Fiori

Fiori Fiori Una generazione digrafomani Umberto Fiori AULA professori. Due docenti correggono pacchi di temi. Grugniti, sospiri, risate trattenute. Solito sconforto finale. "E' che questi ragazzi sono cresciuti in un [universo di immagini. Noi non possiamo capirli, siamo troppo logocentrici...". Conclusioni: fermo proposito di iscriversi a un corso su Internet. Disperato com'è, il docente italiano standard si iscriverebbe anche a un aggiornamento sulle slot-machines, se gli raccontassero che la scrittura sarà presto sostituita dal gioco d'azzardo. Il fatto è che quando uno ogni giorno, per mestiere, legge i temi degli adolescenti, finisce per avere davvero l'impressione che la lingua scritta sia un ferrovecchio ingombrante e un po' mostruoso. E tuttavia, basta dare un'occhiata alle smemorande zeppe di confessioni, dichiarazioni d'amore, riflessioni sulla vita e la morte, poesie, canzoni trascritte in mille colori, per cambiare idea sul rapporto tra ragazzi e scrittura. Altro che rifiuto della parola scritta: questa potrebbe apparire addirittura come una generazione di grafomani. Certo se si va a leggerli, quei testi, si ritrova la stessa sintassi cubista, la stessa punteggiatura venusiana dei temi. Sarebbe compito dell'insegnante - oltre che correggere - mostrare come all'urgenza caotica dei pensieri si possa imprimere l'ordine della comunicazione. In teoria, è questo il suo mestiere. In realtà, quanti docenti hanno diretta e assidua esperienza delle fatiche della scrittura? Quanti hanno smesso di scrivere già all'università? E come si può insegnare efficacemente una pratica che a noi stessi è diventata estranea, e di cui ci limitiamo a ripetere le regole, senza affrontarne di persona le concrete difficoltà? Forse i veri problemi con la parola scritta ce li ha chi sta in cattedra.

Persone citate: Umberto Fiori