QUANDO LE DECISIONI ONO IRREVOCABILI

QUANDO LE DECISIONI ONO IRREVOCABILI QUANDO LE DECISIONI ONO IRREVOCABILI 1940: l'Italia entra in guerra, traballando "~BHB™" VI 1 / y * ■ J / I ii ii BMIH ■nimrtfM 0RA ^e'*e decisioni irrevocabili è giunta»: ora il 10 giugno 1940 e dal balcone di piazza Venezia Mussolini annunciava alle folle d'Italia che s'entrava in guerra contro la Francia e l'Inghilterra. Di quella giornata sono pieni innumerevoli diari. Qualcuno tenuto da personaggi non solo ben addentro alle cose del regime ma, altresì, osservatori intelligenti di quanto accade attorno: «La piazza si gremisce di una folla ora silen- /.iosa, or tumultuante - scrive Giuseppe Bottai -. S'avverte la iri ridi lii S ppfatica dei pochi nuclei volitivi a indirizzare gridi e acclamazioni. Senso d'una quasi stupita disciplina, che il partito non ha saputo illuminare neppure con delle parole d'ordine. E' la guerra. Mussolini parla preciso, a brevi frasi scandite, senza gesti. Non improvvisa: lievi pause rivelano la lettura interiore d'un meditato discorso». In quel discorso, quella frase - «l'ora delle decisioni...» entrata per sempre nella memoria e nei modi di dire della generazione che la senti rimbombare dagli altoparlanti di tutte le piazze della Penisola. Dentro quella frase "aggettivo era l'elemento che più colpiva e modellava di sé tutto l'annuncio. «Irrevocabili»: delle dichiarazioni di guerra - a pensarci bene - non possono che essere tali poiché una possono che essere tali poiché una volta che la parola passa alle armi il discorso che queste dispiegano (e che ha una sua autonoma sintassi, la strategia, e una propria grammatica, la tattica) non può più essere tacitato, annullato, revocato da ulteriori parole. L'aggettivo, dunque, in quel caso svolgeva onestamente il suo ruolo di qualificazione. Rinunciandovi - però -M non si sarebbe penalizzata l'efficacia della comunicazione stessa, Tuttavia, al di là delle esigenze della prosa mussoliniana , solitamente gran divoratrice di aggettivi, queir «irrevocabili» era proprio come l'etimologia suggerisce debba essere l'impiego degli aggettivi: destinati a costituire delle aggiunte, delle sporgenze. Qualcosa che - balcone, cornice, mensola - fuoriesce in modo pronunciato dal corpo di quella costruzione che è il discorso. Così «irrevocabili» finiva con l'essere - nella costruzione comunicativa costituita dal discorso mussoliniano scandito dal balcone di piazza Venezia - un balcone aggiuntivo. Un balcone metaforico - affollato di reconditi e contraddittori significati - sovrastante il concretissimo balcone, nereggiante di divise, dal quale stava parlando Mussolini. Il contrario di irrevocabile è, ovviamente, revocabile, evitabile. E rispetto aila guerra, molti - tra coloro che stavano attorno a Mussolini in quella primavera del 1940 - pensavano che fosse non solo evitabile ma del tutto sconsigliabile. Ciano, nelle pagine del suo diario, fissa per esempio l'evolver- si della posizione di Badoglio, l'uomo che rappresenta i vertici militari italiani. Il 10 gennaio «Badoglio - secondo il genero del Duce - è adesso politicamente ben orientato, non ritiene più possibile il completamento della nostra preparazione militare difensiva per l'anno in corso: le materie prime scarseggiano. Ci vorrà tutto il 1941, E nemmeno nel 1942 potremo prendere iniziative offensive...». Ma intanto le armate di Hitler mietono successi su successi e così, passo dopo passo, anche le posizioni evolvono. Il 9 maggio, un mese prima dell'entrata in guerra, Ciano parla con Badoglio durante una cerimonia all'Altare della Patria': il vecchio maresciallo -sempre stando al diario del delfino di Mussolini - «è meno antitedésco di prima (la vittoria norvegese ha prodotto i suoi effetti) pur mantenendosi fanatico della non belligeranza. Mussolini, parlandomi di Badoglio, ha detto che orinai lo ha convinto alla sua tesi, còsi come è avvenuto altre volte. Non credo che ciò sia giusto. Badoglio, di fronte ai successi tedeschi, e più prudente, ma escludo che sia convinto». Con l'avanzata vittoriosa dei nazisti verso il cuore della Francia gli umori mutano ulteriormente: «Badoglio fa buon viso a cattivo gioco e si prepara alla guerra. Cerca di guadagnare ancora qualche giorno.. Alla fine la guerra - irrevocabile - è dichiarata,.Ma tra il dire e il fare si frappongono - per quanto riguarda 1 l'alia - una quindicina d'anni di pressappochismo militare, di infetidamfnto, delle gerarchie, tranne poche eccezioni, al regime o a miserabili lobbies affaristiche. Così, sul. fronde terrestre che l'oppone: alla Francia, l'Italia pur schierando qualcosa cóme 22 divisioni fronteggiate da ima manciata di divisioni dell'Armée, lascia a. r .1 trascorrere la prima settimana di conflitto con le armi al piede: il bottino fatto dalla I e dalla IV armata (complessivamente oltre trecentomila uomini) è di cinque prigionieri. La guerra contro la Francia è vista malissimo. Pochissimi, tra i soldati mobilitati, vogliono combattere contro un Paese che continua ad essere considerato amico: «il mio reparto è la 12" batteria del 4° reggimento di artiglieria alpina - afferma una testimonianza riportata da Nuto Revelli ne «Il mondo dei vinti» -. Il 10 giugno da Mondovì raggiungiamo Rittana, e poi Chiapera nell'alta Valle Maira. Giudichiamo la guerra contro la Francia una guerra ingiusta, insensata, una vera e propria tragedia. Non per niente il nostro accampamento è sempre circondato dalle sentinelle, hanno paura che i soldati disertino e scappino in Francia...». Eppure, nelle stesse ore in cui i francesi chiedono l'armistizio a Hitler, Mussolini decide che è tempo di attaccare: alle 3 del 21 giugno ordina alle truppe, dal Monte Bianco al mare, di avanzare. E' l'inizio della «guerra delle 94 ore»: conflitto che a vede aggredire - con un senso di vergogna chio, invaso, decapitato della sua leadership. Mussolini vuole giungere fino al Rodano, a Grenoble, cosi da incorporare quel territorio al tavolo dove si tratterà lapace. A queste trattative armistiziali Mussolini giunge non con conquiste territoriali (mette le mani solo su 800 chilometri quadrati, vale a dire un centesimo nell'obiettivo pianificato) ma con un bilancio di perdite impressionante. Soprattutto se confrontato con quelle dei francesi che hanno contrastato l'avanzata: 631 sono i caduti italiani rispetto a quelli dell'Arance, 2631 i feriti in contrasto con i 62 registrati tra gli avversari. Ma sconcertante - e rivelatore dell'impreparazione dei quadri e dell'inadeguatezza dei mezzi con cui le truppe sono state portate in guerra - e l'ammontare dei congelati: 2151 mentre non se ne registrano sul fronte nemico. Tutto questo in giugno, quando la primavera - allora come oggi diventa estate. E le giornate, per chi non muore o non è travolto dalla guerra, sono le più lunghe e luminose dell'anno. Oreste Del Buono Giorgio Boatti gboatti@venus.it Una frase fissata per sempre nella memoria e nei modi di dire della generazione che la sentì ovunque rMombare Fatali si riveleranno anni di pressappochismo militare e di infeudamento delle gerarchie al regime o alle lobbies affaristiche A destra, il generale Pietro Badoglio 1.1 (Olili I COMUNI W l'I HNONACIil i« i Mi'.Moitit: \m iniihaiia m (MIA W i« \m m Da leggere: Giuseppe Bottai Vent'anni • un giorno Milano 1911 Galeazzo Ciano Diario 1939-43 Milano 1963 Nuto Revelli Il mondo del vinti Torino 1971