CASARSA E' L'ALBA
CASARSA E' L'ALBA CASARSA E' L'ALBA Nico Orango A NDRO' a Casarsa, domani, e là, forse, ritroverò la mia vecclùa ispirazione, che in fondo, è lietezza». Ecco apparire Casarsa, radice sentimentale e culturale di Pier Paolo Pasolini, fontana di «aga del me paìs», luce albale di tutta la sua iniziale lirica friulana. Il volumetto edito dal libraio Landi raccoglie gli esordi di Pasolini «dialettale», in omaggio ad una ricca stagione novecentesca che vede, da Tessa a Giotti, da Noventa a Marin, a Guerra a Pierro, una ininterrotta ricerca sulla «lingua madre». In Poesie a Casarsa, Pasolini traccia i confini di un suo mondo di fontane e gelseti, di campane e fossi, di un paese che «trema di un tempo antico». Un esempio fra tanti, Ploja tai cunflns (Pioggia sui confini): «Fantassùt, al plòuf il Sèil / tai spolèrs dal lo paìs, / tal to vis di rosa e mèil / pluvisìn al nas il mèis. Il soreli scur di fun / sot li branchis dai moràrs / al ti brasa e sui cunfìns / tu i ti ciantis, sòul, i muàrs.» (Giovinetto, piove il Cielo sui focolari del tuo paese, sul tuo viso di rosa e miele, nuvoloso nasce il mese. Il sole scuro di fumo, sotto i rami del gelseto, ti brucia e sui confini, tu solo, canti i morti). Sono poesie, ha scritto Giovanni Giudici, di «struggente liricità romanza» che sposano un tempo a parte, fatto di stagioni cadenzate, di ritmi naturali. Ancora ignorante le borgate e il sottoproletario urbano. Ma c'è, in questa lettera, un rovello molto interessante, ed è quando Pasolini sente «l'immaturità» delle sue poesie in italiano. E' lì che già mostra tutta la sua curiosità e «voracità» per il linguaggio. Da esplorarli, poi, tutti.
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