Ma tra bestie e sigle assurde l'elettore non ci crede più

Ma tra bestie e sigle assurde l'elettore non ci crede più IDENTIKIT DI CHI RESTA A CASA Ma tra bestie e sigle assurde l'elettore non ci crede più sondaggio Raffaella Sllipo L M ELEFANTINO e l'Asinelio, l'Udr che si tra*" sforma in Udeur, il Ccd che polemizza con il Cdu, lo Sdi che ingloba il Si, e poi il Cavaliere, il Professore, il Picconatore, la par condicio, il bipolarismo, il doppio turno, la proporzionale secca... Una folla di incomprensibili sigle e attributi ammiccanti occupa pagine di giornali e servizi televisivi. Alle preso con la tassa sulla casa, la scuola dei figli, il lavoro che c'è o non c'è, la paura o la speranza per il futuro, i cittadini provano a orientarsi nell'intrico di parole, per capire di chi fidarsi e quali idee condividere. Poi, spesso, si arrendono, Troppo difficile, troppo per iniziati. Inutile votare, informarsi, marciare in corteo, partecipare alle assemblee. Tanto «fanno sempre quello che vogliono loro». E' la fotografia che emerge dallo studio dell'Università Iulm su 4728 italiani stratificati per sesso, età, provenienza, professione, scolarità. Le cui Libere associazioni con la parola politica suonano come un epitaffio: confusione, governo, potere, ladri, caos, corruzione, noia, partiti, schifo. Il «mostro» dell'astensionismo, insomma, tanto evocato in questi giorni pre-elettorali, arriva in realtà da molto lontano e ha radici profonde. «E' "distacco" la parola chiave per descrivere l'atteggiamento che oggi gli italiani hanno nei confronti della politica spiega infatti il professor Marino Li volsi -. Passata Tangentopoli è diminuita la riprovazione morale verso onorevoli e amministratori, ma è aumentata la sensazione che vivano un mondo lontano da quello reale. E' aumentato anche il senso di confusione e non comprensione: il principio di "partecipazione del popolo" su cui si basa la democrazia, insomma, è rotto». Dal sondaggio emergo così la fotografia di due Paesi paralleli, destinati a non incontrarsi se non (sempre più di malavoglia) alle urne: imo che ride, piange, si identifica con le storie di vita quotidiana di «Commesse» e «Un medico in famiglia», l'altro che sgomita per apparire chez Bruno Vespa o Michele Santoro. Già, perché comunque la politica continua a occupare le prime pagine dei giornali, a presidiare la seconda serata tv. Illustri ospiti che poi si stupiscono se non è stato raggiunto il quorum - come dimenticare il volto rassegnato, incredulo, infine euforico, di Diego Novelli nella serata referendum? - o su i cittadini non si affrettano con entusiasmo verso l'appuntamento europeo di oggi. In questo senso, il referto dello Iulm è impietoso: solo il 51,3 % andrà sicuramente a votare, il 36,4 % non ha ancora deciso, mentre per il 12,3 % non se ne parla proprio. «11 mancato quorum - dice Livolsi - è stato un esempio negativo di forza dirompente, una sorta di legittimazione morale dell'astensionismo». La situazione tende al peggioramento. Da gennaio '98 a oggi l'interesse per la cosa pubblica continua a diminuire. Se allora i poco-per nulla interessati erano il 56,5 %, oggi sono il 61,2. «L'Italia ha attraversato tre periodi distinti - spiega Livolsi -. Prima una fase in cui dominavano le ideologie e ci si identificava con il proprio partito». Anni in cui i cittadini pensavano di poter incidere sulle decisioni pubbliche: la mobilitazione era appassionata, leggi come quella sul divorzio o sull'aborto divisero il Paese, le famiglie, le coscienze. Poi è arrivata l'epoca dell'indignazione, con la crisi di Tangentopoli: la politica era diventata il nemico da combattere. L'aggressività incontrollata contro i potenti ha scatenato una forte immedesimazione con i giudici. «Adesso - riprende Livolsi - il Paese è maturato: l'italiano non è più così ingenuo da pensare che il politico sia uno scansafatiche o un ladro. E' arrivato però alla convinzione che sia lontano e irraggiungibile, occupato solo a preservare sé stesso. Che U suo fine sia la mediazione dei grandi interessi nazionali, il lobbismo puro, insomma». Come dargli torto allora se si abbandona alla confusióne, alla sfiducia, al distacco? Come non capire quel 63,1 per cento degli italiani sempre meno fiducioso verso le parole dei politici, quel 64 per cento convinto di non poter in alcun modo influenzare realmente la vita del Paese, quel 76,6 per cento che considera i po- litici non in grado di capire i veri problemi dei cittadini, quel 60,5 per cento per cui elezione dopo elezione il gesto del votare è apparso sempre più vuoto? Resta un esiguo zoccolo duro di interessati, e una vasta area di indecisi, confusi, «non so». Sono, questi, il più appetibile terreno di conquista del mercato del consenso, un mercato che ha trovato il suo strumento nella «spettacolarizzazione della politica». Il tentativo neanche tanto nascosto, spiega Livolsi, è trasformare il dibattito «in una sorta di commedia dell'Arte, con personaggi fissi che agiscono come se fossero in una sit-com». Un gioco dei ruoli che per un po' ha avuto la sua funzione proiettiva e simbolica, quasi una collettiva lettura dei tarocchi: Graxi il cattivo, Veltroni l'eterno ragazzo collezionista di figurine, Berlusconi il magnate delle televisioni, Di Pietro il giustiziere, Pannella il jolly. «Interessante semmai come gioco psicologico o sfida sportiva - dice Livolsi - ma completamente avulso dai problemi reali». Man mano che la politica si trasferisce nel mondo virtuale, la sanità, la scuola, la disoccupazione, la sicurezza, l'immigrozione, le famiglie allargate trovano néOa fiction il canale per esprimersi a livello nazionale: e allora bisogna saper leggere il dato per cui aumenta nei cittadini l'idea che la televisione sia uno strumento per rilassarsi e divertirsi (dal 43,4 per cento dell'anno scorso al 44,7 per cento di quest'anno), e diminuisce l'uso del mezzo per tenersi informati su attualità e politica (dal 42,7 per cento al 39,8 per cento). Chissà, forse informa di più il dottor Lele Martini di Clemente Mastella. Certo raggiunge meglio l'immaginario collettivo di fine millennio. I giornali non sono in una situazione molto diversa: le pagine più lette sono quelle della cronaca locale (85,5 per cento), seguite amia cronaca nazionale (77,4 per cento), dalla cronaca estera (60,2 per cento) e dalla cultura (57 per cento). La politica arriva assai dopo. Le storie singole vincono dunque sulle decisioni pubbliche, il caso Marta Russo muove le coscienze ben più dell'epa Olivetti. La prevalenza della cronaca segna una, forse l'unica, strada possibile per recuperare l'attenzione della gente alla cosa pubblica: «I soli politici credibili, vicini, oggi sono i sindaci - dice infatti Livolsi -. Sono loro a occupare lo spazio intermedio tra il "privato" e il "Palazzo". Se il attedino ha abdicato alla speranza di risolvere i grandi problemi, continua comunque a insistere su quelli concreti, alla sua portata: parcheggi, asili nido, traffico». Già, perché senza dimensione pubblica, ammonisce Livolsi, non si può vivere. «C'è una quota di energie di ognuno di noi che va investita nella socialità - dice altrimenti si crea un 'buco" esistenziale, fatto di disinteresse e distacco, che sta all'origine di tanti disagi socio-psicosomatici di oggi». Il privato non basta, «l'uomo isolato, che non si identifica in una struttura superiore, prova una forte sofferenza». Le risposte individuali a questa sofferenza sono molteplici: c'è chi investe nel volontariato e chi fa il tifo per la Juventus, chi si consola con lo shopping e i viaggi esotici e chi riscopre la meditazione. Riempire questo «buco» di contenuti è la sfida della politica del nuovo Millennio. Solo il 51,3% sicuro di votare Il 36,4% non ha ancora deciso

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