L'effetto che fa

L'effetto che fa L'effetto che fa Lietta Tomabuoni j • E' una frase interessante in un'intervista di D'Alema sulla guerra della Nato contro la Serbia. Il presidente del Consiglio difende le sue scelte, parla della sua mancanza di dubbi 8 del suo tormento individuale, si definisce arditamente «certo una colomba». Poi si compiace per l'impegno italiano verso i profughi del Kosovo, «gli alleati ce lo hanno riconosciuto consultandoci sempre»; ricorda vantandosi la visita a Roma di Cernomyrdin, la telefonata di Clinton, «finimmo per discutere il fatto a tre». Insomma: «Ora gli alleati ci rispettano di più». Quindi sarebbe valsa la pena di partecipare attivamente a una simile guerra? Una prova di fedeltà la si è offerta, apprezzamenti dei più potenti si sono ottenuti, possiamo stare contenti? La sensibilità è come il coraggio: ce l'hai o non ce l'hai, e si sa che D'Alema non ce l'ha, è un gaffeur nato, ogni cosa che dice sminuisce, ridicolizza o rende irritante ciò che fa. Ma in quella frase soddisfatta, «ora gli alleati ci rispettano di più», risuona non tonto il complesso & inferiorità'di ijn Paese spesso giudicato poco serio, quanto il perenne nevrotico timore dell'esclusione degli ex comunisti: dominati dall'antica ansia italiana piccoloborghese («cosa dirà la gente»?), pur di essere accettati, di partecipare, di fare bell'effetto e bella figura, di venire invitati, di godere di considerazione, di non venir messi alla porta, paiono disposti a dire o fare qualsiasi cosa. E a volte, purtroppo, la fanno. ETERNITÀ' Ci vogliamo rallegrare oppure avvilire, venendo a sapere che per la strage di piazza Fontana a Milano i giudici milanesi promuovono un altro processo contro tre fascisti, un neonazista, uno di Ordine Nuovo, uno de La Fenice? Alla Banca dell'Agricoltura l'esplosione, nel primo pomeriggio del 12 dicembre 1969, provocò sedici morti, ottantasette feriti. Sinora, nessuno è stato definitivamente riconosciuto colpevole. Il nuovo processo è fissato I men 1 "e'n al 6 febbraio 2000. Saranno passati oltre trent'anni dal fatto: intanto, per dire, morivano Picasso, Nasser, Coco Chanel, Attende, Ezra Pound, Feltrinelli, Francisco Franco, Mao, Pasolini, Moro, si uccidevano Misbima e Guido Morselli ; Hounsfield metteva a punto la TAC, entravano in funzione il VHS, i telefonini e le multisale, l'Apollo 15 esplorava lo spazio; in Italia venivano legalizzati il divorzio e l'aborto, la maggiore età veniva fissata a 18 anziché a 21 anni; nascevano, colpivano e finivano le Brigate Rosse; uscivano «Satura» di Montale, «La storia» di Elsa Morante; Visconti dirigeva «Morte a Venezia», Bunuel «Il fascino discreto della borghesia», Kubrick «Arancia meccanica», Anghelopoulos «La recita», Bertolucci «Ultimo tango a Parigi». Eccetera, eccetera: la vita andava avanti, il processo per piazza Fontana no. Si può provare un senso di disperazione, vedendo in questo processo il simbolo della non-giustizia italiana, dell'impraticabile lentezza dei procedimenti giudiziari, dell'impossibilità (per le vittime, per il Paese) di ottenere giustizia e conoscere la verità. Si può provare un sentimento d'ammirazione per la magistratura milanese che non ha mai mollato, che ha fatto tenacemente per tanti anni e con tante delusioni il suo lavoro, che nel corso del tempo è riuscita a chiarire l'intero sistema della «strategia della tensione» e il ruolo dei neri armati amici di certi tipi dei servizi segreti nel tentativo di portare l'Italia a un governo e a una politica di destra. Si può anche provare nulla: è troppo tardi ormai, è troppo tardi.

Luoghi citati: Italia, Kosovo, Milano, Parigi, Roma, Serbia, Venezia