CLICK guarda che LUNA di Marco Belpoliti

CLICK guarda che LUNA A trent'anni dallo storico sbarco, un libro raccoglie le straordinarie foto scattate dagli astronauti CLICK guarda che LUNA Marco Belpoliti EL 1962, prima di esse- Nre lanciato in orbita con la navicella spaziale ' Mercury, John-Glenn acquistò a poco prezzo in un negozio di Coeoa Beach una macchina fotografica con un obiettivo da 35 mm, deciso a immortalare in alcuno istontanee lo storico volo. Fu solo, qualche tempo dopo che la Nasa comprese il valore documentario, ma anche pubblicitario, delle fotografìe-scattate durante le missioni spasùaU;;; così, all'inìzio delle missioni del programma ; Gèmini,. gli astronauti furono dotati di macchine HasseIbiad. Tutta-" via il passo decisivo fucompiuto a partire dal 1967, nel corso delle missioni lunari denominate Apollo, quando, sii sollecitazione degli Scienziati, ma anche degli stessi astronauti, l'ente spaziale americano for^ ni ai membri dei-voli Orbitali;; apparecchiature fotografiche più sofisticata cpncedendo'Joro il tempo necessario -risórsa preziosa, dati i fitti programmi del piano di.vólo - per immortalare il paesaggio; là Terra vi6ta dallo Spazio, la fluttuazione nell'atmosfera, rinterno delle cabine di volo, e infine il paesaggio lunare. Le preziose pellicole delle missioni Apollo sono oggi -raccolte presso la sede della Nasa,? solo da poco tempo un fotografo professio- nista, Michael Light - cognome quanto mai adatto - ha potuto visionarle. Sono 17.000 scatti cori apparecchi manuali e ì 5.000 cohapparéwhi automatici, uh archivio impressionante che fa pensare che lassù nello spazio stellare e sul suolo rocciósa"del- nostro satellite, gli astronauti non abbi ano fatto altro che scattare istantanee, come fossero ni gita aziendale. Una piccola scelta di V^ù0liéli)^àgind,'mà assolutamente significativa, è stata raccolta in un libro di grande, formato; Luna (di M. Lìght, con un saggio di Andrew Ch~aT^,./'9cui9iprie''italiària'' a cura di Giovanni . Caprera, Mondadori, lire 99.000), che lascia a bocca aperta per la qualità delle immagini, oltre che per la stampa.tipografica, un libro da.sfogliaré con lentézza, gustandosi la visione di ciò che noi terrestri non potremo mai vedere di persona, almeno per quanto riguarda l'attuale generazione; perché, si può esserne certi, la prossima, 0 forse la seguente, tornerà nel¬ 10 spazio celeste, .e non solo per fluttuare, ma per viverci. 11 colore di fondo del libro è il nero, perché quésto è anche il colore dello spazio stellare. Dall'azzurro del nostro Pianeta, dove volteggia Edward White in posa scomposta sopra il Golfo del Messico, prima passeggiata spaziale americana nel 1965, si passa via via al grigio é al nero dell'emisfero meridionale della Luna, fotografia che campeggia nella copertina del libro, Interro¬ gati sulla bellezza del paesaggio lunare, gli astronauti americani stentano a trovare le parole adatte a descriverlo, e la loro difficoltà è comprensibile. Questi uomini hanno infatti avuto la possibilità di vedere paesaggi completamente alieni. Sulla Terra il cielo è azzurro, per via delle molecole dell'aria che scompongono la luce dèi Sole; ma nella Luna priva d'atmosfera, c'è solo il nero dello'Spazio. Vedere un cielo nero in pieno giorno, questo è capitato agli esploratori lunariv Ha detto Dave Scott. dell'equipaggio di'ApollO' X5: «E' molto diverso da un cielo notturno. Quando s'illuminai la superficie della Luna risplende, forma ombre, contrasti... e soprac'è quelciélo nero: è , qualcosa d'insolito, che là; mente fa fatica là comprendere», Uh altro astronauta ha paragonato questo cielo a una tenda di velluto che puoi vedere da vicino e persino cercare di toccare: «E invece non c'è niente». Queste immagini, per lo più scattate tenendo la macchina fotografica fissa sul petto, senza cioè poter vedere dentro l'obiettivo, rendono il senso ,di quel buio, lo rendono anche grazie all'intervento grafico, cornici nere che circondano l'immagine e da cui le cose sembra uscire quasi per incanto. Per quanto pregne, come scrive Light, della cultura visi va ereditata dai fotografi americani di paesaggio dell'Ottocento, le fotografie raccolte in Luna ti danno l'impressione di vedere quel corpo celeste per la prima volta. L'altra serie di immagini che impressionano sono quelle .che ritraggono le orme degli astronauti. La più bella è quella del piede calzato di Aldrin. Tuttavia l'istantanea che colpisce di più è quella scattata da Charles Duck, membro dell'Apollo. 16: ritrae un'immagine; della sua famiglia nel cortile della sua casa di Houston. E' appoggiata per terra, avvolta in un contenitore di plastica trasparente, in prossimità delle alture lunari di Cartesio. Si vedono distintamente i due genitori sorridenti, seduti, e davanti i due figli maschi, in piedi: una famiglia americana qualunque. In primo piano anche l'impronta dell'astronauta-fotografo. il tutto inquadrato dentro le freccette del reticolo fotografico. Niente è meccanico in questa fotogra fia, e si capiéce che dietro alla V macchina c'è un occhio umano, molto umano; si comprende che c'è dietro un pensierouno strano pensiero: immorta lare la propria famiglia sulla Luna in sua assenza? L'astronauta vuole forse lasciare un ricordo imperituro del proprio passaggio? Un doppio ricordo: la foto di una foto? Il vero 'punctum' dell'immagine è quell'involucro di plastica che non ti fa vedere in modo nitido il ritratto della pacifica famiglia americana. Lo scatto seguente è l'inutile tentativo di mettere a fuoco l'immagine stessa deposta sul suolo; il risultato è una fotografia completamente sfuocata. La Terra è troppo lontana? L'uomo non è' capace di ricordi a fuoco sulla superficie della Luna? Sono molti gli interrogativi e i pensieri che si levano dalla fotografia di Charles Duke, tutti destinati a restare senza risposta. La sensazione che dà questo splendido libro è di qualcosa insieme vicino e lontano. Riconosciamo nelle fotografie la presenza dell'uomo, della sua tecnologia, ma l'uomo non c'è inai, anche se vi figura, come nell'istantanea del comandante Eugene Cernan (Apollo 17), esausto e sporco di polvere lunare. La bellezza di queste immagini scattate dall uomo è proprio che l'uomo è sempre assente, fuori quadro, invisibile. La Luna grigiastra, la Terra azzurrognola, persino i paracaduti rossastri della navicella al rientro sulla Terra o l'Oceano Pacifico visto dall'oblò del modulo di comando (il libro riproduce la sequenza di un ideale viaggio di andata e ritorno dalla Luna), danno l'impressione di assoluta inutilità dell'uomo. Forse è per questo, e non solo per ragioni economiche o politiche, che si sono abbandonati i viaggi nello Spazio. Robert Adams, il grande fotografo americano citato nel libro, diceva a proposito delle distese del Far West: «Una delle ragioni per cui amiamo gli ampi spazi è che ci danno la prova della nostra piccolezza». de della Nasa,? solo da poco mpo un fotografo professio- , p psseggiata spaziale americana nel 1965, si passa via via al grigio é al nero dell'emisfero meridionale della Luna, fotografia che campeggia nella copertina del libro, Interro¬ lro, per via delle molecole dell'aria che scompongono la luce dèi Sole; ma nella Luna priva d'atmosfera, c'è solo il nero dello'Spazio. Vedere un cielo nero in pieno giorno, questo è capitato agli esploratori lunariv Ha detto Dave Scott. dell'equipaggio di'ApollO' X5: «E' molto diverso da un cielo notturno. Quando s'illuminai la superficie della Luna risplende, forma ombre, contrasti... e soprac'è quelciélo nero: è , qualcosa d'insolito, che là; mente fa fatica là comprendere», Uh altro astronauta ha m .«9pM|^jj'j.V A sinistra l'astronauta Alan B ean. Sotto la celeberrima Impronta di Aldrin. A destra il cratere Timocharis A sinistra l'astronauta Alan B ean. Sotto la celeberrima Impronta di Aldrin. A destra il cratere Timocharis

Luoghi citati: Houston, Messico