Il Santo Sinodo abbandona Milosevic
Il Santo Sinodo abbandona Milosevic E il Presidente salva il governo annullando d'autorità le dimissioni dei ministri di Seselj Il Santo Sinodo abbandona Milosevic «Deve dare le dimissioni nell'interesse delpopolo» inviato a BELGRADO Lo sfaldamento del regime sta per cominciare. Non assume ancora il rovinoso andamento che il leader occidentali s'augurerebbero, non produce ancora falle vistose nell'apparato di poterò ma fa in modo che la fine della guerra coincida con l'inizio di una campagna elettorale in cui Slobodan Milosevic si giocherà tutto. Dopo il lungo letargo bellico, di colpo il Presidente dei serbi prende a girare il Paese in lungo e in largo, a distribuire promozioni fra i militari, a posare le prime pietre di una problematica ricostruzione. Ieri era ad Aleksinac, cittadina della Serbia centrale particolarmente martellata dai bombardamenti dell'Alleanza atlantica, inaugurandola riedificazione del quartiere colpito per errore due mesi^fa con più di trenta morti, Milosevic se n'è uscito di nuovo in un discorso di ardua decifrazione. Da una parte retorica resistenziale, elogi aH'«eroismo» di un Paese distrutto, dall'altro l'invito a «ricostruire non solo le case ma anche i rapporti col mondo e l'immagine dei serbi, che da dieci anni si oppongono all'occupazione militare dei Balcani». Il Capo dice che sarà facile riprendere rapporti «coi Paesi democratici». Ma nel frattempo a Belgrado c'è qualcuno che gli sia preparando una brutta sorpresa. Il Sinodo dei vescovi ortodossi esce da una lunga tradizione di sudditanza al potere per invitarlo a dimettersi. «Nessuna persona ragionevole - dice il messaggio del clero - può pensare che i gravissimi problemi del Paese e delle sue relazioni all'estero possano essere affrontati dallo stesso sistema che ha condotto al disastro...'Chiediamo che il Presidente e il suo governo si dimettano nell'interesse del popolo e per la propria stessa salvezza». Anche i vescovi dunque sono per un «governo provvisorio» e quindi un ricambio. Ma se la presa di posizione segna un piccolo evento storico, appare difficile che la voce della Chiesa ortodossa possa influenzare gli equilibri politici. La Serbia è ortodossa solo per tradizione (e negli ultimi anni, per contrapposizione alle identità religiose croata e bosniaca), ed erano più di sessantanni che il Patriarca e i suoi vescovi non alzavano la voce contro il potere. Era accaduto alla vigilia della Seconda guerra mondiale, quando il potere era rappresentato dal re Karageorgevic. Dopo, durante comunismo e postcomunismo, la Chiesa nazionale serba si era fatta sentire solo per appoggiare le svolte nazionaliste o pronunciarsi genericamente contro la guerra. L'impasto fra governi e Chiese nazionali è sempre stato fortissimo nelle Chiese ortodosse, ed in questo senso il documento dei vescovi segna una svolta. La Serbia però dopo quarant'anni di comunismo è Paese sostanzialmente ateo, ed è dunque difficile che l'appello possa smuovere le coscienze. Se non altro perché, come sempre gli accade nei momenti difficili, Milosevic si muove con freddezza, conduce il gioco politico come se nulla stesse accadendo. Ieri per esempio il presidente jugoslavo ha cancellato - meglio, congelato -la crisi del governo serbo con un semplice decreto. I radicali di Vojslav Seselj avevano appena annunciato le dimissioni di tredici ministri e due vicepremier, dunque la fine della maggioranza a tre con 1' «Sps» e la «Jul», i partiti di famiglia. Ieri pomeriggio con due righe l'establishment ha annullato tutto. In Jugoslavia vige ancora lo stato d'emergenza nazionale e fino a ieri erano molti a chiedersi perché non fosse stato revocato con la firma degli accordi di pace. La risposta arriva adesso: durante l'emergenza, per legge costituzionale non è possibile mette¬ re in crisi un governo. Le dimissioni dei radicali dunque non valgono, decreta Milan Milutinovic, presidente serbo e fidato amico di Milosevic. Si ricomincia, dunque. Fino al momento in cui lo «stato d'emergenza» sarà stato revocato, Vojslav Seselj avrà tutto il tempo di ripensarci, i serbi quello di uscire dallo choc postbellico e farsi magari suggestionare dai primi casi di ricostruzione. Vuk Draskovic, rimasto fuori dai giochi, ieri ha detto che nessuno gli ha lanciato «segnali» per giungere in soccorso della maggioranza. Le ragioni adesso appaiono chiare, [g. z.l
Luoghi citati: Aleksinac, Belgrado, Jugoslavia, Serbia
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