Non rompetemi le scatole: vostro MILA

Non rompetemi le scatole: vostro MILA Einaudi pubblica le lettere che il musicologo scrisse dal carcere fascista tra il 1935 e il 1940 Non rompetemi le scatole: vostro MILA Alberto Papuzzi A prima lettera, del 16 maggio 1935, sotto la firma Massimo si chiude con un icastico postscriptum: «Scrivetemi, se possibile, ma senza far tragedie». Perché il peso più ingombrante per un carcerato politico è la sofferenza delle persone che gli sono care. E vorrebbe essere scaricato di un'ansia che appare una colpa. Il tema emergeva nelle Lettere della giovinezza di Vittorio Foa (Einaudi 1998) e ritorna in un nuovo epistolario einaudiano, la prossima settimana: Argomenti strettamente famigliari, bellissimo e stringente titolo, sotto il quale sono state raccolte le lettere che Massimo Mila scrisse alla madre dal carcere fascista, fra il maggio 1935, quando è arrestato con il gruppo torinese di Giustizia e Libertà, e il marzo 1940, quando è scarcerato grazie a un'amnistia. «Fisicamente sto assolutameli te bene - scrìve Mila nella stessa lettera del 16 maggio '35 -, starei benissimo moralmente se avessi la certezza che siete tranquilli e non vi disperate. Il pensare al dolore tuo e di nonna , alla vita che farete in questi giorni, è il mio solo tormento: dipenderebbe soltanto da voi, dal vostro coraggio e dalla vostra forza, di eliminarmelo». Due mesi più tardi, il tono si fa così aspro da ricordare certi passi delle lettere di Antonio Gramsci, studente a Torino: «Ti prego di moderarti e cercare di considerare le cose come sono, altrimenti, per scrivermi di queste fesserie, preferisco non mi scriva». E ancora: «Le vostre disgustose querimonie sul mio vitto mi hanno stomacato: mangio quel che mi pare e alla mia salute ci penso io. E non rompetemi più le scatole». Come spiega una nota del curatore Paolo Soddu, Argomenti strettamente famigliari raccoglie 318 lettere alla madre (quasi tutte da Regina Coeli), due alla madre e alla fidanzata Francesca e una alla madre, a Francesca e alla zia Marta, più bigliettini a parenti e amici. Nato a Torino nel 1910, un mese prima di Foa, Massimo Mila, dal 1967 critico musicale della Stampa, è morto nel 1988. Le lettere vennero trovate nella stanzetta dove teneva l'attrezzatura alpinistica. Il titolo del volume viene da una nota della Direzione Generale della Pubblica Sicurezza, che pregava di attenersi «ad argomenti di stretto carattere famigliare». Ma le lettere contengono molto altro: non solo questioni letterarie e musicologiche, divagazioni sull'alpinismo e ritrattini dei compagni di prigionia, ma anche numerose «espressioni critiche verso il regime», come sottolinea nell'ampia introduzione Claudio Pavone, lo storico che ha scritto Una guerra civile. Queste pagine, in uno straordinario italiano, si leggono come un dialogo postumo, fra il giovane azionista, che aveva visto la tesi di laurea, Il melodramma di Verdi, pubblicata da Laterza su indicazione di Croce e che è condannato a 7 anni per cospirazione politica, e il mondo che lo circonda. E' come se Mila cogliesse l'occasione del carcere per definire la propria identità: «Chi è abituato a vivere molto più di ciò che ha dentro di sé, che di quanto è al di fuori non è cosi sensibile ai mutamenti esteriori della vita come lo è chi è abituato a stimare sopra tutto i beni esterni». La ricchezza di temi, in primis una formazione sui valori risorgimentali, si affaccia sul bisogno di guardare dentro di sé per far sapere al mondo come si è. E Mila è un uomo «tutto d'un pezzo», come ha scritto Giulio Einaudi nella prefazione agli Scritti civili ( 1995). Un irriducibile senza retorica, anzi con ironia e understatement, che tesse l'elogio della galera: «Una vita di studio sarebbe il miglior ideale che io mi possa augurare. E ora faccio una vita di studio» (12 luglio '35). Oppure: «Io me la passo benissimo coi miei compagni: studiamo, leggiamo un mucchio di libri, giochiamo a scacchi» (3 luglio '36). Ancora: «Le sole mancanze che sento veramente sono le vostre, le montagne e la musica. Di tutto il resto me ne infischio» (4 marzo '38). Fra molte somiglianze, si può notare una differenza chiave tra le lettere di Foa e quelle di Mila: mentre Foa saggia uomini e cose con il bisturi dell'analisi politica, Mila tende a una testimonianza morale d'impronta kantiana: «Chi fa bene non si può disperare, indipendentemente dal fatto che il bène sia o no ricompensato» (25 febbraio '38). Ciò non toglie che ci siano momenti di cedimento e sconforto, dietro i quali viene a galla soprattutto la consapevolezza che dentro e fuori si parlano linguaggi troppo diversi. «Possibile che ci sia bisogno di dirle queste cose? - scrive ancora nell'ultima lettera, del 25 febbraio '40 -. Ad ogni modo ecco un esempio della impossibilità per chi è fuori di farsi un'idea della mentalità e dello stato d'animo di chi è dentro». La fiera battaglia di un irriducibile e l'impossibilità per chi sta dentro di essere capito da chi sta fuori getemi ostro A Massimo Mila negli anni in cui fu arrestato dai fascisti e imprigionato prima a Torino e poi a Roma A sinistra il musicologo nel periodo della piena maturità La fiera battaglia di un irriducibile e l'impossibilità per chi sta dentro di essere capito da chi sta fuori Massimo Mila negli anni in cui fu arrestato dai fascisti e imprigionato prima a Torino e poi a Roma A sinistra il musicologo nel periodo della piena maturità

Luoghi citati: Roma, Torino