Talmud e complotti in Iran

Talmud e complotti in Iran Forse un siluro a Khatami l'attacco agli ebrei (23 mila persone) Talmud e complotti in Iran Giallo dietro l'arresto delle 13 «spie» Fiamma Nlransleln ^RUSÀLÉMME- Povero deputato iraniano ebreo Manucehr Elyasi, «rappresentante al Parlamento iraniano della Comunità ebraica»: le sue parole ricordano troppi, inutili tentativi di accattivarsi un'autorità inesorabilmente ostile. Nella sua intervista al quotidiano iraniano «Entekhab» dice: «I rapporti con le autorità iraniane sciite sono ottimi... Non vi è alcuna relazione tra l'arresto dei tredici ebrei sospettati di spionaggio e la loro fede religiosa». Questo, mentre da alcuni giorni tutte il mondo protesta per la sparizione, avvenuta ormai nel mese di aprile, di tredici ebrei iraniani delle citta di Isfahan e soprattutto di Shiraz e la loro successiva incriminazione per spionaggio: «Tredici spie che hanno lavorato per i Sionisti sono state arrestate con l'aiuto della nobile gente della provincia (di Pars, ndr) in collaborazione con i Servizi segreti», ha dichiarato un dirìgente dei Servizi stessi all'agenzia di stampa statale Ima. E' poi seguito un comunicato del ministero degli Esteri, che ribadisce che gii iraniani faranno quello che vogliono con le spie, anche se sarà necessario comminare la pena di morte. Shiraz è nel cuore verde della più profonda Persia: la comunità ebraica vi abita da più di 1500 anni. In tutto l'Iran pare vivano 27 mila ebrei, poco meno di quelli della comunità italiana; tanti, dunque, se si considera l'evidente impcrvietà politica del luogo. Ma pochi, se si pensa che al tempo dello Scià erano circa 100 mila. E' una comunità di gente molto religiosa e intensamente orientale: la sua lingua è un giudaico-parsi, i suoi canti in ebraico (lingua oggi vietata) sono modulati su armonie locali. Anche i cibi, benché cucina- ti alla maniera rituale ebraica, appartengono dallo notte dei tempi alla stessa tradizione. Nei secoli, gli ebrei persiani hanno vissuto in situazioni assai diffìcili: «Sono stati rinchiusi nei ghetti, spogliati dei loro beni, cacciati vai» racconta l'ambasciatore Reuven Merhav, uno dei maggiori esperti israeliani di politica mediorientale, diretto conoscitore della comunità ebraica iraniana, «poi hanno avuto un periodo piuttosto felice, da quando il padre dello Scià Reza Pahlevi li dotò di diritti paritari e li fornì di un rappresentante in Parlamento. Certo, non li ammise negli alti ranghi dell'esercito, né se ne trovavano fra gli alti ufficiali dello Stato. Ma erano invece presenti nelle università e nelle professioni liberali. Mediamente, tuttavia, si è trattato sempre di una comunità povera, qualche commerciante di tappeti, molti lavoratori dipendenti. Dopo la caduta dello Scià, rimase loro solo la libertà religiosa, che è declinata alquanto sino a diventare un nuovo ghetto». Di fatto, l'arresto dei tredici e la loro detenzione nella città di Shi¬ raz (così sembra, ma tutto è incerto), è il compimento di una politica di umiliazione dei «Dhimnu» ebrei ovvero, come comanda il Corano, dei credenti (insieme ai cristiani) delle religioni monoteiste che l'islam deve sottomettere ma anche attivamente proteggere. Shimon Hatsav, capo dell'organizzazione degli iraniani in Israele, racconta: «Le scuole ebraiche sono state proibite recentemente, ma lo Stato provvede alla scuola pubblica rabbini che insegnino anche la religione ebraica. L'idea guida è che un regime islamico religioso debba fornire educazione religiosa per tutti». Ma l'ebraico in quanto lingua è vietato, e alcuni degli arrestati sono appunto accusati di averlo insegnato. Le sinagoghe sono state decimate: a Teheran ce n'erano venti prima della rivoluzione, e oggi sono solo cinque o sei. Il giornale della comunità, «Tammuz», è stato chiuso nel '91: osò criticare la chiusura delle scuole. Inoltre gli ebrei, uomini e donne, sono obbligati a indossare l'abbigliamento islamico. Gli studenti devono andare a scuola di sabato; e dato che tutti i cittadini iraniani sono sottoposti a restrizioni di movimenti, gli ebrei a maggior ragione non possono andarsene. Tuttavia, circa mille ebrei l'anno riescono a prendere la strada d'Israele o degli Usa. Sembra che fra gli arrestati alcuni organizzassero la propria partenza. In aprile Israele, conosciuta la notizia della detenzione, sperò che con le armi della discrezione diplomatica e l'aiuto dell'Europa, in particolare della Germania e dell'Italia, la cosa sarebbe stata risolta; ma il motivo basilare dell'arresto per spionaggio e della minacciata pena di morte (alquanto verosimili:) è la volontà di AH Khamenei, l'ayatollah che si oppone al potere del moderato Kathami di situare l'Iran su una linea di ribadita contrapposizione all'Occidente. Khatami, visitato da Anjoman Kalimiman, l'organizzazione) ebraica di Teheran, ha detto che «si informerà» sulla sparizione dei tredici. Ma il professore di studi iraniani Amnon Netzer, immigralo in Israele negli Anni 50, scuote la testa: «Khatami non ha nessuna possibilità d'intervenire per la salvezza degli ebrei: ricordate che solo alcuni mesi fa ha subito l'assassinio di alcuni intellettuali suoiamici senza poter reagire? L'estremismo è fortissimo». C'è qualche possibilità che gli ebrei incriminati siano veramente delle spie? «Nessuna al mondo dice Merhav -, si tratta di gente semplice, che conosce solo la strada da casa alla sinagoga e al proprio piccolo lavoro. Gente che non ha nessun accesso alle fonti d'informazione, che sopravvive nella periferia di un regime che li tollera appena». L'Italia, la Germania e la Francia, in quest'ordine dicono gli esperti, sono i Paesi che più possono contribuire a salvare la vita degli ebrei incriminati.