Se ne va «l'Armata degli eroi» di Giuseppe Zaccaria

Se ne va «l'Armata degli eroi» Se ne va «l'Armata degli eroi» L'esercito di Milosevic furente per il ritiro reportage Giuseppe Zaccaria inviato a PODUJEVO LJT ARMATA se ne va. Inqua" drata in minacciosi reparti corazzati, ammassata su autobus e camion del latte, sorridente nelle facce dei coscritti che già pensano ad una serata in discoteca, torva in quella dei cinquantenni che tornano a casa senza un soldo, seguita da auto civili cariche fino all'inverosimile, la «Srpska Vojska» inizia il ritiro e abbandona il Kosovo, forse per sempre. Questa è più di una ritirata. E' un atto fortemente simbolico, la fine della guerra, l'inizio di un'altra migrazione, il definitivo infrangersi di un sogno di dominio. Probabilmente, anche il primo segno di un movimento tellurico che muovendo dal profondo dell'anima serba si ripercuoterà fino a Belgrado, con conseguenze che è ancora difficile immaginare. Fu attraverso il Kosovo, nell'inverno del 1915, che la «Vojska» ai ritirò sotto gli attacchi dell'Armata austroungarica e le imboscate degli albanesi, e sull'epopea di quel movimento di soldati e di popolo si costruì un altro capitolo nell'eroica saga del soldato serbo. Adesso, in questo movimento di ROTTA VERSO NORD PER UOmIni/cARRI armati E camion —-y-r truppe di epico non c'è nulla. Dicono che meta dell'Armata sia furente. Costretti ancora una volta a ritirarsi senza combattere (come ih Slovenia, come in Croazia, come in Bosnia) ufficiali pagati come semplici poliziotti escono dall'emergenza che ne rivalutava il ruolo, dal limbo degli aspiranti eroi e tornano ad un ruòlo marginale, a un'esistenza precaria. Sembra che fra i gradi intermedi serpeggi il fuoco della contestazione, che la saldatura politica coi radicali di Seselj sia in atto. I generali invece tentano ancora di far suonare i cembali dell'eroismo. Vladimir Lazarevic, maggior generale, comandante del «Prisunkog Korpus» è un uomo bassino e corpulento che accanto ai giganti di cui si popolano i suoi reparti non fa una gran figura. Invisibili fino a ieri, i soldati serbi sono spuntati come folletti da bunker e cantine e adesso si allineano disciplinati in attesa dell'ordine di partenza. Ci saranno circa 200 automezzi qui, divisi in tre convogli. Circa 4 mila uomini: «Più di quanti la Nato ne avesse richiesti per considerare soddisfacente quest'inizio di ritiro», dice il comandante. Lazarevic si sta facendo inquadrare dalle telecamere sotto un cartèllo contorto che a destra indica «Pristina» e a sinistra «Nis», ovvero il Nord, la Serbia, il limite di provincia che sta per trasformarsi in con- fine. Lui sta per svoltare a sinistra. Questa è Podujevo, forse la cittadina più distrutta dei Kosovo, e per iniziare un ritiro che muoverà da molte altre direzioni la «Vojska» ha scelto questo scenario di devastazione. Era un iuogo in mano all'Uck, quando ì'Uck vi ritornerà troverà solo il deserto, un tappeto di vetri e mattoni infranti, vecchie auto rovesciate e date alle fiamme, case incendiate' che dagli squarci nelle pareti mostrano croci cetniche tracciate con la vernice. Come si sento, generalo? «Come il capo di un'Armata che ha fatto fino il fondo il proprio dovere ed è pronta a farlo di nuovo in qualsiasi momento...». Tornando per settimane nei bunker a sentirsi piovere bombe sulla testa? «Difendendo il nostro territorio e la nostra gente. Sul Kosovo, in più di due mesi hanno sganciato una quantità di bombe quattro volto più potente di quella di Hiroshima, e noi abbiamo resistito con pochissime perdite»., Oggi, si può sapere quante? «Anche una sola vita umana costituisce una perdita enorme. Ma la prego di credermi se da soldato le dico che tra noi militari sono state minime, 6 invece enormi tra i civili». Cosa ha detto ai suoi soldati? «Che questa non è una sconfitta né una capitolazione. Che ci apprestiamo a varcare il limite con la Serbia pronti ad attraversarlo ancora se i serbi del Kosovo chiedessero il nostro aiuto». E ai serbi del Kosovo, ai civili che adesso si sentono abbandonati? «Ho consigliato loro di restare, ho detto che la Nato riuscirà a fermare i terroristi e a proteggere le loro esistenze». Ma dietro i vostri blindati si vedono decine di auto civili, intere famiglie che si accodano ai soldati annunciando un altra migrazione. «Evidentemente Nato e Uck possiedono argomenti più convincenti dei nostri...». il comizio è finito: soldati che nell'equipaggiamento potrebbero essere scambiati per americani corrono verso jeep giapponesi e danno il via a un convoglio dall'aria assolutamente balcanica. In prima fila, enormi blindati con le canne delle contraeree ancora puntate verso il cielo, poi i carri delle sabnerie che trainano cucine da campo. Sulla via del ritorno, riattraversare Podujevo è come vivere in un lembo di Far West, in un villaggio su cui si è appena abbattuta una catastrofe naturale. Nel deserto spiccano due jeep: sono i reparti di polizia serba che restano di retroguardia in attesa che la Nato arrivi. Anche a Pristina sono rimasti solo pochi poliziotti. Un gruppo di essi, tutti giovani, è montato su un camion scoperto che attraversa lentamente la città mentre dal cassone gli uomini fanno chiasso e brandiscono i mitra. Un giro dimostrativo, il tentativo d'intimidire quelli che aspettano di riprendersi terra, case e potere. L'altra notte, all'annuncio dell'accordo sul ritiro Pristina aveva reagito come può fare soltanto un città di pazzi: raffiche verso il cielo, spari di armi automatiche, di contraeree, fucili e perfino cannoni Un rovente concerto d'armi che voleva esprimere sollievo per la fine dei bombardamenti ma finiva col provocare sensazioni diverse. Qui Podujevo, la guerra è finita: per l'inizio della pace bisognerà avere ancora qualche anno di pazienza. Seguono la colonna auto civili cariche di masserizie. Il comandante: siamo pronti a tornare

Persone citate: Lazarevic, Milosevic, Seselj, Vladimir Lazarevic