«Così sono sfuggita a Bilancia»

«Così sono sfuggita a Bilancia» La testimonianza di Lorena, il transex che era scampato al serial killer e poi lo aveva fatto arrestare «Così sono sfuggita a Bilancia» «Abbiamo lottato, poi mi sono finta morta» reportage Brunella Giovarti inviato a GENOVA Nel buio, una voce bassa e roca che dice: «Ma dove credi di scappare?». La pistola puntata alla testa. Un clic. Un altro clic: pistola scarica. Così si è salvato la vita il viado John Zambrano detto «Lorena», unico sfuggito alla voglia di uccidere del serial killer Donato Bilancia. Ieri ha testimoniato in corte d'assise. Ha offerto al pubblico un assaggio del suo mondo, notturno, freddo e sporco. Travestiti e nigeriane a scaldarsi attorno ai falò. Fari di macchine, uomini, prezzi, rapporti sessuali. E una notte speciale: 23 marzo 1998, alla Barcellona, periferia di Novi Ligure, quando lei aspettava clienti avvolta nella sua pelliccia bianca. Si fermò una Mercedes scura, un uomo le chiese «quanto?». Lei salì. Non sapeva che stava andando incontro alla notte più lunga della sua vita. Un quarto d'ora dopo quell'uomo avrebbe ferito e poi finito con un colpo alla testa i metronotte Massimino Gualillo e Candido Bando. E avrebbe ferito anche lei: un colpo alla pancia, e poi giù botte con il calcio della pistola, per finire quel prost.it uto così femininile, che cercava di difendersi a unghiate e morsi, che non voleva saperne di morire. Quando l'hanno trovata era in fin di vita. Due mesi dopo, nel carcere di Alessandria, ha riconosciuto Donato Bilancia: ha detto «è lui», si è rivista davanti la notte alla Barbellotta, si è messa a piangere. E' tornata a prostituirsi, stesso posto di prima, sulla statale 35 bis dei Giovi. A Bilancia chiede un risarcimento: soldi, per cancellare dalla pancia la cicatrice della ferita, «così come sono non posso più mettere il due pezzi».. Il presidente della corte Loris Pirozzi sgombra l'aula da fotografi e cameramen, fa sistemare due tabelloni a proteggere il testimone. Lorena non vuole farsi riprendere, «è un suo diritto», spiega il pubblico ministero Enrico Zucca. E finalmente entra: una ragazza piccolina, più che perfetta per voce e aspetto. In jeans e maglietta che scopre ombelico e decolleté, una parrucca di capelli lunghi e rossi, occhialoni scuri, zainetto. Stivaletti neri a tacco altissimo, e quindi andatura incerta. Mani coperte di anelli. Mastica chewing gum e dichiara di chiamarsi John Zambrano, di essere nato a Guayaquil (Ecuador) ventotto anni fa, di lavorare nella zona alla periferia di Novi Ligure, sullo stradone che porta a Serravalle. «Questo della Mercedes mi chiede cosa facevo e cosa volevo». In che senso, domanda il pm? Lei si lascia scappare una risatina: «Mi ha chiesto prestazioni sessuali abbastanza normali, e il prezzo. Ci siamo messi d'accordo, gli ho fatto capire che cosa ero, "transessuale, ti va bene?". Certi uomini capiscono, altri no. Lui capì. Disse "andiamo a casa mia, facciamo le cose con calma"». Bilancia sa dove andare: una villa disabitata con un cancello facile da aprire. Un posto perfetto. Nessuno lo disturberà. «La mac¬ china attraversa un cancello bianco aperto. Bicordo di avergli chiesto come si chiamava. "Gustavo", rispose». E che tipo era, questo Gustavo? «Taciturno. Robusto, capelli brizzolati, più alto di me. Cinquantacinque anni, direi. Vestito bene, ricordo un soprabito scuro con il collo alzato. Un timbro di voce rauco, che mi faceva stare in allarme». «Percorriamo un viale di alberi, parcheggia così vicino a un albero che la mia portiera rimane bloccata. Sono preoccupata. Gli dico "ma cosa fai?". Bisponde "spogliati". "Allora dammi i soldi", gli faccio. "I soldi dopo". Cerco di prendere la borsa, lui la mette sul sedile dietro. Mi guardo in giro, lui dice "è inutile, nessuno ti può aiutare". "Nella borsa ho i preservativi", rispondo. Ma l'uomo dice che "non servono". Ho paura, cerco di prendere tempo, dico "visto che è così, allora divertiamoci", e comincio a spogliarmi». Lorena si sfila la pelliccia, sotto ha «im cappottino, calze e stivali con tacchi molto alti, un calzoncino e un perizoma». Lui fa una faccia «da porco». Lei vede «il calcio di una pistola, infilata nella portiera della Mercedes. Pensa «o io o lui», cerca di distrarlo, lo tocca «ma lui non si eccita». Si fa toccare, pensa a come fuggire. Ha capito che verrà uccisa, dopo. «A quel punto vedo le luci di una macchina su per il viale e penso "sono salva". L'uomo dice "vestili, vestiti in fretta", ma io rispondo no, che adesso voglio restare nuda. Vedo avanzare due uomini. Lui mette in moto». Sono le due del mattino. Massimino Gualillo, a bordo della sua Panda bianca dell'Istituto di sorveglianza di Novi Ligure, sta facendo il giro assegnato. Passa davanti a villa Minerva, vede il cancello aperto, avvisa il collega Bando. Gualillo ha come nome in codice «tigre» ma è in servizio da appena dieci giorni, ed è disarmato. Quando Bando arriva, insieme salgono su per il viale di villa Minerva. Fa freddo, nevischia. Per terra c'è ancora un po' di neve vecchia. I fari delle due Panda illuminano gli alberi, la facciata della villa. Una Mercedes blu, due persone a bordo. «Uno dei due dice "Cosa fate qui, qui è proprietà privata". Mi faccio coraggio e grido "questo è matto, fate attenzione". Ma il metronotte mi dice di rivestirmi e di stare zitta, die loro sapevano fare il loro lavoro. Gli chiedono i documenti, l'uomo scende dalla Mercedes, sento parlare. Poi degli spari». Lorena cerca di infilarsi almeno gli stivali, esce dall'auto, cerca di nascondersi tra i cespugli. «Sento un fiato dietro l'orecchio. Mi giro, è lui. "Dove credi di andare?". Ci picchiamo, sento un colpo di pistola, cado a terra e mi fingo morta». Bilancia si china su lei, Lorena si aggrappa alle sue gambe. «Sento la pistola appoggiata alla faccia, e quei due die. Si rialza veloce, va verso la macchina». Bilancia ricarica la sua 38 special, si awicma ai metronotte e spara i due colpi di grazia. «Poi torna da me. Gli salto addosso come un gatto. Parte un altro colpo, sento bruciare la pancia. Mi colpisce alla testa con la pistola, mi spinge via, fugge». Bilancia salta in auto e scappa. Lorena si trascina alla Panda, cerca la radio dei metronotte, non la trova. Perde sangue, si sento morire. Raggiunge la seconda Panda, via radio comincia a chiedere aiuto. «Qualcuno mi chiede se sto scherzando, rispondo "qui ci sono due tuoi colleghi morti, e io sto morendo". Il metronotte Costante, di turno alla centrale, sente una voce «soffocata», che dice «aiutatemi». Passa qualche minuto, e sente un lamento, una voce «effeminata che dice "sto male, venite qui". Avvisa i carabinieri». Sono le 2,25, Bilancia ò già sparito nella notte. Ieri è rimasto in cella, carcere di Chiavari, a seguire l'udienza su una tv privata genovese. 11 processo riprende il 1° luglio. «Mi ha puntato la pistola alla testa, ho sentito due clic, ma l'arma era scarica» «Adesso voglio soldi da lui Mi ha ferito alla pancia per colpa di quella cicatrice non posso mettere il bikini» A sinistra Lorena, coperta da un telone. Sopra il pm Enrico Zucca A sinistra Lorena, coperta da un telone. Sopra il pm Enrico Zucca