«Fratello russo, fin dove arriverete?» di Giuseppe Zaccaria

«Fratello russo, fin dove arriverete?» IL PRIMO INCONTRO CON I BLINDATI «Fratello russo, fin dove arriverete?» «Fino in Macedonia, fratello serbo, fin dove serve a voi... » reportage Giuseppe Zaccaria inviato a CURMJA (Serbia Interna) A non dovevano andare dall'altra parte? Sullo sterrato di Curmja, nell'ennesima deviazione intorno a un ponte distrutto, l'incontro col muso di un enorme carro armato provoca stupore prima ancora che allarme. Per ore, risalendo dal Kosovo, l'autista aveva superato imprecando lunghe colonne di carri e salmone che si dirigevano verso la Serbia. E adesso cosa fa questo reparto militare diretto a Sud, dove si aspetta la Nato? Ma non sono serbi, quella è la bandiera della Csi. Sono carristi russi coi tipici elmetti di cuoio. Cosa ci fanno qui? Nella curva strettissima che la pista compie prima di risalire e dirigersi verso l'abitato, il primo dei carri armati di Mosca ha sfiorato un blindato serbo con tanto di mi- tragliatrici contraeree e adesso, in una tempesta di polvere e fumo di scappamenti, i due mezzi cercano di arretrare, di stringere per consentire l'uno il passaggio dell'altro. Sotto questo sole a picco l'impresa sembra disperata, ma mentre suda e manovra con sforzi sovrumani l'autista serbo continua a sorridere e dal suo blindato il mitragliere e gli altri soldati salutano i russi col segno della trinità, sorrisi e fischi da stadio. Stesi sulla corazza del «tank» come se si accingessero a riconquistare Budapest, gli «speznaz» di Mosca rispondono con una certa degnazione, che forse però è solo stanchezza. Viaggiano da diciotto ore, prima dell'alba si sono mossi dalla Bosnia per entrare in Serbia da Nord, e attraversarla tutta in direzione della Gerusalemme perduta dagli slavi. Carri, jeep e camion inalberano scritte un po' stinte, dove solo la prima lettera delta vecchia sigola «Sfora è stata coperta da una rilucente «K», che sta per Kosovo. Dietro- i pruni cinque carri s'intravede una lunga fila di trasporti, seguiti da un'auto della polizia jugoslava. La lingua russa e la serba si assomigliano molto, una conversazione elementare è possibile senza sforzo. Fin dove arriverete fratelli? chiedono i serbi mentre le lamiere dei carri quasi si afiorano. «Do Makedonije, kudà vam nuzno», rispondono quelli: fino alla Macedonia, fin dove servirà a voi... Magari non ci sarà bisogno di tanto: questa sera il convoglio russo, che marcia in due tronconi, si fermerà a Nis, e la città già prepara degne accoglienze. I soldati stesi sui carri hanno fiori che spuntano dalle tute, i villaggi attraversati a ogni deviazione dall'autostrada li hanno coperti di abbracci e di doni. Non c'è mai stata grande fiducia fra serbi e russi ma adesso come accadde nel '93, per il pri- mo dei tanti ultimatum imposti a chi assediava Sarajevo •■ 1 arrivo degli uomini di Mosca rappresenta il primo appiglio per chi vuol credere, al di là dell'evidenza, che il Kosovo non sia del tutto perduto. «Proteggete la nostra gente sta gridando un vecchio maresciallo della "Vojska" - e che Dio vi benedica». Il limite (da oggi, la frontiera) della regione perduta dista ancora un paio d'ore. Sotto il ponte che segna il passaggio di territorio hanno steso uno striscione rivolto a Sud, un saluto all'«l'eroica armata». Nessuno si aspettava l'arrivo di un'altra armata da Nord, il gioco di comunicazioni e autorizzazioni fra Belgrado e Mosca dev'essere stato segretissimo, oltre che molto rapido. Pochi attimi fa, dietro quest'ingorgo militare si è fermato un trattore con un rimorchio ca- rico di tutto, e adesso una famiglia di contadini serbi sta guardando a bocca aperta gli amici che arrivano. Forse si chiede se davvero valesse la pena di imitare i profughi albanesi e di abbandonare tutto. A Pristina se lo stanno chiedendo in molti (i serbi ancora in Kosovo dovrebbero essere cinquanta, sessantamila) e con pi i stati d'animo più diversi. L'altra sera nel ristorante dell'albergo «Grand», l'unico funzionante in tutta la città, un omaccione si era alzato dal suo tavolo traversando i fumo e chiasso per arrivarmi'accanto e chiedere: tu chi sei? Un giornalista italiano. E se io ti ammazzo? Era chiaramente ubriaco, ma il fatto che portasse una pistola e che sul suo tavolo fosse posato un mitra rendeva l'incontro alquanto delicato. E perché mi vuoi ammazzare? «Perchè mi hai tolto la Patria...». Io? «Tu e tutti quelli come te. Anzi, vi ammazzo tutti...». E via cosi per quattro a cinque volte, con un altro torreggi ante serbo che tentava di calmare l'ubriaco, lui che tornava al suo tavolo poi si alzava e si avvicinava ancora con la pistola brandita e minacce sempre più deliranti. Ieri mattina, smaltita la sbornia, l'energumeno è tornato in albergo per chiedere scusa, ha insistito per offrire un caffè, ha spiegato lo stato della sera prima che disperazione che l'aveva colto. Come tutti i serbi di Pristina che sono in grado di farlo, ha spedito moglie e figli oltreconfine già un mese fa. «Non ha notato - diceva - che a Pristina quasi non si vedono più donne?». Era un commerciante di discreta fortuna, adesso si appresta ad abbandonare tutto compresa la casa comperata appena quattro mesi fa - per tentare di rifarsi una vita a Belgrado. Neanche la presenza dei russi può tranquillizzarlo? «Ah, i russi... quelli fanno la loro politica. E poi non ci sarà nulla che possa fermare la presa di potere degli albanesi. Non ci resta che andare in Serbia e continuare da lì la battaglia interna contro chi ci ha tradito». Ossia Milosevic?. «Per primo. Ma non solo lui». E voi non avete fatto nulla per rendere possibile questa disfatta? Parlo dei massacri, dei saccheggi, della repressione... Anche adesso che è sobrio, l'uomo lancia verso l'interlocutore uno sguardo vuoto. Accettare dopo la sconfitta anche questa evidenza per lui sarebbe troppo. «Noi kosovari? Ma no... sono stati forse i militari venuti dalla Serbia, più probabilmente gli zingari...». I soldati sdraiati sui carri armati con un fiore infilato nella tuta ricevono calorosi saluti Sui veicoli scritte stinte dove la prima lettera della sigla «Sfor» è coperta da una rilucente «K»

Persone citate: Carri, Milosevic