Quest'Europa senza Costituzione
Quest'Europa senza Costituzione All'Unione servono regole istitu2ionali, ma anche una forma politica originale Quest'Europa senza Costituzione Massimo Luciani CHE nella campagna elettorale per il 3 giugno si sia parlato assai poco di Europa è paradossale. Si tratta delle prime elezioni europee dopo il Trattato di Amsterdam, e il Parlamento che ne uscirà avrà poteri ben più incisivi che in passato, da giocare, oltretutto, negli anni cruciali dell'avvento dell'euro e del delicato dopoguerra balcanico. Ci si poteva aspettare grande attenzione per il futuro dell'Unione e un confronto serrato su diversi progetti di Europa, e invece nulla ha potuto spostare la discussione dalle cose di Roma a quelle di Strasburgo e Bruxelles. Non si tratta di semplice provincialismo ma di vera e propria miopia politica: che ci sia o non ci sia l'apporto politico e culturale italiano, l'Europa andrà avanti e sarebbe bene stare dentro il processo di evoluzione continentale con spirito un po' più vigile e consapevole. La nuova legislatura europea, del resto, dovrà affrontare la questione ormai improcrastinabile del rapporto fra l'Unione e i cittadini europei, che debbono finalmente capire cosa sia, in termini giuridico-istituzionali, l'Unione e avere un quadro normativo più preciso dei propri diritti. Ha dunque perfettamente ragione Enrico Vinci, quando su La Stampa di ieri, 10 giugno, scrive (cogliendo davvero un punto essenziale) che la vita e lo sviluppo dell'Unione non debbono più essere affidati al negoziato diplomatico tra i governi degli Stati menhi i e che c'è bisogno di regole istituzionali certe, che possano far vivere l'Unione di vita propria. Ho qualche dubbio, invece, che queste regole si possano davvero chiamare «Costituzione europea», e che il Parlamento che sarà eletto il 13 giugno potrà davvero aspirare ad essere un Parlamento «costituente». Nel dibattito costituzionalistico, in effetti, siamo piuttosto prudenti nell'utilizzo di termini come questi, e non a caso. La Costituzione che siamo abituati a concepire non è soltanto un documento normativo, e men che meno è solo una «macchina», come pensa qualche politologo. La Costituzione (scritta) è la formalizzazione di un patto sociale siglato dai cittadini appartenenti a un popolo, che definiscono la tavola dei valori nei quali si riconoscono e che si impegnano a rispettare. Perché vi sia una Co¬ stituzione, dunque, è necessario un atto politico e volontaristico (che è la stipulazione del patto), ma anche un elemento sociologico e oggettivo, che è l'esistenza di un popolo. Il problema dell'Europa è che un popolo europeo non esiste (né sappiamo se esisterà in futuro), e che quindi la sua «Costituzione» non sarà mai paragonabile a quella cui siamo abituati, e cioè alla Costituzione di uno Stato nazionale. L'aspirazione di chi tiene all'Europa, mi sembra, non può essere quella di farne una specie di Super-Stato, che si ispiri al modello classico degli Stati nazionali. La forma politica dell'Europa dovrà essere originale, perché dovrà tener conto d'essere destinata a sovrapporsi, non a sostituirsi a quella degli Stati che la compongono. Non potrà avere una «Costituzione» in senso proprio, dunque, ma una «Carta fondamentale», che certo sia chiara e abbia un'anima (come giustamente ha scritto Vinci), ma non pretenda di essere assimilabile alle Costituzioni degli Stati nazionali. L'enorme potere evocativo dei termini politici suggerisce dunque, qui, una grande cautela.
Persone citate: Enrico Vinci, Massimo Luciani
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