Arriva l'ora della liberazione

Arriva l'ora della liberazione AL CONFINE MACEDONE ì 8 MILA UOMINI IN ALLERTA Arriva l'ora della liberazione Intervento imminente, italiani tra i primi reportage Francesco Grlgnett; SKOPJE STANNO letteralmente preparando «armi e bagagli», in queste ore, in Macedonia. E si capisce il senso della frase tale è là forza, l'impressione, l'enormità di un esercito che si mette in marcia. E' da qui, infatti, da questa piccola repubblica ex jugoslava, che i «liberatori» della Nato entreranno in Kosovo. Accadrà prestissimo. Da alcuni giorni, disseminati in decine di accampamenti, diciottomila soldati - inglesi, francesi, tedeschi, italiani e americani - stanno impacchettando le loro attrezzature. Sanno che non sarà una gita. Arrivano dopo tre mesi di raid aerei. Dopo una sanguinosa guerra civile e una tremenda pulizia etnica. Per questi soldati non ci saranno folle nelle piazze, come accadde in Italia nel 1944. E oggi, a incoraggiarli, arrivano i politici. Atterra Madeleine Albright. Per gli italiani, Massimo D'Alema. Il D-Day sta arrivando, insomma. Ieri sera il generale inglese Michael Jackson, comandante in capo delle operazioni, ha voluto incontrare la stampa per lanciare pochi ma efficaci messaggi. «I profughi devono portare pazienza ancora qualche mese». «Noi andremo avanti con grande cautela, dobbiamo minimizzare il rischio». «Il pericolo sono le mine: i serbi collaborano pienamente, ma di proiettili, esplosivi e trappole ce ne sono tanti». «Le bande paramilitari stiano attente: devono sapere quali sono le conseguenze se si muovono». «Il disarmo deil'Uck è previsto dagli accordi di Rambouillet. Se decidesse di violare la tregua durante il ritiro della forze serbe in Kosovo ne subirebbe le conseguenze. Sarebbe una decisione molto, molto stupida da parte deil'Uck». «Garantiremo tutti. Cercheremo di far rispettare legge e ordine». Il generale inglese, che si sta dimostrando un raffinato politi- co, un ottimo diplomatico e anche un bravo comunicatore, e che diventerà presto una star, lancia infine il suo ultimo slogan: «I soldati sono ansiosi di cominciare». Ecco, su questo punto, qualche dubbio è lecito nutrirlo. «Io c'ho una paura - dice un soldato come tanti, si chiama Alfonso Giardiello e viene da Eboli - e cioè che i serbi ci fanno andare dentro e poi comincino a bombardarci loro. Così comincia la guerra vera». Alfonso, che è uno dei duemila bersaglieri in procinto di entrare in Kosovo, è prodigo di consigli ai giornalisti: «State attenti alle mine, possono essere nascoste dappertutto. E quando fate un'intervista, dondolate la testa avanti e indietro, non state mai fermi. Così il cecchino non vi prende». Un po'iettatorio, come discorso. Ma significativo. La vigilia della partenza è infatti ricca di incubi. A ciascuno il suo. Il generale Jackson non fa altra che parlare di mine. Il colonnello Sergio Masiello, responsabile dol genio, ha finito le pistole in armeria e non può darle a tutti i marescialli della furerìa. Il capitano Michele Gaudenzi, deU'amministrazione della brigata Garibaldi, entrerà tra i primissimi con la cassa del reggimento tra le gambe e naturalmente teme le rapine: «Mi porto dietro tutto l'armamento individuale che posso. Per fortuna sono pochi soldi. Non ho nemmeno chiesto la scorta». Al campo del 18° reggimento bersaglieri, i carri armati sono già allineati nel senso di marcia. Tre ventenni in maglietta ridono e scherzano. Un po' troppo: forse esorcizzano la paura. Sono l'equipaggio del primo carro armato del primo gruppo. I battistrada di tutti gli italiani. Dice Massimiliano Brandolini, 25 anni: «Per intenderci, se c'è una mina la prendiamo noi. E saltiamo per aria». Avete detto alle famiglie che sarete i primi? «Non scherziamo. Sono già abbastanza preoccupati». Il suo amico, Sergio Salis, un giovanottone con i capelli rasati. prova a fare lo sbruffone: «Comunque abbiamo le nostre amiche mitragliatrici». Ma si capisce che non è granché convinto. Perché hanno scelto proprio voi per aprire la colonna? Risponde il terzo, Giuseppe Donato: «E' per via dell'esperienza. Siamo veterani. Da sei anni nell'esercito. Per tre anni con la brigata Sassari. Sei mesi a Sarajevo e tre mesi a Valona». Da buoni giovanotti sardi, non rinunciano a portare in tasca una lama a scatto. Si sono scritti fiumi di inchiostro sui coltelli dei terribili Gurkha. Ma anche la «pattada», coltello a serramanico di lunghezza non proprio regolamentare, di cui parlava già Emilio Lussu in «Un anno sull'altipiano», non scherza. Basta chiedere. La tirano fuori dalle tasche con un lampo di complicità negli occhi. Poco distante, sotto una tenda dove il caldo è asfissiante, altri bersaglieri si riposano. Gli zaini sono quasi completi. I fucili appoggiati alla branda. Daniele Russo, di Potenza, legge un libro. E' un best-seller americano, «Azione immediata» di Andy Me Nabb. Ti piace? «Parla di guerra. Un po' scemo. Comunque ti fa passare il tempo». Spaventato? «Per l'orza. Ma sono già stato in Bosnia. Qui può essere peggio solo per le mine e perché la pace l'hanno appena firmata, magari c'è qualcuno che non è d'accordo. Ci hanno detto di stare attenti». Il generale Jackson «Proteggeremo tutte le etnie. L'Uck non violi la tregua sarebbe molto stupido» Oggi sono attesi Madeleine Albright e Massimo D'Alema per incoraggiare i loro contingenti I primi marines sbarcati dai mezzi anfibi a Uthohoro, vicino 2 Salonicco dalle navi americane che incrociano nel Nord dell'Egeo