Marini, chiarimento «a tappe»

Marini, chiarimento «a tappe» Seduta fiume dell'ufficio politico Ppi: se insistete per le dimissioni, io resto Marini, chiarimento «a tappe» JZ segretario sfida la base: contiamoci Un 'alleanza a tempo con De Mita Maria Teresa Meli roma" «Ti devi dimettere. Lo devi fare adesso, lo devi fare per il partito, perché se non lo rilanciamo rinnovando la classe dirigente, esplode. Dobbiamo eleggere il nuovo segretario nel consiglio nazionale di luglio». Pierluigi Castagnetti, filoprodiano del Ppi, affronta Franco Marini nel suo studio a piazza del Gesù. E' mattina, la lunga riunione dell'ufficio politico si terrà solo tra Salche ora, ma gli amici del Proisore preferiscono chiarire subito come la pensano. Il segretario, però, è di tutt'altro avviso. «Io resto. Non mi dimetto. Ti dirò pure che ci avevo pensato ma più voi fate cosi, più io mi convinco die devo rimanere. La verità è che nelle elezioni amministrative noi siamo andati bono. E' questo il risultato politico che conta, quello delle europèe, invece, è Un voto in libertà». Castagnetti capisce l'antifona: il leader vuole rimettere il mandato in direzione per mantenere il suo ruolo fino al congresso e indicare il suo successore nel fedele Dario Franceschini. Perciò la replica è dura: «Guarda che noi stiamo mobilitando la base, che è scontenta», dice a Marini. Il coiaio non fa una piega e risponde brusco: «Al Nord siete andati male, tant'è vero che tu non sei stato nemmeno eletto. Volete forse la conta, e allora facciamola questa conta, anche se non vi conviene». A sera, nella riunione dell'ufficio politico, che dura per più di quattro ore e mezzo i toni sono altret- tanto aspri, ma, molto democristianamente si tenta il compromesso. Dice Marini: «Rimetterò il mio mandato in direzione. Non ho nessun disegno egemonico, penso soltanto che prima di parlare di nomi occorra stabilire la linea politica». Osserva Castagnetti: «Io non voglio le tue dimissioni, voglio che tu abbia la consapevolezza della drammaticità della situazione. La periferia ha bisogno di un segnale di discontinuità». Anche De Mita è critico e afferma: «Questa sconfitta non è irreversibile e non è che siccome siamo piccoli dobbiamo andare con Prodi. Per ragionare di alleanze è necessario avere una strategia politica, che è quella del rilancio del centro sinistra, non dell'Ulivo, che non si capisce bene che cosa sia». De Mita dà ragione a Marini sui tempi lunghi del chiarimento e del cambio della guardia. Alla fine si decide che le tappe saranno quelle indicate dal segretario: direzione, il 28 giugno, consiglio nazionale, tra il 5 e il 9 luglio, congresso in novembre per sancire l'aggiustamento di linea politica ed eleggere il successore. Marini, dunque, non ha la benché minima intenzione di demordere. I prodiani sono in minoranza. De Mita critica la linea del segretario, ma non vuole ingaggiare battaglia con lui in questo momento. «Prudenza, prudenza», ripete ai suoi. E l'idea di De Mita è quella di assecondare il Marini che vuole rinviare il cambio della guardia al congresso, e di condizionarne le future mosse. La sintonia, però, si ferma qui. 11 segretario vuole trasformare il ppi in un partito che dialoga con l'ulivo e i Democratici, De Mita invece pensa ad una federazione di centro senza Prodi. Marini punta a far eleggere Franceschini, l'ex leader democristiano vorrebbe dare la segreteria al ministro Zecchino. Perciò, è un'alleanza a tempo quella tra i due. Sebbene i maligni sostengano che, alla fine, se. non riuscisse a mandare in porto il suo progetto, De Mita potrebbe accettare l'ipotesi Franceschini, ottenendo in cambio la presidenza del partito. Ma, mentre i "Li;;" sono intenti nei loro giochi tattici, le cose, dentro il ppi, rischiano di incancrenirsi. Sono troppi i rancori e i conti in sospeso. Gerardo Bianco, per esempio, si presenta a piazza del Gesù e confida: «Voglio vedere se avranno il coraggio di guardarmi negli occhi». Ce l'ha con De Mita, naturalmente, ma anche con Marini, che gli ha fatto una «telefonatina» solo dopo che l'Adii Kronos aveva raccolto un suo sfogo, all'idomani della bocciatura. Perciò chiede le dimissioni dell'intero gruppo dirigente. C'è poi Nicola Mancino, che aspetta di "ringraziare" il segretario che lo ha bruciato nella corsa al Quirinale. Da casa popolare le tensioni tra i ppi si trasferiscono anche in consiglio dei ministri, dove si discute della riforma sanitaria di Rosy Bindi. Il ministro la difende, ma Zecchino la interrompe con queste parole: «E' una riforma statalista e io non la voterò mai». Urla, strepiti, la Bindi scoppia a piangere. Insomma, il rischio paventato lunedi scorso da Enrico Letta, quello della diaspora, è reale. Filo-prodiani di ferro potrebbero traghettare nei Democratici mentre qualche altro potrebbe cedere alle lusinghe del Polo. Proprio per questo, o per convincere Marini a cedere, qualcuno, come Lapo Pistelli, aveva proposto una soluzione-ponte: una reggenza, affidata a Bcdrato, fino al congresso. «Abbiamo fatto sentire il segretario come un tacchino alla vigilia di Natale e forse abbiamo sbagliato perchè così lui si è arroccato», osserva Pistelli per spiegare la sua ipotesi di mediazione. Il "tacchino-Marini", però, non ha nessuna intenzione di finire nel piatto dei suoi avversari. Ma sino a che punto può contare su De Mita e sulla sua maggioranza per scongiurare questo pericolo? Ma cresce il rancore a Piazza del Gesù Gerardo Bianco «Avranno ilcoraggio di guardarmi negli occhi?» E in Consiglio dei ministri lite 6indi-Zec(±Lino Franco Marini: è segretario del partito popolare dal 12 gennaio 1997