LE «SPARIZIONI» DI GIACOMETTI

LE «SPARIZIONI» DI GIACOMETTI LE «SPARIZIONI» DI GIACOMETTI ETÀ DELLA POLVERE Paulo Barone Marsilio pp 360 L 54.000 AHTENDO da un'opera famosa di Alberto Giacomotti, FVore in pericolo (che ò anche sulla copertina del volume), Paulo Barone affronta in un lungo ed articolato saggio, ciò che viene definito «età (Iella polvere», ovvero «lo spazio estetico della caducità». Si tratta di un momento unico e irripetibile, quello in cui si svolge ogni evento: ed è un momento non-momento, un luogo atemporale che solo uno sguardo particolarmente affinato, o meglio uno sguardo impavido, che osa sondare le profondità, sa e può cogliere. i Ancor più dell'opera citata sono le «figurine su basamento» ad esemplificare l'assunto del volume: serie di minuscole figure, «non più grosse di una mandor¬ Ancor più dellopera citata soesemplificare l'assunto del vo«non più grosse di una mandor¬ la» che stanno su zoccoli o basamenti a volte assai più grandi di loro; «figure tese a cogliere la "profondità" più specifica, ma rischiando il limite massimo di visibilità delle figuro stesse», spiega il saggista. Grazie alla lettura di passi illuminanti del Giacometti medesimo, tratti dai suoi scritti autobiografici, il concetto si fa via via più esplicito. Come in questo passaggio in cui, ritracciando la propria vicenda, l'artista commenta, a proposito di dotte figurine, appunto, che assumono in lui un valore di prototipo: «Nel 1940 con mio grande spavento, le mie statue hanno cominciato a rimpicciolire (...) diventando così minuscole che con un ultimo colpo di temperino spesso sparivano per sempre nella polvere». Così, ciò che conta, il dato essenziale risulta essere la «sparizione» in1 atto, quel processo infinito di avvicinamento al nulla: un nulla che però non si accampa mai definitivamente, perché è lo sguardo a trattenere l'oggetto al di qua della soglia, cristallizzando il movimento in un'ineffabile eternità. Barone attraversa in quest'ottica - cioè, come egli stesso scrive nella breve introduzione, «giacomettizzandoli» -, Heidegger e Kant, Hegel e -Schopenhauer, in una sorta di stemma floreale, a cui si aggiungo- no, in seconda istanza, gli «antichi», Plotino e Sesto Empirico, e ancora Spinoza, Stirner, Nietzsche: un percorso affascinante «sul limitare» in cui regna l'oscurità degli stati profondi, che a tratti si accende di variegate incandescenze. E, ad accompagnarci nel viaggio, le parole di Giacometti, «sempre ossessionato» dal problema di come cogliere l'unicità delle cose», il suo occhio sul mondo del quale, mancando la fine, si perde la riconoscibilità, né del pari ci si riconosce nella propria vicenda biografica. Il seguente, bellissimo brano di Paris sans fin, con la sua estraneità e il suo spavento, la dice lunga in tal senso: «Il silenzio, io solo qui, fuori la notte, tutto è immobile e il sonno mi riprende. Non so né chi sono, né ciò che faccio, né ciò che voglio, non so se sono vecchio o giovane, forse ho ancora qualche centinaio di migliaia di anni da vivere fino alla mia morte. Il mio passato si perde in un abisso grigio, ero serpente e mi vedo coccodrillo, la bocca aperta; ero io il coccodrillo strisciante con la bocca aperta. Gridare e urlare che l'aria ne trema e i fiammiferi di quando in quando là per terra come delle navi da guerra sul mare grigio». Idolina Landolfi i \ ci saggio di Barone: spazio esletico, caducità e statue che rimpiccioliscono Alberto Giacometti