LA SALVEZZA E' NEL DISTACCO di Anacleto Verrecchia

LA SALVEZZA E' NEL DISTACCO LA SALVEZZA E' NEL DISTACCO La lezione mistica di Eckhart N tutte le cose c'è legge di compensazione: i domenicani riempirono il cielo co.'i il fumo acre degli autodafé, ma alcuni di loro lo hanno anche illuminato con speculazione mistica e filosofica. Alberto Magno, Tommaso d'Aquino, Eckhart, Tauler, Suso, l'anonimo autore della Theologia deutsch, re della Theologia deutsch, Giordano Bruno, Campanella, tanto per nominare i più famosi, erano tutti domenicani. Ma qui dobbiamo occuparci solo del grande mistico tedesco Meister Eckhart, vissuto a cavallo tra il 1200 e il 1300. Per Schlegel, egli è uno dei più grandi pensatori; per Baader, lo spirito centrale della mistica medioevale; per Hegel, un eroe della speculazione. Ma il giudizio più profondo resta quello di Schopenhauer, che nel Nachlass, ancora in gran parte inedito per il lettore italiano scrive: Particolare da p,per il lettore italiano, scrive: «Meister Eckhart ha concezioni mirabilmente giuste e profonde; solo che il modo di trasmetterle è guastato dal fatto che, in conseguenza della sua educazione, la mitologia cristiana era affatto diventata, in lui, un'idea fissa, così che, per conciliarla con la propria concezione o almeno per parlare la sua stessa lingua, egli è sempre alle prese con Dio, con le tre persone della Trinità e con la santa Vergine, che però egli prende in senso allegorico. Ciò che ne vien fuori è un discorso difficile., a, capirsi e, talvolta'; perfino contraddittorio». Insomma Eckhart, «impacciato dalle pastoie della mitologia cristiana», non può esprimere in forma chiara ed esplicita i propri pensieri, ma è costretto «a tradurli nel linguaggio e nella mitologia del cristianesimo». Cosi egli «dice quello che non pensa e pensa quello che non dice». Questo ricorda un po' i diplomatici, ma con la differenza che sotto le feluche non c'è spesso niente (parlo per esperienza), mentre sotto il cappuccio del domenicano Eckhart c'era una mente speculativa di primissimo ordine. Ed è sempre Schopenhauer a riconoscerlo: «Buddha, Eckhart ed io insegniamo, in sostanza, la stessa cosa». Infatti tutti e tre hanno la chiara coscienza della caducità universale e tutti e tre additano nel «distacco» la via della redenzione. Distacco da che cosa? Ma dal mondo delle divoranti passioni e degli sfrenati desideri, ossia dal samsara, per dirla con i buddhisti. Tutto è illusione e vanità! Giustamente Marco Vannini, curatore di questo bel volumetto, scrive in una nota: «Il tema dell'irrealtà, dell'impermanenza delle cose - e del soggetto che in sé sono nulla e prendono l'essere in prestito da Dio, istituisce il possibile confronto con il buddhismo». Ecco un pensiero di Eckhart sulla vanità del mondo: «Chi cerca la pace nelle cose esteriori, si tratti di luoghi o di modi d'essere, di gente o di opere, di paese lontano, di povertà o di umiliazione - qualsiasi cosa sia, e per quanto grande sia, ciò è nulla e non dà la pace. Chi cerca così cerca in modo completamente sbagliato: più si allontana e meno trova quel che cerca. Costui incede come chi ha perduto la strada: più si allontana e più si fuorvia. Che cosa deve fare, allora? Deve prima di tutto abbandonare se stesso: così abbandona tutte le cose». E la teoria della rinuncia, che viene sviluppata nel meraviglioso trattato «Del distacco»,pp. 131-146. Quic'èla quintessenza del pensiero di Eckhart, che pone il distacco al di sopra di tutto, anche Dùrer a , t i i i i a , . o ù l e i e e e e l a i o e dell'amore e della misercordia. Sono pagine illuminanti e non dissimili, nella sostanza, dai Discorsi di Buddha e dal Mondo come volontà e rappresentazione. E se per il buddhismo il Nirvana è il Nulla, anche Dio è detto dai mistici come Eckhart il Nulla eterno. Le differenze sono più che altro esteriori, di linguaggio. Né si può parlare di influsso, in quanto Schopenhauer, allorché scrisse la sua opera principale, non conosceva ancora il b u d d lvLs.m o , mentre jpFscritti di Eckhart li lesse appena un paio d'anni prima di morire. I grandi filosofi, se ci si pensa bene, giungono tutti, sia pure per vie diverse, alla stessa conclusione: il mondo è il regno del male e la vita, nel migliore dei casi, un affare che non copre le spese. Detto più drasticamente, il mondo è un condominio tra la malvagità e la pazzia: l'una regna e l'altra comanda. Odi sordi, invidie livide, passioni distorte e inappagate, ingordigie di ogni genere e vanità a non finire: il saggio trascende queste cose e brilla d'indifferenza, come dice Marco Aurelio, per tutto ciò che lo circonda. Eckart, nel suo slancio mistico, è ancora più radicale: «L'uomo che permane in un totale distacco è rapito nell'eternità a tal punto che nulla di effimero può turbarlo». Il distacco, frutto della conoscenza, conferisce pace ed ele- f;anz.a allo spirito. Una visuaizzazione statica del distacco l'abbiamo nell'Apollo del Belvedere, la cui testa sembra come divisa dal resto del corpo. Che cos'è, in fondo, la volgarità, che non va confusa con la scostumatezza? E' la prevalenza della volontà, ossia delle passioni e delle ingordigie, sulla conoscenza. Per • questo è così raro trovare volti sereni, spirituali e ridenti. La gente non si appaga mai di niente e nuota nella schiuma del superfluo. E non si pensi, ammonisce Eckhart, «di fondare la santità sulle opere: la santità va fondata sull'essere (...) Quelli che non sono di natura nobile, qualsiasi opera compiano, non serve a niente». I buonisti, i perdonisti, gli snob della carità e quelli che lavorano nel «sociale» se lo tengano per detto. Che poi anche al domenicano Eckhart intentassero un processo per eresia non deve fare meraviglia: la Chiesa non ha mai visto di buon occhio l'intelligenza, soprattutto quella geniale. Comunque la morte, sopravvenuta intorno al 1327, lo sottrasse alle conseguenze di quel processo e forse al rogo. • Anacleto Verrecchia Particolare da Dùrer DELL' UOMO NOBILE Meister Eckhart Adelphi pp.24l L 20.000