LA LEZIONE DELLA GUERRA

LA LEZIONE DELLA GUERRA LA LEZIONE DELLA GUERRA Barbara Spinelli si vive uno sorta di gioiosa apocalisse senza vigilanza, grazie a quella che frettolosamente vien chiamata: la (ine dellu guerra in Kosovo Finita la storia ci si può finalmente mettere a sedere, ricominciare il metodo passivamente ottimista di ieri, lasciur amministrare dagli americani le minacce incombenti sui rotroVirra orientali, riprendere la natine del gradino dopo gradino, cMltt bolla d'aria uutisticamente '^violata. Nei discorsi delle nosw ^jjl0 rjcorro con monotona, su^^ frcquonza ji mito della ro fra ventesimo e ventunesime^^. mì secoJo a venire tutti 1 % u che in. tralciano la nost. vja scompariranno, pei l. luui sa remo divenuti più gra%. matu. ri, buoni, e chissà pera.vaccj nati. . ... A queste illusioni riittilmt. .. elettori non hanno credt Nemmeno alle false conclusioi. della Storia. In parte si sono astenuti, più massicciamente ancora che in passato. Porche eleggere un lontano parlamento che sì, vedrà accresciuti non trascurabilmente i propri poteri ma i cui compiti e le cui ambizioni non sono apparsi che drado - quando sono apparsi - nediscorsi dei candidati? Perché votare Europa, visto che nessuno parlava di quel che in Europa succede, nasce, muore? Ma non si sono fermati qui, lo scontento e lo sgomento del cittadino-elettore. Una gran parte ha deciso invece di lanciare un monito, alle élite. Un monito che ha reintrodolto con forza prepotente quel che manca all'Unione dei Quindici: il principio di realtà, la storia come si va facendo nei pericoli, negli imprevisti. E' un uvvertimento che critica radicalmente il vecchio metodo europeo, con i suoi miti lentamente progressivi e le sue mongolfiere. Lu novità di queste elezioni non è tanto il successo di democristiani o conservatori in Paesi come Germania; Inghilterra, Italia. La vera'novità ò il successo inatteso, del tutto eterodosso, trascurato dalle élite, di liste che erano volutamente trasversali, mobili, e concentrate sulle realtà fattuaU che stanno forgiando l'Europa unita. Realtà delle nuove guerre e dei nuovi confini di civiltà, che l'Unione si è trovata precipitosamente a disegnare con dieci anni di ritardo. Realtà del conflitto in Kosovo e della ricostruzione dei Balcani, che non sarà meno faticosa, incerta, costosa, di quanto <a stato il conflitto Nato sui riempila Serbia. Realtà degli avda^mcnti alimentari indotti natas'na o altri veleni, combilarc inJa necessità di controlautorità i grandi consorzi e le li, mUitarfcntifiche, industriali izzare la mprotendono orgaOvunque, h. quotidianità. i vinto le liste che concentravano l'attenzione su questi temi ormai europei, all'uomo semplice che vive nell'Unione. Hanno trionfato CohnBcndit, Emma Bonino. Ha ottenuto un notevole successo la lista che si identifica con Romano Prodi. Sul fronte opposto, in difesa delle antiche sovranità na zinnali e contro la federazione europea, ha strappato consensi la lista neogollista di Pasqua e De Villiers: che almeno parlava d'Europa e non di politica interna, in elezioni die erano pur sempre europee. Se si eccettuano Pasqua e De Villiers, la maggior parte di questi personaggi sono visti come esponenti delle nuove strutture federali, e coscientemente spezzano lo annose linee di divisione fra destre e sinistre nazionali: Emma Bonino è commissario assai attivo a Bruxelles, Dany Cohn-Bcndit svolge un'intensa, visibile attività nel Parlamento europeo, Romano Prodi sarà Presidente di uria Commissione chiamata a moralizzarsi, crescere, politicizzarsi. Probabilmente molti hanno eletto l'Asinelio investendo sulle future missioni transnazionali del suo leader. Se Prodi si fosse dedicato con più tenacia a tali missioni, se avesse condotto la campagna elettorale non solo in Italia ma a Bonn, Parigi, Londra, Madrid, la sua avanzata sarebbe ancora più impressionante. Ma quel che colpisce è la centralità assoluta del tema Kosovo e della difesa europea, nella campagna elettorale dei due candidati Cohn-Bendit e Bonino. In genere si è avuta la scelta opposta, nei partiti tradizionali: il Kosovo è stato generalmente vissuto e descritto come un incidente di percorso, estraneo alle campagne elettorali. Ha scritto giustamente Marcello Sorgi su questo giornale che «non ci fossero stati il triste richiamo quotidiano della guerra, il severo contrappunto, di silenzi e interventi essenziali e mirati, del Presidente Ciampi, l'azione risoluta del governo e di D'Alema, di questa campagna elettorale non resterebbe che il rumore». L'Europa stava prendendo corpo in Kosovo, ma l'uso della forza coraggiosamente deciso dai suoi dirigenti non veniva mai messo al centro della battaglia per il rinnovo del parlamento di Strasburgo. Era un percorso di decisioni e di riscoperta di sovranità che si situava al di là delle elezioni, come una meteorite d'un tratto caduta sulle nostre esistenze. Era un evento che metteva in imbarazzo partiti cresciuti nella guerra fredda e avvezzi alla passività strategica. La svolta del Kosovo non appariva che nei discorsi di CohnBendit, di Emma Bonino: ambedue hanno convinto elettori giovani, tradizionalmente astensionisti, mettendo le loro realtà in contatto con l'Unione che si sta facendo. Guidato e rieducato da Cohn-Bendit, il partito dei Verdi ha conquistato nelle grandi città francesi più del 20-25 per cento dei suffragi. In quattro quartieri di Parigi è il primo partito del Paese, nonostante la tenuta dei socialisti di Jospin. 11 messaggio di eretici e trasversali è che non esistono, le conclusioni della Storia che cronicamente suscitano autocelebrazioni, giubilei anticipati dell'Unione. Che occorre far esistere l'Europa, non solo lo spazio di una breve guerra: guerra che suscita nei responsabili europei più vergogna,che fierezza e senso accresciuto di vigilanza. Lo dimostra quel che accade in Kosovo, dopo la vittoria dell'aviazione Nato. Molti nelle capitali europee non hanno visto che una beffo, nella mossa a sorpresa dei generali russi che hanno occupato l'aeroporto di Pristina con 200 uomini: beffa astuta, addirittura ammirevole - così ha detto fra gli altri Cossutta - a danno di una Nato e un'America troppo baldanzose. In realtà non c'è nulla di ammirevole né di grottescamente divertente, nel blitz russo. E' una mossa che punta, in accordo con Milosevic, a spartire il Kosovo fra una zona serba controllata dai russi e una zona albanese garantita dalla Nato. E' un movimento di truppe che può trasformare la vittoria occidentale in sconfitta grave: sconfitta per l'Europa innanzitutto, e solo secondariamente per l'America. Chi ha visitato la Russia durante il conflitto balcanico sa l'atmosfera astiosa - colma di risentimenti, di aggressioni - che regna nell'ex impero sovietico. Sa che la minaccia non viene certo da 200 soldati che bivaccano a Pristina, ma dalla maniera caotica, inafferrabile, ango¬ sciosamente confusa, con cui la decisione militare è stata presa. I democratici di quella grande nazione ce lo hanno ripetuto spesso: che l'intervento Nato giungeva con scandaloso ritardo, che le conseguenze delle inerzie occidentali erano già visibili a Mosca o Minsk, che le copie di Milosevic già esistevano, sia in Bielorussia sia in Russia, nelle loro versioni rossobrune, postcomuniste ed etniconazionaliste. La minaccia che incombe oggi sull'Europa è una Russia afferrata dal panico revanscista di Weimar. E' una Russia incapace di esprimere un leader chiaro, monopolizzatore della violenza e della diplomazia. Non si sa chi comandi e chi abbia deciso lo mosse in Kosovo: esiste una politica separata dell'esercito, una politica nazionalcomunista della Duma, una politica del ministero degli Esteri, una politica di Eltsin che esalta ex post le bravate dei generali, oppure dorme, oppure sghignazza sulle ingenuità di Clinton. Precisamente questo era il clima di Weimar, negli Anni 20 e 30 prima dell'ascesa di Hitler. Questo significa che la storia continua, in questo secolo come nel successivo: con le sue guerre inalterate, le .sue sfide difficili, le risposte forti che richiede a un'Europa che non ha ancora preso forma. Significa che non esistono interruzioni nel cammino storico, dopo le quali all'Unione non resta più granché da fare. Significa che costruirò la pace nei Balcani sarà un'impresa immensa, forse sanguino¬ sa. Che sarà una specie di guerra che continua: anche contro i propri cedimenti. Significa che il problema decisivo per gli europei non è Washington, bensì la Russia: la Russia opaca di cui solo gli americani si occupano coinvolgendola, ma tentando di limitarne i danni - con l'Europa che ancora una volta predica pace, o distrattamente tace. Un Milosevic che disponesse di 6000 testate nucleari non è da sottovalutare, minimizzare. E se è vero che non conviene umiliare la Russia, è altrettanto vero che non conviene fare in modo che le forze atlantiche ed europee siano umiliate dalle furbesche, umbratili bravate russo-serbe: è in gioco non solo l'onore, ma la vita di kosovari albanesi. Non aver parlato di queste sfide e di queste minacce reali è stato di poco aiuto, nella campagne europee: è servito solo a metter in primo piano le politiche interne. Il parlamento di Strasburgo sarà ora dominato da democristiani e conservatori, ma non è questo l'essenziale: Eer un ventennio, l'Assemblea a espresso maggioranze diverse dai dirigenti nazionali. Non è il come che conterà: non sono i classici schieramenti di destra, di sinistra. I movimenti trasversali e mobili saranno più pronti a reagire a sfide e minacce. Dovranno tener meno conto di basi riluttanti, stratificate in decenni di storia. Potranno forse cominciare a pensare l'Europa come un inizio da inventare, e non come la fine gioiosamente apocalittica delle storie nazionali.