino spettacolare, con tutti quei tiranti da ponte di Brooklyn e quegli spunzoni a zampa di ragno Louise Bourgeois, che si aggrappano per di più alle vecchie strutture in cemento: il problema è che lo sguardo sgombro sull'intera volta ne è completamente compromesso e zigzagato da questa sorta di biscione stile Museo Guggenheim dei poveri, da questo ambizioso Wright tradotto in salsa piemontese, che non è di rottura, ma semmai di disturbo: come un'ulteriore macchinetta per i denti inflitta alla Mole. Non è una critica reazionaria, questa, da Principe Carlo, semplicemente è una constatazione ottica. Dicono, «è lo stile di Andrea Bruno a Rivoli» ma non è vero: perché non agisce di contrasto, di rottura, ma semplicemente di ambiziosa sovrimpressione: una ridondanza, che confonde lo sguardo e cincischia il colpo d'occhio. Perché è poi l'uso dei materiali che dà il colpo di grazia: che c'entra il parquet lucido da salottino con le strutture di Antonelli, e che per di più sarà funestato dalle orme piovose dei visitatori? Che c'entra il legno qui a stretto contatto con dei pavimenti in finto-manno tirato a lucido o la pista piastrellata stile salone da ballo, con paraffi color cioccolato che assalgono l'ascensore quasi ramarri? E per esubero gl'intarsi bronzei di stelline alla Zorio, che ogni tanto spezzano il loro disegnino regolare per salutare l'arrivo traumatico di un pezzetto in pietra di Lusema, puzzle di mauvais goùt che batte l'interno del Teatro Carlo Felice? Basta entrare nei bagni, del resto, per avere un riepilogo illuminante: absidi marmoree, ogive, reperti in mattone, lampade in plastica. E se il vanto della Mole era quell'ardito ascensore pensile che trapassava il vuoto, ma perché mai costruire (|ue! palligli uncino a pagodina, che pare una stazione del metrò per una fermata immaginaria? Un restyling costato 22 miliardi ma dagli esiti a volte discutibili come nel caso della rampa sospesa la storiche collezioni di Adriana Prolo rivivranno in un percorso che simula la realizzazione di un film 1863. Alessandro Antonelli inizia a costruire la Mole che prenderà il suo nome, destinata a divenire la nuova sinagoga della Comunità israelitica torinese. 1877. L'edificio, ancora in fase di costruzione, viene ceduto al Comune di Torino, a causa delle ambiziose (e costose) modifiche del progettista: il Municipio vuote destinarla a sede del Museo del Risorgimento nazionale. 1905-1908. L'edificio viene ultimato e decorato all'interno da Annibale Rjgotti. 1931-1936. La Mole è instabile, gli ingegneri Pozzo e Albenga realizzano possenti rinforzi di calcestruzzo. 1953. Un violento nubifragio abbatte metà della guglia, che viene ricostruita con un'anima di acciaio. 1976. Il Comune avvia un recupero parziale del monumento, per destinario a sede di mostre temporanee Un manifesto del film Cabiria, al centro la Mole, a sinistra l'architetto Francois Confino

Luoghi citati: Bologna, Comune Di Torino, Europa, Italia, Pistoia, Rivoli, Torino