SPADOLINI l'Italia, che fatica

SPADOLINI l'Italia, che fatica Tornano, con una introduzione di Bobbio, i ritratti di ottantasei protagonisti della nostra storia SPADOLINI l'Italia, che fatica Norberto Bobbio GIOVANNI Spadolini ebbe in mente sin da quando era adolescente un libro illeggibile e non esclusivamente 1 accademico» che servisse da «guida dei protagonisti del riscatto nazionale». Lo compose a poco a poco lungo gli anni, aggiungendo ad ogni nuova edizione altri ritratti. I primi erano già apparsi nel volume Autunno del Risorgimento (1971); i successivi, più numerosi, furono aggiunti nella prima edizione di questo libro, in due volumi, il primo dedicato all'Ottocento, il secondo al Novecento, usciti nel 1972. L'ultima edizione in un solo volume, sottotitolata La storia di una nazione attraverso i ritratti di 112 protagonisti, e indicata come definitiva, è apparsa nella primavera del 1993. Un'opera come lo stesso Spadolini l'ha definita, «per tanti aspetti conclusiva delle mie ultraquarantennali ricerche sull'idea dell'Italia e sulla storia d'Italia». «Definitiva» l'ultima edizione, in quanto la galleria dei ritratti era da considerarsi compiuta, ma nello stesso tempo anche opera «aperta», anzi «infinita)), perché in una concezione liberale della storia, ispirata alla «religione della libertà e del dubbio», nessuna opera umana è mai compiuta. Soprattutto per chi è chiamato a riflettere sulla storia d'Italia, di cui nell'ultimo suo discorso pronunziato in Senato, poco prima della morte, disse che è «la storia di una nazione che si è costruita gradualmente in base ad un'identità di lingua e di cultura, che ha preceduto di secoli la formazione dello Stato, in un processo che appare miracoloso, ma che in realtà è stato faticoso, contraddittorio, spesso paradossale, pieno di sacrifici, in gran parte deludente {Risorgimento senza eroi, come avrebbe detto il nostro Gobetti)». L'esempio di Gobetti A Gobetti, alla visione storica e politica dell'autore di Risorgimento senza eroi, Spadolini cominciò ad accostarsi sin dai precocissimi passi compiuti nell'apprendimento del mestiere-di storico. Nell'ultima prefazione di questo libro, datata marzo 1993, attribuisce all'insegnamento gobettiano l'inclinazione «a tutto rivedere, a tutto ripensare, a tutto ridiscutere, senza l'aiuto di alcuna liturgia, senza lo scenario di alcuna terra promessa». Scrive ancora in Gobetti. Un'idea dell'Italia che c'era nel giovane scrittore un uso del termine liberale nel senso opposto alla convenzione e alla tradizione e la sua era una rivoluzione liberale che non essendoci mai stata nel nostro Paese doveva essere proiettata verso il futuro. Risorgimento senza eroi non vuol dire, per Spadolini, accondiscendere alla tesi più radicale del rifiuto del Risorgimento, di cui si erano fatti portatori i marxisti, da un lato, e gli intransigenti cattolici, dall'altro. Spadolini non ha mai cessato di distinguere l'opposizione laica (a cui riteneva di appartenere) dalla duplice opposizione della reazione cattohca e della rivoluzione mancata. Si rende perfettamente conto che il Risorgimento deve essere smitizzato, ma è anche fermamente convinto che non se ne debba rifiutare l'eredità, richiamando i valori perenni di libertà, di civiltà e di umanità. Nella postfazione all'Autunno del Risorgimento ( 1971 ) scrive a proposito della sua passione giovanile per gli studi storici: «Un Risorgimento insieme amato e respinto, insieme coltivato nei particolari dell'erudizione e superato nelle facili generalizzazioni degli schemi armati di sciabola». Più che una rivoluzione mancata, il Risorgimento è stata una rivoluzione incompiuta, interrotta, e non poteva non esserlo, negli anni postunitari di ordinaria e necessaria amministrazione; incompleta, tanto da essere oggi ancora contestata da minoranze improvvisate che rinnegano lo stesso processo unitario. Ma poprio perché interrotta, da continuare nella sua aspirazione ideale di un'Italia unitaria (che non vuol dire accentratrice) e libera. Da continuare «senza alcuna pretesa di soluzioni dogmatiche e definitive per chi vorrà attuare tutte le future trasformazioni della nostra società ma nel segno della democrazia e della tolleranza». L'unità è oggi tanto più necessaria quanto più l'Italia si apre all'Europa. Spadolini, pur dichiarandosi unitario per l'Italia, non esita a proclamarsi federalista per l'Europa: «A distanza di sessantanni - scrive in una delle prefazioni a quest'opera - il nostro animo è lo stesso di Croce nelle pagine conclusive della Storia d'Europa*, dove il vecchio filosofo sostiene che il processo inevitabile di unificazione europea «è direttamente opposto alle competizioni dei nazionalismi e tende a liberare il vecchio continente da tutta la psicologia che ai nazionalismi si congiunge e li sostiene e ingenera modi, abiti e azioni affini». Gli uomini che fecero l'Italia non è un catalogo, e tanto meno un'enciclopedia. Non pretende di essere una «galleria» di ritratti completa, né di essere, diversamente da un dizionarietto, equidistante. Sono entrati a far parte della galleria che per quanto ampliata nelle successive apparizioni, è ormai da considerarsi chiusa, solo i personaggi che lo storico ha più studiato e più amato, coi quali ha intrecciato e sempre mantenuto un dialogo fecondo. Una scoperta autobiografia Pertanto l'Autore non nasconde, anzi dichiara apertamente, che l'opera nel suo insieme ha anche un carattere autobiografico. Qua e là i riferimenti a circostanze della propria vita sono scoperti. Uno dei ritratti di Mazzini inizia col ricordo di aver celebrato a Savona i 150 anni della nascita della Giovane Italia, insieme con Sandro Pertini, uno dei più ammirati «padri della patria». Parlando di Burzio, evoca la teoria del demiurgo «che colpì e sconcertò a metà degli Anni Trenta l'adolescenza nostra e di molti della nostra generazione». Nel ritratto di Prezzolali ricorda i primi dubbi religiosi, gli anni «squarciati» dal crociano «non possiamo non dirci cristiani» e «certi bagliori dell'autore di Io credo che si rifrangevano nel suo animo inquieto e cercante». Le fervide pagine dedicate a Salgari, creatore di un'autentica rivoluzione nella nostra letteratura giovanile, non si spiegherebbero se non fosse definito, se pure soltanto in un inciso, «il narratore che accompagnò la nostra infanzia». Il ritratto di Croce comincia con un ricordo personale di quando, come presidente del Consiglio, aveva insediato nella primavera del 1982 il Comitato per l'edizione nazionale delle opere del filosofo. Il nome di Salgari suscita naturalmente la domanda: «Come mai uno scrittore nella galleria che si presume composta soltanto di uomini politici?». Dei ritratti, esposti in ordine cronologico, il primo è di Alfieri, il secondo di Beccaria, il terzo di Bodoni. Nessuno dei tre rientra nella schiera degli uomini politici. Non ci si stupisca allora di vederci venire incontro via via Leopardi, Tommaseo, Guerrazzi, il giurista Carrara, Manzoni, Nievo, Carducci (dall'indice dei nomi risulta il più citato), Pascoli, Fogazzaro, Toscanini. Ma dei non politici l'aspetto lumeggiato, messo in particolare rilievo, è sempre quello che lambisce direttamente la sfera politica: per tratteggiare Leopardi ricorre alle parole con cui Carducci, mazziniano e garibaldino, difende il valore politico del poeta «patriota immelanconito e nostalgico». Manzoni è il senatore che, chiamato al laticlavio fin dal febbraio 1860 (un anno prima che lo Stato italiano unitario fosse proclamato), non conosce alcuna perplessità nella sua determinazione di volere Roma capitale, avendo «più fitto che mai il chiodo di Roma», onde si reca a Torino, nonostante i contrasti tra i suoi stessi fedeli che cercano di trattenerlo, e nel marzo 1861 vota per Roma capitale. Il ritratto di Verdi comincia con la notizia che il distretto di Busseto dopo la pace di Villafranca indica l'ormai famoso compositore, gloria nazionale, come deputato all'assemblea dell'ex ducato. Nato politicamente come mazziniano, poi liberale e monarchico nel «'59, cavouriano, eletto alla fine controvoglia deputato nella prima Camera del Parlamento nazionale del 1861». Carducci ò il poeta civile, «avversario implacabile dei moderati, nemico giurato della Destra, vate della ribellione», se pur nella realtà conservatore intransigente, deciso a difendere lo conquiste del Risorgimento, nemico del pacifismo delle leghe umanitarie e dei socialisti in cui vede una minaccia per l'unità. A differenza di Pascoli, il «Virgilio cristiano», che, «partecipe tormentato e insoddisfatto alle vicende politiche del suo tempo ondeggiante tra la fedeltà socialista e le suggestioni nazionalistiche, non lasciò tracce visibili nella vita politica contemporanea». |...| Un fautore della terza forza Di questi ritratti «busti, tutti, senza piedistallo», è stato scritto felicemente da Giuseppe Talamo, che sono stati composti non per designare degli eroi da proporre come modelli, ma per rintracciare in quei politici, giuristi, letterati ed artisti un filo comune, cioè una certa idea dell'Italia della ragione e della cultura. Politicamente, Spadolini si considerò sempre fautore della terza forza, intesa corno forza intermedia tra i due partiti di massa che hanno contrassegnato la storia della prima repubblica. Un'idea dell'Italia che politicamente alimentò dai primi agli ultimi scritti il miraggio di un movimento che avrebbe dovuto essere il centro propulsore del sistema, inteso non solo come medietà tra i due estremi, che in quanto estremi riteneva incompatibili con ogni forma di governo democratico, quanto come punto di riferimento per la costruzione di una democrazia moderna, equilibrata nelle varie parti, laica ma rispettosa delle istituzioni ecclesiastiche e delle coscienze individuali dei cattolici, saldamente costituita sui principi dello Stato di diritto, non insensibile alle esigenze della giustizia sociale, non nazionalista, pacifica, rispettosa dell'ordine internazionale ricostituito alla fine della guerra. Una democrazia che in un Paese sempre in balia di forze diametralmente opposte non sottoponigli a un regolare avvicendamento, aveva sempre avuto vita difficile, ma che, come si legge nell'ultimo discorso già citato, «nonostante tutte le contraddizioni, aveva conquistato a duro prezzo un posto nel consesso delle nazioni civili». Era d'accordo con Croce: l'Europa non può fondarsi sui nazionalismi In cerca dell'anima autentica del Paese Una galleria di eroi «senza piedistallo ZTr.lf.'r•'•»"» «4. KT«»; 0mm hTT^L 10. I aw l M C, ««w j) •»« i»»., *?* «ah i Nb tméU «j r~, •"» ••-»*.» Co, "* ti j, •■~*>"' '.i. I Giovanni Spadolini. A destra uno dei suoi elzeviri pubblicati sulla Stampa Gli uomini che fecero l'Italia, il libro di Giovanni Spadolini che raccoglie i ritratti di ottantasei protagonisti nella storia dell'Italia moderna e contemporanea - da Cesare Beccaria a Piero Gobetti, dalla metà del Settecento al primo dopoguerra - torna in edizione tascabile nella Tea, a cura di Cosimo Ceccuti. Anticipiamo un ampio stralcio della nuova introduzione scritta da Norberto Bobbio.