Perché ho detto no alla cena di Slobo

Perché ho detto no alla cena di Slobo Il finlandese Ahtisàari racconta i retroscena della trattativa con Milosevic Perché ho detto no alla cena di Slobo Antoine Jacob SONO diventati i dieci comandamenti!). In una stanza della sua residenza di Man tyniemi affacciata sul Baltico, ai margini di Helsinki, Mariti Ahtisàari cova con gli occhi due fogli di carta, tenuti insieme da una graffetta. Li prende con la punta delle dita e resta un lungo attimo immobile, come per ripassare il film degli eventi. Gli sforzi fatti per dare forma a questo piano di pace in dieci punti. Il viaggio a Belgrado, all'inizio ìli giugno, per presentarlo a Slobodan Milosevic. L'accettazione dei serbi, dopo 62 giorni di bombardamenti... «£' stato un processo intenso», racconta il presidente finlandese con tono monocorde. Diplomatico di carriera, Ahtisàari aveva già incontrato Milosevic una decina di volte e conosceva bene il dossier dei Balcani. Non è dunque un terreno sconosciuto quello su cui si avventura quando, il pomerìggio del 2 giugno, arriva a Belgrado insieme a Viktor Cernomyrdin, l'emissario russo. La panila finale si gioca in una sala riunioni molto formale a Beli Dvor, il Palazzo Bianco, una delle residenze ufficiali di Milosevic. L'atmosfera è «solenne». Pur conoscendosi, Ahtisàari e il suo ospite non si scambiano neppure una parola personale. «Non c'erano le condizioni - racconta il finlandese -. E poi Milosevic è una persona un po' scostante, l'ho constatato ogni volta che ci siamo incontrati». Il rappresentante dell'Ue si mette subito a leggere ad alta voce il piano della comunità internazionale. Di fronte a lui c'è il signore di Belgrado, circondato da generali in abiti civili, dal presidente della Serbia Milan Milutinovic e dal ministro federale per gli Affari esteri, Zivadin Jovanovic. Finita la lettura, Milosevic chiede, in inglese: «Si possono apportare dei cambiamenti al documento?». Racconta Ahtisàari: «Ho risposto "purtroppo no". Ho detto che per questo non avevo l'autorità e che, se avesse cercato di negoziare, me ne sarei andato. "E il miglior accordo che possiamo offrire" ho aggiunto». Come convenuto con remissarie russo, è il finlandese che s'incarica di rispondere, in inglese. Le sue parole vengono poi tradotte in serbo per chi non capisce. Il presidente jugoslavo chiede se può avere «una copia» del documento. «Sì, certo». Ci saranno parecchie domande durante il .paio d'ore che dura l'incontro. «Molto terra a terra», quasi sempre poste da Milutinovic e Jovanovic, i quesiti non si scostano molto dal piano di pace. Questa volta non ci sono manovre dilatorie, nessuna arringa prò serbine scoppi di voce. Piuttosto, molte domande su punti precisi del testo: il ruolo delle Nazioni Unite, le ragioni del ricorso all'articolo 7 della Carta dell'Onu che autorizza il ricorso alla forza. Qualcuno chiede anche: «Perché il piano fa riferimento agli accordi di Rambouillet?» Ahtisàari punteggia il suo racconto con piccoli colpi secchi sul bordo del tavolo. «Ho capito più tardi che a Belgrado il mio ruolo è stato un po' simile a quello del pastore che prepara i ragazzi alla cresima. Lui spiega i Dieci Comandamenti e c'è sempre qualcuno che chiede cosa vogliono dire. Il mio ruolo era un po' quello, io dovevo spiegare». Ripercorrendo il filo della discussione del 2 giugno, Ahtisàari ricorda di «aver avuto l'im¬ pressione che il documento non piacesse affatto» ai serbi, anche se cercavano di dissimularlo. «Sebbene citasse il rispetto dell'integrità territoriale della Repubblica federale di Jugoslavia, hanno capito che il nostro piano sconfinava sulla loro sovranità, perché prevede una amministrazione provvisoria». Ma non ci sono più scappatoie possibili. Gli interlocutori di Cernomyrdin e Ahtisàari sono costretti a sottomettersi. Giovedì 3 giugno, al mattino, Jovanovic assicura all'emissario europeo che la direzione serba «si era decisa» ad accettare il documento ancorprima dell'incontro della vigilia e che non «non aveva avuto l'intenzione di tendere delle trappole» alla delegazione russo-finlandese. Prima di separarsi, il mercoledì sera, Milosevic propone ai suoi «invitati» di pranzare insieme. «Senta, credo che sarebbe più utile che lei consultasse i suoi colleghi», gli risponde un M art ti Ahtisàari manifestamente deciso a evitare qualsiasi gesto cortese con il presidente jugoslavo. «Non sono stato insolente, ma non vedevo bene a che cosa potesse servire un pasto insieme...», commenta oggi. In pubblico, il finlandese ha 1 abitudine di rimanere neutrale nella sua descrizione di questo adepto della pulizia etnica. «Eppure lo detesta. In privato, l'ho sentito usare parole molto dure nei confronti del capo serbo», rivela una persona che lo conosce bene. Quella sera, ritornati a Belgrado, Ahtisàari e la sua squadra di otto persone cenano e passano la notte in una residenza in mezzo a un grande parco messa a loro disposizione dal governo di Belgrado, mentre i russi scendono all'hotel Intercontinental. L'appuntamento è per l'indomani alle 9. L'emissario europeo dubita ancora del successo dell'impresa. Quella notte, la Nato non fa praticamente nessuna missione. L'indomani, l'incontro con gli jugoslavi comincia alle 13.10. Durerà appena mezz'ora. Questa volta Milosevic parla in serbo. «Ha fatto un resoconto di come vedeva la situazione nel Kosovo. Noi abbiamo preso appunti, ma io non gli ho fatto domande a questo proposito. Ho solo chiesto: "E sulle cose importanti, qual è la vostra posizione?". Milosevic ha spiegato che la sera prima aveva telefonato a tutti i partiti politici rappresentati al Parlamento per discutere del documento e io credo che solo dopo queste telefonate hanno deciso di convocare il parlamento. Questo si e riunito a porte chiuse giovedì a partire dalle 11, la sessione è durata due ore». Ahtisàari fa una pausa. Prende due foglietti bianchi sui quali ha scarabocchiato qualche parola nel corso dell'ultima riunione. «Milosevic ha detto - leggo i miei appunti - "gli jugoslavi accettano il documento che avete portato a Belgrado". Ha aggiunto che il parlamento l'aveva approvato, così come il governo federale jugoslavo». Missione compiuta. Copyright Le Monde-La Stampa Illeaderserbohaletto il piano di pace e ha chiesto «Si può cambiare qualcosa?» «Purtroppo no» il presidente finlandese Marti Ahtisàari con il leader serbo Slobodan Milosevic. A lato l'emissario russo Viktor C o.-n o niyrd in