Agguato al blindato italiano di Francesco Grignetti

Agguato al blindato italiano Agguato al blindato italiano Una mina nascosta sulla strada di Kljna Francesco Grignetti inviato a PEC Un boato nella notte. Il blindato che viene sbalzato per aria. Raffiche di mitra e poi tre colpi di fucile. Una pattuglia di bersaglieri italiani è caduta in un agguato sulla strada che conduce da Pec a Kljna. Per fortuna non ci sono morti o feriti. Il blindato italiano, in sigla VMP, che i soldati hanno affettuosamente ribattezzato «scarafone», ha retto bene all'esplosione di una mina. La prontezza di spirito del tenente colonnello Luciano Portolano che comandava l'equipaggio, poi, ha fatto il resto. «Siamo usciti dal mezzo e ci siamo sistemati a difesa. E' stato a quel punto che ho sentito i tre spari. Ho detto ai miei di non rispondere subito al fuoco. Ho gridato più volte "Italiani! Natoi". E' calato il silenzio. Abbiamo visto solo delle ombre dileguarsi in lontananza». Con tutta probabilità, gli aggressori erano uomini dell'Uck. Nella cittadina di Kljna, in quel momento, c'era ancora una guarnigione di polizia jugoslava che si ap- prestava a ritirarsi. Ritiro effettuato regolarmente all'alba. I guerriglieri albanesi forse lo sapevano e hanno organizzato un'imboscata contro qualche mezzo isolato. Commenta il generale Mauro Del Vecchio, comandante della Brigata Garibaldi: «Non credo che fosse un'azione ami-italiana». Ma intanto procede il racconto del colonnello Portolano, con una vistosa benda sul cranio per via di una testata contro una maniglia: «Su quella stradina, al pomeriggio, era passato un nostro convoglio con jeep, blindati e un carro armato Leopard. Andavamo per la prima volta a Kljna, dove abbiamo sistemato un piccolo distaccamento e dove c'è una popolazione serba di 2-3 mila persone molto spaventate. Un'ora prima di noi, sulla stessa strada, era passata un'altra pattuglia italiana. Erano le 2 di notte. La mia sensazione è che quella mina fosse stata piazzata lì da pochi minuti». Così vanno le notti, e da tanto tempo, in questo pezzo di Kosovo a ridosso delle montagne. Notti piene di spari, agguati, morte. Le parole del colonnello, uomo sui 40 anni, di Agrigento, magro e nervoso, con ampia esperienza di missioni all'estero, vibrano ancora di emozioni. «Quando ho sentito il boato, e la puzza di polvere, ho pensato: e mù' chi sono questi? Poteva essere una fazione o l'altra. Ma noi siamo un esercito di pace e abbiamo degli ordini precisi. Non possiamo metterci a sparare all'impazzata. Così ho detto all'equipaggio, c'era il maggiore Federico Zuccarelli, il primo caporalmaggiore Nicolò Tona e il caporalmaggiore Marco Cerrito, di stare calmi. "Tutti fuori". Siamo riusciti ad aprire il portellone di sinistra, il blindato era mezzosghimbescio, e con le quattro luci arancioni che lampeggiavano. E' stato il momento più critico. Ci siamo spostati di corsa in un punto buio e sistemati a 360 gradi». Dietro di loro c'era un secondo mezzo blindato. Hanno visto la fiammata che alzava per aria lo «senrafone» da due tonnellate. Hanno sentito anche una mitragliata. Era un'imboscata. Ma la radio del primo mezzo, dopo l'urto, non funzionava più. Il secondo nemmeno l'aveva (a proposito, sono pochissimi nella brigata ad avere le radio: evidentemente al ministero della Difesa non sanno l'esigenza di far comunicare gli uomini sparsi per un territorio vasto e ostile). Così quelli del mezzo d'appoggio sono andati a chiamare soccorso. Intanto i quattro bersaglieri, buttati a terra, cercavano di capirci qualche cosa. «Le raffiche di mitra, onestamente, io non le ho sentite. Me le hanno raccontate quelli che stavano dietro. Io ho riconosciuto solo tre colpi di fucile. A quel punto ho cominciato a gridare "Italiani! Nato!". E' stata la prima cosa che mi è venuta in mente. Se cercavano qualcun altro, avrebbero capito che sbagliavano. Se insistevano, beh, avremmo cominciato a sparare pure noi». Per fortuna, invece, gli aggressori senza volto, così conio si erano materializzati, silenziosamente si sono dileguati. E' rimasta una voragine di un metro nel terreno, sul lato sinistro della stradina, lì un autoblindo danneggiato seriamente alla ruota anteriore. Passata la paura, il colonnello Portolano ieri pomeriggio già scherzava sul fatto. «Magari potessi prendermi qualche giorno di licenza e tornare in Italia. Da domani sarò di nuovo in strada a pattugliare. Comunque ho subito chiamato la famiglia per dire di stare tranquilli». Ieri Portolano era al centro dei festeggiamenti per lo scampato pericolo. E molti suoi colleghi, scaramanticamente, hanno voluto una stretta di mano. Portolano, infatti, alcuni anni fa era rimasto coinvolto in un altro pauroso incidente: l'elicottero dove si trovava, in Friuli, ò precipitato. Nessun danno all'equipaggio grazie all'abilità del pilota. Da allora i bersaglieri lo considerano il portafortuna del 18° reggimento. L'ufficiale racconta «Siamo usciti dal mezzo e ho udito degli spari, ho urlato "siamo italiani, Nato" Alcune ombre si sono subito allontanate senza rumore nella notte» Gli aggressori erano probabilmente ribelli che avevano progettato un attacco ai mezzi in ritirata della polizia serba Nessuno dei quattro bersaglieri ha riportato ferite I blindato italiano saltato In aria la notte scorsa dopo essere incappato in una mina nella zona di Kljna, nel Kosovo orientale

Persone citate: Brigata Garibaldi, Cerrito, Federico Zuccarelli, Leopard, Luciano Portolano, Mauro Del Vecchio, Nicolò Tona, Portolano

Luoghi citati: Agrigento, Friuli, Italia, Kosovo