La sfida di Fini: o con me o me ne vado

La sfida di Fini: o con me o me ne vado Il leader di An rinnova le sue^ una simile batosta non si può fare gli struzzi La sfida di Fini: o con me o me ne vado Il partito deve scegliere: con l'Elefante o nel Polo? Aldo Cazzotto ROMA «So' proprio stronzi...». Prego? «Quelli che oggi lo criticano, io in campagna elettorale non li ho mai visti». Scusi, signora, allude agli avversari di suo marito? Daniela Fini cambia discorso, parla di calcio e dei romanisti. Foco più in là, Giulio Maceratine, capogruppo dei senatori di An e leader dell'ala «polista», spiega ai cronisti: «Gianfranco non può ricattarci Noi gli offriamo una via di uscita», non una delega in bianco. Fedeltà a Berlusconi, riposizionamento a destra del partito: ecco le richieste che Maceratila, Maurizio Gasparri, Ignazio La Russa rivolgono dal podio della direzione nazionale a Fini, che a sorpresa ha appena ribadito le sue dimissioni. E se si rivelassero irrevocabili? «Faremo una seduta spiritica alla Prodi - risponde Maceratali -, alla ricerca di un leader». Fini era pronto a lasciare già lunedì, ma di fronte al coro di no era tornato indietro. Così, quando alle 15 prende la parola, lascia sbigottiti i suoi: «Se ai perde un terzo dei voti, non si può fare gli struzzi. Rassegno le mie dimissioni, adempiendo a un dovere verso il partito e la mia coscienza. Ma so che a volte è più coraggioso continuare che abbandonare, e sono pronto a dimostrarlo. Purché ci siano le condizioni politiche e di fiducia personale». Il presidente resterà, ma soltanto «se la classe dirigente, o la sua maggioranza, sarà d'accordo con me. Non potete chiedermi di fare da megafono per una politica che non condivido». E' l'ora dello scontro, non degli «unanimismi di facciata che troppo spesso hanno nascosto le divergenze. Una sola cosa vi chiedo: non insistete con la mozione degli affetti: sarebbe quasi una sceneggiata». E invece. Gasparri: «Gianfranco, ci conosciamo da 25 anni. A noi, una volta, ci sparavano. Qualcuno è sopravvissuto, qualcuno no. Ne abbiamo viste di peggio...». La Russa: «Gianfranco, non è vero che i sentimenti in politica non contano. La nostra classe dirigente per tradizione è rissosa quando le cose vanno bene, ma diventa una comunità quando vanno male» («farabutto», lo smentisce l'on. Benito Paolone). Francesco Storace: «Gianfranco, quanta acqua è passata sotto i ponti, e quante nuotate in quell'acqua...». Che il carisma del leader sia intatto, si capisce quando Maceratimi chiede una discussione a porte chiuse: «Sono entrato nel partito nel '52, e stavamo fuori dal comitato centrale a origliare. Adesso invece siamo in diretta su Internet». La sala applaude. Buontempo chiede di far restare i giornalisti. La sala rumoreggia. Ma quando Fini, per una volta, si schiera con Er Pecora, Maceratila ritira la proposta. Che non sia un giorno qualsiasi, si capisce quando il leader si toglie la giacca. Resterà in camicia ad ascoltare per sette ore (tranne una puntata alla toilette alle 19 e uno sbadiglio alle 20 al cospetto dei distinguo del generale Ramponi). Enzo Trentino cita Einaudi - «beri dicebamus» - e Boniperti - «Non cacciamo l'allenatore per uno schema sbagliato» -, Sandra Fei pare Jung nei suoi momenti più belli - «Confrontiamoci per ridefinire noi stessi e la nostra personalità» -, il Uberai Enzo Savarese ricorda sobriamente che «alla gente non interessa la proporzionale, ma non incontrare i negri sull'autobus» (e si becca un attacco da sinistra di Storace e un excursus storico di Tremagli;» sul «Duce che concesse la cittadinanza ai libici»). Marco Zacchera attacca il Financial Times che «ci ha offesi, definendoci fascisti» (voce in sala: «E 'ndo sta l'offesa?»), Giuseppe Basini interrompe una tirata contro «la vecchia guardia Msi» per scolarsi una Coca-Cola che l'antiamericano Tremaglia auspica corretta alla diossina. Ma è la figura del Cavaliere e la questione dei suoi rapporti con An a dominare. Maurizio Gasparri annuncia di essersi «rotto le palle con questa storia dei berluscones» («Io invece sfuma M ace rat ini - mi sono rotto i coghoni»). Il capogruppo dei senatori è il più netto nel bocciare l'alleanza con Segni e nel chiedere un congresso a ottobre - «Cinque anni senza congressi erano troppi persino per Al mirante» -, ed è aneli e il più applaudito. Capofila dei sostenitori della Linea di Fini - lealtà all'Elefante, competition con Forza Italia -, Storace esordisce con «Berlusconi sia lodato», attinge al genere letterario antì-berlusconiano - il cerone, il cuoco Michele, gli «ignobili articoli» di Baget-Bozzo -, e sintetizza il concetto che sta a cuore al leader: «Se la maggioranza vuole Gianfranco presidente con la linea di Maceratini, io sto all'opposizione». «Le altre volte - sussurra Gianni Alemanno - c'era Tatarella a rimettere Fini in linea col Cavaliere. Ma stavolta Gianfranco non intende andare ad Arcore a farsi battere la mano sulla spalla». Stamattina si riprende: nella notte «berlusconiani» e destra sociale cercano un compromesso. «Non credo che il partito sconfesserà la linea di Fini - prevede Alemanno -. Che cosa farà altrimenti Gianfranco? Forse uno di quei lunghi viaggi che sogna. 0 una battaglia congressuale. O una lista sua. Di tutte, questa mi pare la più improbabile». Non per Buontempo, però, che quasi auspica «una lista Fini», per ritrovare il suo Msi. «So' proprio stronzi», scuote il capo la signora Daniela; e forse non allude ai i-umanisti. «Gianfranco non può ricattarci noi gli offriamo una via d'uscita non una delega in bianco» «Lealtà al patto e competizione con Forza Italia In caso contrario io passo all'opposizione» «Siamo nei guai Le altre volte c'era Tatarella a rimettere a posto le cose con il Cavaliere» LA MOGLIE DANIELA «Quelli che oggi criticano mio marito in campagna elettorale io non li ho visti» Il presidente (dimissionarlo) di Alleanza nazionale Gianfranco Fini

Luoghi citati: Arcore, Roma, Trentino