Fini, è arrivato il momento della verità

Fini, è arrivato il momento della verità Dopo dodici ore di scontri e di trattative oggi chiude la direzione di Alleanza nazionale Fini, è arrivato il momento della verità «Ora parlerò io e vedrete che ho delle cose da dire» Aldo Castrilo ROMA Gianfranco Fini si siede al tavolo della presidenza alle 9 e 45 e ci resta per 12 ore, prendendo appunti con la stilografica nera e ammonticchiando pacchetti vuoti di Merit. Si alza due volte, alle 12 e alle 17 e 45, alzando indice e medio in un segno che certo non vuol dire «vittoria». Due volte scoppia a ridere: quando legge gli auguri di Palmella «a tutti, mangi ara dicali compresi»; e quando la sedia di Gabriele timido, commissario del partito a Cosenza, ha un cedimento strutturale e lo scaraventa al pavimento. Due volte parla: per invitare Adriana Poli Bortone a «cercarsi un altro presidente»; e per chiedere ai colleghi di autorìdurre gli interventi, in modo da chiudere la partita entro la sera («dei tempi televisivi me ne frego», gli risponde Domenico Benedetti Valentini»). E due volte borbotta: quando Alessandra Mussolini chiude con un «viva Fini» un maliziosissimo discorso contro la sua linea, lui si lascia sfuggire un «così non va»; quando un cronista gli chiede cosa accadrà oggi, sussurra: «Parlerò per almeno un'ora. E vedrete che avrò anch'io qualcosa da dire». Per il resto, non un cenno quando Mirko Tremaglia gli promette «amicizia eterna», né quando Domenico Fisichella demolisce con cattedratico puntiglio gli ultimi tre anni della sua gestione; nessuna risposta a Teodoro Buontempo, in prima fila ad applaudire ogni stilettata al caro nemico, né a Francesco Storace, che gli riferisce: «Ci siamo incartati»; appena un sorriso per il deputato di Udine Damele Franz, che lo definisce sobriamente «vate, totem, taumaturgo», e per Benito Paolone, esponente della linea della mitezza, che gli chiede «il via libera per far fuori tutti gli imbecilli del 'orrv:-!■>•-•"•).'!>: 'viiiati• i> ii partito» («sarebbe una strage», chiosa Storace). Fini resta immobile a guardare Gianni Alemanno e Ignazio La Russa appartarsi dietro le colonne Secondo Impero dell'hotel che fu di Carlotta del Messico, Pietro Mascagni e Gianni De Miche'is, per correggere la bozza di un documento comune. E considera che, comunque finirà oggi, la sua creatura non sarà più quella di prima. Alla direzione di An aveva chiesto due cose: fiducia personale, e approvazione della linea politica (alleanza con Segni, competizione con Berlusconi). • Quasi tutti i cinquanta oratori gli hanno riconfermato la prima, non altrettanto la seconda. In un crescendo di attacchi e malumori, man mano che gli oppositori prendevano coraggio, gli è stato chiesto di restare alla guida del partito, ma anche di recuperare Ì' «identità missina» e la «fedeltà a Forza Italia». Proprio quello che Fini non vuole. Per tutto il giorno i leader delle due correnti - i «polisti» di Giulio Maceratoli e Maurizio Gasp arri e i finiani: la destra sociale di Alemanno, i cattolici di Publio Fiori, i referendari di Adolfo Urso - hanno lavorato a un documento comune, sotto la mediazione di La Russa. Che spiega: «Non c'è nulla di formalizzato. Solo una bozza, una scaletta; che non vuole essere una camicia di forza per Gianfranco. Semmai, una via d'uscita». La sintesi: sì all'alleanza con Segni, ma non in modo organico (Elefante addio), bensì all'interno del Polo. «Un documento che potrebbe raccogliere il consenso del 70-80% del partito», prevede Urso. «Ora il testo ce l'ha Gianfranco - rivela Alemanno -. Che potrebbe anche stracciarlo, e chiederci di votare sulla sua replica di domani. Il dado è tratto. Voglio vedere chi avrà il coraggio di votargli contro». Perché, ai fidi, Fini 1 ha già detto: «Non mi rimangierò nulla. Primarie, referendum contro la proporzionale e contro il finanziamento ai partiti: io vado avanti per la mia strada. E non parlatemi di dimissioni congelate fino al congresso. Si decide adesso». L'idea della conta vellica Storace, spaventa Maceratini, che invoca una «soluzione unitaria» (mentre Domenico Nenia prepara un secondo documento a favore del presidente ma contro «correnti e colonnelli»). Oggi Fini si gioca tutto. Ma, forse, chi rischia davvero sono i suoi oppositori: se rovesceranno i pronostici e lo manderanno in minoranza, l'ipotesi di una «lista Fini» alle prossime elezioni non sarebbe più la boutade sussurrata tante volte ieri sui divani del Plaza. «An ti vuole bene», ha proclamato la Mussolini. Sentiti gli interventi, c'è da dubitarne. Fini è «freddo» (Poli Bortone), «indifferente e insofferente» (Fisichella), «manipolatore genetico» (ancora la Mussolini, memore della laurea in medicina). Il vicepresidente del Senato è il più duro: tra un riferimento alle «masse diseducate» e una citazione dalla «letteratura delle primarie», infila l'affondo: «Fini ha detto ai giornali: "Io ho fatto An in un mese e mezzo". Avrebbe fatto meglio a sostituire "io" con "noi". Nessuno è indispensabile». Storace cade in trappola: «Ingeneroso!». Fisichella chiude e se ne va. Spiegherà: «All'università, quando qualcuno mi vuole interrompere, alza la mano e mi dice: "Scusi, professore"». Ma è la Poli Bortone l'unica a provocare la reazione di Fini. «Pinuccio (Tatarella, nda) aveva il buon gusto e la dignità politica di concordare le scelte col resto del Polo. Abbiamo fatto una campagna senza messaggi, senza emozioni. E collocato un ex ministro (lei stessa, nda) al quinto posto nelle liste... Nel partito ci sono altre intelligenze. Gianfranco, non puoi dire: o siete con me, oppure...». «Alla mia libertà - la gela Fini - ci bado io, e non altri». Gelo. Rotto ancora dalla Mussolini: «Citerò un grande statista, che ha governato per decenni un grande Paese: Mao». E poi, sogghignando: *Ve credevate...». «Non parlatemi di dimissioni congelate fino al congresso Si decide adesso» La Bortone attacca e la Mussolini cita lo «statista» Mao Il presidente di Alleanza nazionale Gianfranco Fini

Luoghi citati: Cosenza, Messico, Roma, Udine