I colonnelli a Bossi: torni sulle barricate

I colonnelli a Bossi: torni sulle barricate Tempesta sul Carroccio, domenica raduno a Pontida, ma forse non sarà una resa dei conti I colonnelli a Bossi: torni sulle barricate «Si prenda una vacanza, ma la Lega senza di lui non esiste» Fabio Potetti MILANO Il barometro all'interno della Lega segna tempesta e nessuno vede approdi sicuri all'orizzonte. Non il segretario Umberto Bossi che dopo aver offerto il suo mandato, chiuso nel suo ufficio di via Bollono pensa al vertice federale dei prossimi giorni - «Ma non sarà il Gran Consiglio del 25 luglio '43...», ammonisce Vito Gnutti - e alla spianata di Pontida, dove domenica prossima torneranno i militanti padani, bastonati alle urne, soprattutto a Nord-Est. «Io lo so che c'è chi nella base, vuole mandare a casa il segretario», ammette Roberto Maroni. «Ma se si dimette Bossi, lo devono fare anche tutti i dirigenti, anche gli eletti», conferma Mario Borghezio, primo tra i trombati alle elezioni europee che hanno ridotto da sei a quattro, la pattuglia dei deputati leghisti a Strasburgo. «E' stata una catastrofe, abbiamo sbagliato su molte cose, appoggiare Milosevic ci ha tagliato le gambe», non risparmia le critiche Marco Formentini, l'ex sindaco di Milano che con oltre 68 mila preferenze, secondo solo a Bossi, pronto a prendere l'aereo per l'Europa. Con gli stessi dubbi per la testa di Francesco Speroni, eletto pure lui, diviso sulle strade da prendere e scettico sul futuro. Almeno quello più prossimo: «Va bene, domenica torniamo a Pontida. Saremo in diecimila o in cinquantamila, ma là ci saranno i leghisti, quelli che già ci hanno votato. Il loro applauso non ci basta. Si tratta di capire cosa fare, dopo». Nel dopo della Lega, c'è già un congresso straordinario, quello che tutti auspicano sia fatto in Autunno - «Al più presto», fa fretta Maroni - e fa niente se l'ultima assise nazionale è solo di un anno fa. «Qui dobbiamo capire se vogliamo fare il partito dei duri e puri e magari fare la fine di Rauti oppure se anche noi iniziamo a chiederci quello che vogliono gli elettori», guarda ai risultati Francesco Speroni. Anche a costo di cambiare segretario e di mandare a casa Bossi? «Io non voglio fare le scarpe a Bossi anche perché è impensabile la Lega senza di lui. Né credo in altre fronde come quella di Fabrizio Co- mencini in Veneto. E poi chi voleva se ne è già andato», assicura Marco Formentini e anche lui non sa immaginare una successione al segretario, che «sta alla Lega, come Gramsci al Pei». «Valuti lui, si prenda un po' di riposo. Adesso cerchiamo di capire se è più importante ricostruire la nostra identità o raccattare voti per le prossime elezioni», fa il pragmatico Speroni, critico anche nell'analisi sui voti mancati all'appello di domenica. E ammesso die Bossi se ne vada per davvero, c'è da capire chi può sostituirlo. «Io no», risponde sicuro a una domanda direna Roberto Maroni, da sempre numero due e quindi tra gli eventuali papabili a subentrare nell'ufficio principale di via Bellerio. «Facciamo tutti una forte autocritica, a partire dal segretario», ripete Borghezio, ala destra della Lega, quella della battaglia sugli immigrati e del referendum contro gli extracomunitari. «Io però mi batterò perché Bossi non se ne vada», punta i piedi Luciano Gasperini, presidente dei senatori leghisti, arrivato terzo al ballottaggio per la carica di sindaco a Padova. E se dal Nord-Est, serbatoio storico di voti del Carroccio, è arrivata la delusione più forte, lui è tra i mono preoccupati: «Viviamo una momentanea febbre di crescita. Adesso non facciamo l'errore di inventare alleanze che non ci sono, dobbiamo solo tornare sulle barricate». Ma l'avvocato dei Serenissimi che diedero l'assalto al campanile di San Marco, non è l'unico a sognare rivincite. Forse perché le elezioni regionali dell'anno prossimo sono vissute da molti come l'ultima chance. Anche a costo di sterzare a cen tot tanta gradi, come spera Marco Formentini: «Negli ultimi sette anni, quando andiamo bene non perdiamo le elezioni. Questa volta dobbiamo ragionare su nuove maggioranze». «Va bene, abbiamo preso una brutta botta ma l'organismo è vitale», assicura Roberto Maroni. Che sogna di risalire la china, che immagina recuperi adchrittura in pochi mesi: «Emma Bonino è passata in un mese dal niente all'otto e mezzo percento. Non è il nuovo, lei, E' virtuale come Berlusconi, che rappresenta il vecchio della politica. Allora vuol dire die tutto è possibile». Maroni fa due conti anche sui (lussi di voto. «C'è gente che per protesta ha votato la Bonino. Quella protesta è nostra, dobbiamo riprendercela. Non siamo kappaò, dobbiamo solo tornare a ragionare». Quindi si cambia, nella Lega. Verso quale direzione è tutta da vedere. Rilanciando i soli celtici o guardando a questo punto alla bottega dei voti, pur di non sparire. Pronti a cambiare tutto, per l'ennesima volta. Anche il segretario, magari solo in via teorica. Perchè come dice Vito Gnutti, diventato ministro nell'era d'oro della Lega «io di matti che vogliono sostituire Bossi, non ne conosco nemmeno uno». Maroni: non vedo altri papabili. Ora riprendiamoci i voti rubati dalla Bonino Borghezio: iniziamo a fare autocritica Gasperini: è solo una febbre di crescita é L'ALTALENA DELLA LEGA J 1984. Varese: nasce la Lega Autonomista Lombarda.- Tra i fondatori Umberto Bossi e Roberto Maroni. 17 giugno '84 Europee. «Battesimo del fuoco». Bossi nel Nord-Ovest ha quasi 161 mila voti. 1985. Amministrative. I primi frutti: 2 consiglieri comunali (Varese e Gallaratej e un rappresentante in provincia (Varese). 1987. Politiche. 3% alla Camera (1 deputato: Giuseppe Leoni) e 2,5% al Senato (1 senatore: Umberto Bossi). 1990. Amministrative. Exploit, con punte del 20% in Lombardia. 1992. Politiche. La Lega ha l'8,7% alla Camera e i'8,2% al Senato: 55 deputati e 25 senatori. 1993. Bossi guarda al Sud e cambia il nome in Lega-Italia. Febbraio '94. Accordo Berlusconi-Bossi. J 27 marzo '94. L'accordo porta il Carroccio ail'8,4%: 117 deputati e 60 senatori. I leghisti nella «stanza dei bottoni» nel governo Berlusconi. Maroni è ministro dell'intorno, Gnutti è all'Industria, Pagliarini al Bilancio, Cornino alle Politiche comunitarie e Speroni alle Riforme istituzionali. J Europee '94: 6,6%, 5 europarlamentari j 20 dicembre '94. La Lega toglie la fiducia al governo Berlusconi. E' il «ribaltone». J Gennaio 1995. Dopo la rottura con Berlusconi, per protesta, 50 parlamentari scendono dal Carroccio J 2 giugno '96. Parola d'ordine, secessione. La sfida di Pontida: «due governi, due Parlamenti, due economie, due monete». J Aprile 1996 Politiche. La Lega corre sola: 10,1% (59 deputati e 27 senatori). J Aprile '97 Amministrative. A Milano vince il candidato sindaco del Polo Albertini (40,7%); alla Lega il 15%. ■> Giugno 1999 Europee: il consenso scende al