QUELLE PLEBI ULTRAS AL TEMPO DEL BORBONE

QUELLE PLEBI ULTRAS AL TEMPO DEL BORBONE QUELLE PLEBI ULTRAS AL TEMPO DEL BORBONE Parallelo tra i tifosi d'oggi e i «popolacci» di allora ■"■"UjjlBB1"™* E plebi? Rieccole Proprio come nei più stereotipati tratti delle stampe popolari la plebe - questa volta rivestita coi panni degli ultras della Salernitana - rispunta tumultuosa e urlante. Compare e, quasi a confermare tutti i luoghi comuni che da sempre avvolgono il suo apparire, ha alle ■ spalle il fumo degli incendi (questa I volta le fiamme assassine del treno J speciale Piacenza-Salerno) e le fanJk no contorno i vetri infranti, il IHW i—nWmBH■ - r - - ■ i • i • - - - delle pubbliche le invettive di tutti contro tutti. Non basta: per rendere ancora più esaustivo e realistico il quadro, c'è anche il pavido non vedere di chi, magari rammentando Manzoni, davanti alla marmaglia che non sa tacere neppure in chiesa, neppure davanti alla maestà della morto, si tiene prudente poiché sa quanto terribili e mutevoli siano gli umori della folla. Infatti - come spiega in notissime pagine l'autore de «I Promessi Sposi» - «c'è sempre un certo numero d'uomini che, o per un riscaldamento di passione, o per una persuasione fanatica, o per un disegno scellerato, 0 per un maledetto gusto del soqquadro, fanno di tutto per ispinger le cose al peggio,., Ma, per contrappcso, c'è sempre anche un certo numero d'altri uomini che, con pari ardore e con insistenza pari, s'adoprano per passione, o per una persuasione faper un maledetto gusto del soqquadal peggio,., Ma, per contrappcso, d'altri uomini che, con pari ardore prodnr l'effetto contrario.,.». Sparite le masse che in altri momenti spuntavano dai cancelli delle fabriche (ormai prossime, queste all'estinzione post-fordista è comunque mimetizzate in nuovi reticoli territoriali); silenziose e sparpagliate le schiere giovanili che una recente analisi ha definito «invisibili»; in definitiva ritirata i popoli di destra, di sinistra e forse anche di centro confluiti in quell'amalgama di uggente» che non si vetle in giro ma che, rinserrata nel tinello di casa, c'è (visto che, interrogata, risponde a tutti i quiz), il palcoscenico delle italiche vicende - senza folle e masse e popolo e marmaglie in azione - sembrava desolatamente vuoto. Protagonisti e comprimari non mancano di corto ma per riempire la ribalta e dare spessore e drammaticità allo snodarsi dei nostri stereotipi nazionali il riapparirò doliti plebe sembrerebbe proprio, di tanto in tanto, ingrediente indispensabile. Sparite tute blu e verdi eskimi, colletti bianchi e fazzoletti rossi si ricorro a quello che passa il convento. Ville ii dire quella plebe meridionale che ciclicamente, sbucando da chissà quale voragine carsica della storia, pai rebbi: in grado senza faticosi training e troppo frettolosi aggiornamenti - di svolgere la propria parto secondo il canovaccio che tanti autori e memorie lo hanno assegnato. Ricordato Ippolito Niovo, stralunato ma lucidissimo osservatore, nello lotterò del luglio 1860 alla famiglia, di quelle plebi che capitano sotto lo sguardo dei Mille di Garibaldi in marcia dulia Sicilia verso Napoli? «Hanno la passione del tumulto e della comparsa: i disagi e i pericoli li trovano assai meno pronti delle parate e delle l'oste». E giunto a Napoli, nel febbraio del 1861 al fratello Carlo Niovo: «Il popolaccio Pulcinella non si sa cosa pensi; io credo in coscienza che pensi a nulla e che torni conto tenerlo in sì buone disposizioni. Però... tu hai un po' torto quando giudichi di tutte le Provincie napoletane da quei pochi contadini-briganti che hai veduto. Intelligenza vo n'ha. Sobrietà non manca. Manca il lavoro...». Enzo Striano, autore di quel romanzo troppo ignorato che è stato «Il resto di niente», va ancora più indietro nel tempo. Guarda la plebe napoletana tumultuante contro i «Giacobbe» (vaio a dire i giacobini) con lo sgardo della marchesa Eleonora Pimentili de Eonseca, poetessa, scrittrice, rivoluzionaria. E, dunque^ al ritorno del Borbone, mandata alla forca tra l'entusiasmo doi «lazzari» che apprezzano lo spettacolo dell'esecuzione con applausi da stadio, battuto intrecciate col boia, risate e scherno verso i condannati: «La gente prende a tumultuare per le lungaggini del boia, i movimenti di don De Forte, che va da un condannato all'altro. - Masto Dona'! - si grida Voliinnioaccomincia'? - Jamnio a fa' ampresso! Lo volimmo àmmozza' sti capozzelle? Girano le primo battute spiritose, si ride. In fondo, qualcuno accenna a battere un tamburo, a intonare strofette, Si leva presto un coro...». Un'esecuzione ina è come se si fosso - guarda guarda - alla curva dolio stadio, a fare il tifo per la propria squadra del cuore. Che gli intrecci tra l'apparente leggerezza del gioco e la sofferta concretezza della vita siano quanto mai estesi è cosa nota e abbondantemente investigata. Chi volesse metterli a fuoco - nelle loro dimensioni di pulsione alla competizione, di sperimentazione dell'azzardo, di mascheramento allusivo del reale, di abbandono alla vertigine dell'imprevisto - non deve far altro che ripercorrere le pagine de «1 giochi e gli uomini. La maschera e la vertigine». Lì Roger Caillois tira le fila di quell'immensa rete con cui il gioco non solo avvolge le nostre esistenze ma plasma le regole, forse anche gli eventi, di tanta parte del nostro vivere collettivo. Soprattutto quando fa entrare in scena le folle o, se si vuole, le plebi. Caillois in particolare individua quel parallelismo contraddittorio tra gioco e vita negli stadi, nelle piazze, dentro le nostre case - che fa sì che il gioco 6 le decisioni della vita «siano costantemente e in ogni campo antagonisti e simultanei». In questo stretto accostarsi individua re il confine che separa le due realtà (la vita e il gioco) è faccenda che non può essere sbrogliata rimanendo nella dimensione collettiva. Sia essa la folla impegnata a tifare per la propria squadra o la massa che mette in scena riti antichi, ma sempre attuali, quali quelli che, con immensa pazienza, Elias Conetti ha illustrato in «Massone potere». Solo al singolo individuo, nella solitudine del suo silenzioso riflettere, è forse consentito trovare risposta, individuare l'impercettibile confine. Perché, proprio come scrive Huizinga in «Homo ludens», quando «l'uomo deve decidere se un'azione, a cui la volontà lo guida, gli è prescritta come serietà oppure gli è permessa come gioco, allora la sua coscienza morale gli offrirà subito la pietra di paragone...». Poiché in quel momento - qualunque sia il ruolo che sta interpretando, giocatore o tifoso ultras, militante politico o amante o guerriero e quali siano i copioni e regole che da questi ruoli possono innervarsi «sul punto d'agire intervengono modi di verità o di giustizia, di pietà o di perdono». A questo punto, scrive il vecchio storico olandese: «Una sola goccia di compassione basta a elevare le nostre azioni al di sopra delle distinzioni... e la domanda: gioco o serietà, che fino all'ultimo rimase insolubile, si riduce a tacere per sempre». Oreste del Buono Giorgio Boatti gboattl@venus.it Ippolito Nievo duranti' la spedizione dei Mille dalla Sicilia a Napoli: «Hanno la passioni' del tumulto» liattute da stadio durante l'esecuzione sulla forra della marchesa Pitnentel de Fonseca, rivoluzionaria e poetessa Ippolito Nievo, stralunato od attento osservatore della campagna dei Mille ■"■"Uj I j,i li.-ggi-re: I n/o Siriano II resto di niente Rizzoli, Milano (908 Ippolito Nievo Scritti politici e storici Coppelli, 1965 Roger Callois I giochi e gli uomini Bompiani, 1081 jollui I luizinga Homo ludens In mudi. 1949

Luoghi citati: Milano, Napoli, Piacenza, Salerno, Sicilia