I generali firmano: la guerra è finita di Francesco Grignetti

I generali firmano: la guerra è finita Tensione e interruzioni lino all'ultimo. Decisa una fascia di sicurezza e una zona di non volo I generali firmano: la guerra è finita Ritirata serba in 11 giorni, la Nato ferma i raid Francesco Grignetti inviato a SKOPJE La Serbia duna il capo e firma l'accordo di pace, dopo 24 ore di trattativa con continue interruzioni e tensioni. La Nato, che pure è stata costretta ad alcune correzioni di rotta, incassa. Sono le 21,30 quando il generale Michael Jackson, comandante in capo delle forze Nato in Macedonia e capodelegazione ai colloqui di Kumanovo, esce dal tendone e annuncia: «L'accordo c'è: l'obiettivo ora è riportare a tutta la gente del Kosovo, indipendentemente dal loro retroterra etnico, una qualche forma di tranquillità». Con aria tetra lo segue il generale Svetozar Marjanovic, capodelegazione serbo, che si limita a dire: «L'accordo di pace è stato firmato e ciò significa che la guerra è finia e che ha vinto la politica della Jugoslavia e di Milosevic». Ma ha gli occhi vitrei, fissi verso l'orizzonte. Il testo dell'armistizio è probabilmente più duro per le forze serbe di quanto si pensasse. I bombardamenti non cesseranno fino a quando i serbi non avranno evacuato la zona 3, a Nord di Pristina, tra le cittadine di Mitrovica e Pec. GU americani hanno già ribattezzata l'area «Test-zone». Sarà il test della buona fede dei serbi. «Appena il Segretario generale della Nato - spiega Jackson - avrà avuto la conferma che le forze jugoslave hanno adempiuto ai termini dell' iniziale ritiro, ci sarà la sospensione degli attacchi aerei. Ma ho messo bene in chiaro che, se dopo la fase iniziale il calendario del ritiro non verrà rispettato, l'ac- cordo prevede una ripresa dell'operazione aerea». E così, nella notte, sia pure in quantità simbolica, i cacciabombardieri della Nato proseguiranno le loro operazioni. Al termine della prima giornata di armistizio, però, se l'evacuazione sarà completata, e tutto lascia pensare che i serbi rispetteranno i patti, i bombardamenti saranno sospesi. I giorni successivi, dal secondo all'undicesimo, lungo vie già definite, il resto delle forze serbe dovrà abbandonare il Kosovo. «L'applicazione verificabile di questo accordo - dice appunto Jackson - creerà le condizioni per la sospensione dei raid aerei». Sono molte le condizioni che unùlieranno l'orgoglio serbo. Le forze federali (esercito, polizia, paramilitari) si impegnano a evacuare l'intero Kosovo in 11 giorni. La Nato inizialmente concedeva sette giorni. Alla fine di tanta trattativa, hanno concesso 4 giorni in più. La ritirata dei serbi non si fermerà al ronfine, però. No, devono rititarsi oltre. Nasce una fascia di sicurezza, la cosiddetta GSZ (Ground safety zone), di cinque chilometri al confine con il Kosovo. La Nato chiedeva quindici chilometri di arretramento, ha concesso dieci chilometri di sovranità alla Serbia. Ci sarà anche una zona negata al volo, la ASZ (Air safety zone), venticinque chilometri lungo l'intero Kosovo, dove gli aerei serbi potranno volare solo su espressa autorizzazione del comandante Jackson. In questa fascia - che verrà presidiata dai caccia della Nato, come già accade in porzioni di Bosnia oppure di Iraq - non potranno restare neppure radar, artiglieria antiaerea, missili. A presidiare il Kosovo saranno 50 mila uomini (40 mila della Nato, 10 mila russi, altri di Paesi terzi), su mandato del Consiglio di sicurezza dell'Orni. Questo meccanismo, che è identico a quanto accade in Bosnia, permette ai russi di partecipare senza dipendere da un generale occidentale e salva anche le forme di una dipendenza delle forze militari, sia pure molto indiretta, dal Consiglio di sicurezza e dal Segretario generale dell'Onu. Ma l'accordo prevede anche un punto importante, su cui la Serbia si era impuntata: il ritiro dell'armata jugoslava e l'entrata in Kosovo della Nato deve essere «sincronizzato». Serve per evitare ogni pericoloso vuoto di potere. Mai citato, è chiaro il riferimento all'Uck, l'esercito di liberazione del Kosovo. Ennesimo obbligo imposto all'esercito jugoslavo, che fino a ieri era padrone di casa in Kosovo, e che domani inizicrà un precipitoso ripiegamento, è il «marcamento» dei campi minati. Qualsiasi ordigno esplosivo, mina, o trappola dovrà essere disinnescata. L'esercito jugoslavo è anzi tenuto a «ripulire» i suoi campi minati. I confini verso l'Albania e verso la Macedonia, peraltro, da dove gli ottocentomila profughi fuggirono nelle condizioni miserevoli che tutto il mondo ha visto, passeranno sotto il controllo di K-For. Era uno dei punti su cui i serbi, invano, avevano più insistito: il controllo delle frontiere lo volevano loro per evitare che «terroristi» dell'Uck entrassero mischiati ai profughi. Figurarsi. Per ora vanno i soldati della Nato. In seguito subentrerà una missione civile delle Nazioni Unite. E a questo punto comincia il conto alla rovescia per l'ingresso dei soldati Nato in Kosovo. Tra due giorni, grossomodo, le coloime blindate si lanceranno lungo le strade della provincia. Il territorio è stato virtualmente diviso in sei zone. Americani al confine con l'Albania. Tedesci a Prizren. Inglesi a Pristina. Italiani a Pec (zona a forte insediamento serbo). Altre due zone sono destinate ai francesi e agli olandesi. Non è chiaro dove si dispiegheranno i russi, probabilmente verso il confine con la Serbia Concesso più tempo a Belgrado che accetta il «disarmo volontario» dell'Uck Momcilo Trajkovic, leader del «Movimento di resistenza serbo», e l'arcivescovo Artemje. A destra l'addio tra un soldato serbo e la sua giovane moglie

Persone citate: Michael Jackson, Milosevic, Momcilo Trajkovic, Svetozar Marjanovic