Mosca gioca la carta della sorpresa
Mosca gioca la carta della sorpresa L'inviato Usa toma precipitosamente al tavolo che aveva abbandonato. Giallo sul ruolo di Eltsin Mosca gioca la carta della sorpresa Il blitz verso Pristina mentre Talbott tratta al Cremlino Giuliano Chiesa corrispondente a MOSCA Il vice-segretario del dipartimento di Stato, Strobe Talbott, stava già volando verso Bruxelles, dopo un evidente insuccesso di due giorni di negoziati coi russi, che la colonna del contingente russo in Bosnia entrava in Jugoslavia per dirigersi verso la frontiera con il Kosovo. Giocoforza invertire la rotta e tornare a Mosca. A chiedere spiegazioni e a parare il colpo. Ma chi aveva preso la decisione? Il mistero è durato alcune ore, senza che quasi nessuno capisse cosa stava accadendo e la eventuale gravità dell'evento che le televisioni cominciavano a mostrare, con i russi che si muovevano sulle strade jugoslave, bandiere al vento, applauditi dalla folla, agitando le mani con le tre dita ortodosse levate. E si capiva che non ere stata una decisione trnnno improvvisa. perché su tutti i blindati russi campeggiava già la scritta Kfor, del contingente di pace approvato dal Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Dunque ere un segnale che-i russi si consideravano parte della forza internazionale. Ma la vera questione, subito evidente a Mosca, era capire cosa stava succedendo nei gangli del potere. Alle 16,10, ora di Mosca, 0 maresciallo Sergeev, ministro della Difesa, convocava una «riunione d'emergenza» del proprio gabinetto. Conclusasi due ore dopo senza alcun comunicato. Poco più tardi, in una conversazione telefonica con La Stampa, il presidente della commissione Esteri della Duma, Vladimir Lukin (gruppo Jabloko, opposizione domoratica) affermava appoggiandola • che la decisione ere stata presa dallo stato maggiore generale delle forze armate. Cioè non da Eltsin. Dal Cremlino arrivava soltanto un rimbomban- te silenzio, che sarebbe durato per tutta la giornata. Possibile che Eltsin non telefonasse a nessuno? Possibile. Lukin.ci aveva rivelato anche un'altre importante notizia: che Boris Eltsin, in mattinata, aveva ricevuto il ministro degli Esteri Ivanov. E, altra sorpresa, quanto Talbott è ri-atterrato a Mosca, è stato Ivanov a incontrarlo e non Cemomyrdin. A quanto s'è visto il plenipotenziario presidenziale per il Kosovo non era presente neppure nel prosieguo dei negoziati, cui invece prendeva parte di nuovo il generale Leonid Ivashov, il quale aveva congedato Talbott, in mattinata, ribadendo seccamente che i russi prevedevano la propria dislocazione «nel Nord del Kosovo, dove ci sono molti serbi che simpatizzano con i russi», e precisando che, in caso di mancato accordo con la Nato, anche sulla questione del comando unico voluto dacli americani, la Russia avrebbe «definito con gli jugoslavi» il settore da occupare. Segni duri, che facevano a pugni con il sorriso, per altro molto tirato, di Talbott. Ivashov aveva respinto anche la proposta, avanzata dal generale Clark, di mettere i russi nel. settore americano, «caserme fianco a fianco»: «A noi questa offerta non interessa: non ne abbiamo bisogno, non è quello che voghamo». In realtà, come spiegavano fonti dello stato maggiore, in mattinata i russi avevano fatto i loro calcoli: e se la spola (e la perdita di tempo) di Talbott significasse che la Nato entra e i russi restano fuori, per poi essere ammessi, come ospiti accolti con sufficienza, dove «decidono loro»? Così avrebbero deciso di anticipare i tempi. Del resto, insisteva la fonte, «la Nato è già alle frontiere del Kosovo da diverse settimane. Non abbiamo diritto anche noi a nrenarerci?» I negoziati andavano avanti fino a sera, «attraverso grandi difficioltà», come diceva lo stesso Ivanov alla tv Rtr russa. E senza concludersi. «Noi non parteciperemo alla forza di pace a tutu i costi. Stiamo studiando un compromesso, ma se alla Russia non verrà consentito un ruolo adeguato ai suoi interessi, allora potremmo non partecipare». E sarebbe un colpo durissimo all'atmosfera di ottimismo che domina nelle capitali occidentali. A Ivanov faceva eco, dalla Duma, l'ex ambasciatore a Washington Vladimir Lukin: se la Nato vuole imporro con la forza i suoi punti di vista anche a noi, «io suggerirei di dislocare i nostri soldati alla frontiera della Serbia con il Kosovo, in territorio serbo. S'intende: su richiesta jugoslava». E sarebbe anch'esso un colpo duro alla festa generale, perché la Russia resterebbe fuori, ospitata dagli iugoslavi. Ma un accordo ieri sera ancora non c'era e nessuno poteva giurare che ci sarebbe stato. La preoccupazione principale di Ivanov sembrava quella di rassicurare gli occidentali che i 200 russi del distaccamento della Sfor non sarebbero entrati in Kosovo. Ma i militari - o una parte importante del corpo degli ufficiali superiori - sembrano avere preso una decisione collettiva non facile. Secondo il loro giudizio la linea adottata da Cemomyrdin è stata come minimo debole, come massimo gravemente errata. La posizione di Ivashov non può essere considerata in alcun modo come personale. Lo confermava del resto, alla vigilia di questa svolta, il generale Aleksandr Lebed: «Ivashov rappresenta l'opinione della grande maggioranza degli ufficiali superiori dell'esercito. Se qualcuno pensasse di costringerlo a dimettersi l'effetto sarebbe molto serio». Clark preoccupato dalle reazioni dell'Uck Momenti di tensione nel Consiglio Atlantico per la visita del ministro degli Esteri greco Papandreu al presidente Milosevic Nella foto sotto Wesley Clark, comandante Nato. Strobe Talbott sottosegretario di Stato americano con Igor Ivanov (a sinistra) ministro degli Esteri russo Durante II colloquio I due non hanno trovato un accordo
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