La sicurezza entra al supermercato di Stefano Mancini

La sicurezza entra al supermercato La sicurezza entra al supermercato Più garanzie sui prodotti, ma l'etichetta non dice tutto Stefano Mancini Disposizione dei prodotti, illuminazione, sottofondo musicale, servizi alla clientela, orari: l'ipermercato, ultimo erede dei grandi magazzini degli Anni Sessanta, spietato concorrente del negozietto all'angolo, è l'applicazione della scienza del marketing. Nel tempo è cresciuto, si è diversificato e adattato alle nuove regole sull'igiene e la conservazione degli alimenti. «Sono le leggi più severe d'Europa», hanno sottolineato le associazioni dei commercianti italiani all'indomani dello scandalo diossina. Leggi severe uguale garanzia per il consumatore, è il ragionamento di chi vende. La prima rivoluzione del commercio al dettaglio fu l'obbligo della data di scadenza. Erano gli anni Ottanta. Il legislatore scelse una formula rassicurante: «da consumare preferibilmente entro...». Da allora qualunque alimento, dal succo di frutta all'origano in bustina, deve riportare il termine ultimo di conservazione degli alimenti. Negli anni Novanta la seconda rivoluzione: accanto al prezzo effettivo, il prezzo al chilo (o al litro). Un principio di «trasparenza», si disse. L'indomani, gli italiani scoprirono che lo zafferano vale quanto un metallo prezioso. A fine decennio, ecco l'ultima grande novità: l'autoresponsabilità. Chi vende rispon¬ de della qualità del prodotto. Sembra ovvio, eppure prima non era così. Il negozio acquistava dal fornitore e al fornitore attribuiva la colpa di eventuali difetti. Oggi il commerciante deve farsi certificare l'origine di ogni alimento posto sui banchi vendita. Il consumatore pignolo se ne sarà accorto: tutte le confezioni, anche quelle di verdura e frutta preparate dagli stessi supermercati, riportano data di impacchettamento, origine del prodotto, peso, prezzo al chilo, prezzo effettivo, scadenza. Le uova, per esempio: su ogni scatola è scritto addirittura il giorno in cui sono state deposte, oltre all'azienda di origine. «La situazione della grande distribuzione è molto migliorata - sostiene Anna Baitolini, consigliere speciale per i consumatori all'Unione europea -. La nuova legge impone una maggiore attenzione. I venditori non sono diventati buoni di colpo: è il principio dell'autoresponsabilità che li ha spinti a curare qualità, igiene dei prodotti e informazioni all'acquirente». Le etichette, tuttavia, non raccontano ancora tutto del contenuto. Un'inchiesta condotta dalla società «Healey tv Baker» ha rilevato che otto italiani su dieci non comprerebbero mai un prodotto geneticamente modificato. Precisiamo: non lo comprerebbero se ne fossero informati. Cereali tran- sgemci vengono già impiegati nella preparazione di cracker e budini, ma non c'è l'obbligo di dichiararlo. «Alcune catene di supermercati hanno bandito questi prodotti - aggiunge Anna Bartolini -. Non sempre, però, sono al corrente dei trattamenti subiti dagli ingredienti dei prodotti». Altro dettaglio che nessuna etichetta riporta è il «trattamento radiante» subito da alcune verdure. Patate e aglio, per esempio, hanno il «vizio» di germogliare: un leggero bombardamento con radiazioni glielo toglie. Provare per credere: riporre una accanto all'altra una patata di negozio e una di contadino, attendere qualche giorno e guardare la differenza. Sopra gabbie vuote in un deposito belga, con un manifesto «Viva queste difficoltà, così io vivo più a lungo». A sinistra un supermercato La pratica è lecita e - garantiscono gli esperti - innocua. E la qualità dei cibi? 1 sapori che rendono celebre nel mondo la gastronomia italiana? Che cosa rimane dopo tutti i trattamenti in nome dell'igiene e della purezza? 1 gourmet storcono il naso di fronte ai prodotti della grande industria. «Gli ipermercati devono soddisfare una clientela più vasta possibile, dunque privilegiano il sapore "medio" - dice Lorena Valdicelli, alimentarista del Comitato consumatori Altroconsumo . Il livellamento verso il basso è inevitabile e la cultura gastronomica si va un po' perdendo». Dobbiamo scordare il sapore dell'uovo di fattoria? «L'uovo di l'attoria è la causa del 90% dei casi di salmonellosi in Italia - risponde l'esperta -. Per migliorare la qualità delle uova, lavoriamo sui mangimi. Se gli animali di allevamento fossero nutriti correttamente non avremmo avuto né la sindrome della "mucca pazza" né In contaminazione da diossina». Le rarità doc sopravvivono nelle botteghe specializzate, a prezzi moltiplicati da tre a dieci volte. Altro discorso ancora riguarda gli alimenti biologici (verdura, frutta, cereali coltivati senza l'impiego di prodotti chimici). Sono un prodotto di nicchia che a ogni scandalo trova nuovi affezionati. E che l'ipermercato sta scoprendo, accanto ai cibi del «commercio equo e solidale» provenienti dai Paesi in via di sviluppo. «Qualche catena li ha già introdotti - spiega Anna Bartolini - ma anche la qualità di frutta e verdura tradizionali mi sembra molto migliorata rispetto a pochi anni fa. C'è ancora un passo da fare: estendere il principio di responsabilità al titolare dell'azienda agricola. Pure lui dovrà rispondere della qualità delle sue mele o della sua insalata».

Persone citate: Anna Baitolini, Anna Bartolini, Baker, Healey, Lorena Valdicelli

Luoghi citati: Europa, Italia