Pasolini: «Sogno soltanto la gloria»
Pasolini: «Sogno soltanto la gloria» In un inedito del 1942 l'estetica e la vita del poeta all'esordio Pasolini: «Sogno soltanto la gloria» E confessava che, quando scrìveva, tremava GENTILE professore»... Comincia così, in forma di lettera, uno degli scritti più inattesi di Pier Paolo Pasolini. E' una dedica che occupa il primo foglio e il verso del volume Poesie a Casarsa pubblicato a Bologna nel 1942 dalla I Libreria antiquaria Mario Landi. A leggerla, si rivela una vera e propria dichiarazione di poetica. Il testo apparirà sul prossimo numero della rivista Coevit a cura di Stefania Aluigi, che lo ha scoperto nella raccolta privata della Libreria antiquaria Mariincigh di Udine, che pubblica cataloghi di libri rari di poesia e letteratura italiana del Novecento. Per la prima volta Pasolini, presentandosi come poeta e sottolineando l'immaturità della propria creazione, confessa la propria ambizione («amo veramente la gloria») e, al tempo stesso, teme l'impurità del proprio lavoro poetico. Ecco perché scrive «tremando», ecco perché vorrebbe giungere alla suprema conquista per cui «ogni parola sia l'unica, ed ogni frase l'unica». Pier Paolo Pasolini GENTILE professore, ecco il hbretto, forse non tipograficamente bello come a voi sarebbe piaciuto, - ma in compenso modesto e schivo. Questo giorno ch'io credevo eccezionale, non è stato nemmeno triste, ma già sento gli indizi di giorni memorabili. Ormai quando il mio carissimo seme è partito, era cominciata per me una tensione estrema di meditazioni e approfondimenti, causata forse dalla netta coscienza di immaturità delle mie poesie in italiano. Avrei bisogno che qualcuno me le denudasse, senza pudore, me ne mostrasse l'inutilità. Io odio la parola come ricerca chiusa in sé: la sofferenza della ricerca verbale è in fondo la sofferenza che comporta cgni chiarimento o approfondimento di una posizione morale. Al contrario, sviluppando le mie poesie, ho visto che la «posizione morale» non sconfinava i limiti di una malinconia o di una volontà di poesia, riducendosi quasi pienamente ad una ricerca estetica. Forse anche questa nuova interpretazione delle mie poesie è parziale o falsata: ma ancora una volta sono tornato a un passo che, posso dire, scandisce la mia esistenza. Un desiderio estremo, voglio dire, di liberarmi di ogni zavorra, sentirmi libero e infinitamente solo, abbandonare la vita, il mio polso vivo, la sua vile allegrezza, e chiudermi tutto nel cerchio del mio dolore, che, della mia esistenza, è l'unica cosa vera e accertata. Tutto il resto è in più, distrae e fa rimandare, rende indolenti, o tuttalpiù, malinconici. Io devo confessare che sono molto ambizioso, che amo cioè veramente la gloria. Chi, oggi, ha il coraggio di dire questo? Può essere puerile, ma è sincero e, soprattutto, sofferto. Essendo, così, giunto, ad una concezione altissima della poesia (per cui è peccato di impurità trattarlo da dilettanti o da «malinconici») mi sento misero e sperduto davanti ad essa, e non oso più toccare la penna. Oppure scrivo tremando, e cerco che ogni parola sia l'unica, ed ogni frase l'unica: ed infine rido piangendo su quello che ho scritto. Lo so che non è condizione per scrivere poesia, questa! Andrò a Casarsa, domani, e là, forse, ritroverò la mia vecchia ispirazione, che in fondo, è lietezza. Ma quante sofferenze e quanti dolenti equivoci, per giungere all'«uomo lieto»! Voi mi sembrate giunto ad uno stadio di estrema ed esemplare saggezza, una sorta di atarassia, che io credo la stagione più lieta dell'esistenza. Vi saluto con affetto. Casarsa (Udine) Dedica manoscritta a un professore E'stata scoperta in una copia della prima opera in versi. Ne esce un ritratto sorprendente Pier Paolo Pasolini. I suoi segreti fra le pagine di «Poesie a Casarsa»
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