Il gioco di Belgrado di Giuseppe Zaccaria

Il gioco di Belgrado II Paese non ha più nulla da perdere con la ripresa dei raid sulla capitale e cerca di ottenere il massimo Il gioco di Belgrado Dietro le difficoltà dell'ultima ora Giuseppe Zaccaria Inviato a BELGRADO «Finché c'è ancora un barlume di luce, in Serbia non diciamo buonasera...», risponde Goran Matic, ministro della «Jul», a chi gli chiede se le trattative sul ritiro avranno qualche esito. La «buonasera» (che in serbo di dice «dobro vece») sarà pronunciata fra poche ore. Un minuto dopo che il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite abbia approvato la Risoluzione che porrà fine alla guerra. E questo per una ragione essenziale: la Jugoslavia chiede un documento preciso e vincolante per tutti. Quel che è accaduto negli ultimi tre giorni spinge Belgrado a non fidarsi delle posizioni della Nato. Che ieri sera è tornata ad attaccare Belgrado: almeno tre missili hanno colpito la zona industriale di Pancnvo. I raid dell'Alleanza atlantica si sono intensificati nelle ultime ore sia in Kosovo sia nel resto della Serbia. Secondo l'agenzia ufficiale jugoslava Tanjug, tre persone sono rimaste uccise nei pressi di Bojevac, 180 chilometri circa a Sud-Est di Belgrado, dove è stata colpita una fattoria. E fra le 15 e le 20 di ieri gli aerei alleati hanno lanciato una settantina di missili nelle aree di Gnjilane, Decani, Prizren, Pristina, Srbica, Glogovac e Vucitrn, in Kosovo. Questa fase di semiguerra minaccia di infliggere a Milosevic e al suo sistema di potere - ma anche alla grande massa dei serbi - un danno irreparabile: la mancanza di aiuti per la ricostruzione. Il Parlamento di Belgrado aveva accettato da poche ore la piattaforma di accordo del G8 e già da Londra e Bonn le dichiarazioni dei leader gelavano ogni entusiasmo. «Neanche un soldo finché Milosevic sarà al potere»: dichiarazioni forse condivisibili in via di principio, ma assolutamente in contrasto col piano varato dai ministri dei Paesi più industrializzati del mondo, e accettato dalla Jugoslavia soprattutto grazie alla prospettiva di un «piano Marshall» per i Balcani. E' stato da quel momento che la tattica dilatoria in cui Milosevic è maestro ha preso a essere applicata anche agli incontri «tecnico-militari» che altrimenti avrebbero potuto concludersi in poche ore. Nel frattempo, il generale Michael Jackson poneva altre condizioni non propriamente in linea con gli accordi così faticosamente varati. Il ritiro delle truppe serbe a 25 chilometri dai confini del Kosovo, per esempio. L'allegato al progetto del G8 lo prevede, ma solo per quello che riguarda le artiglierie pesanti. Viceversa, un altro punto espesso con chiarezza dal documento finora è stato del tutto ignorato dai plenipotenziari dell'Alleanza: si parla del disarmo dell'Uck. I serbi continuano a chiedere (e anche per questo aspettano la Risoluzione Onu) che l'operazione preveda un inizio ed una fine, delle scadenze fissate come sarà per la ritirata delle truppe jugoslave. Fino a questo momento non risulta cne la richiesta sia stata accolta: la riduzione dell'Uck da formazione militare a gruppo politico è operazione che richiederà tempo e soprattutto si annuncia estremamente delicata sul piano politico. Senza assicurazioni precise, dunque, i serbi non intendono lasciare sguarnite le proprie frontiere. Soprattutto (niella con l'Albania, lungo la quale dovrebbero schierarsi soprattutto soldati americani. «Il rientro dei profughi, molti dei quali senza documenti - è la tesi del generale Marjanovic, che continua i colloqui in territorio macedone - renderà possibile l'infiltrazione di centinaia di terroristi, forse migliaia». Durante i colloqui macedoni, prima nel ristorante di Blace poi sotto la tenda di Kumanovo, da parte della delegazione serba si è sentito riparlare della Seconda guerra mondiale e delle imprese della «divisione Skanderbeg» delle SS, fondata nel '43 a Pristina, composta da kosovari poi in parte sfuggiti alla vendetta di Tito rifugiandosi sulle montagne e nascondendosi fra i cugini d'Albania. Questo elemento è direttamente collegato alle richieste di Belgrado sulle truppe cui dovrebbe essere permesso di restare sul territorio. Anzitutto per una questione di sovranità formale, ma anche per ragioni molto più concrete. La prima, è quella protezione delle frontiere cui si accennava prima. La seconda riguarda la tutela della minoranza serba, che nonostante una fuga di massa dai bombardamenti consiste ancora in almeno centottantamila persone. Infine, c'è l'esigenza di proteggere o «luoghi sacri» della tradizione serba, in senso sia artistico che religioso. La comunità dei vescovi ortodossi ne individua 800: si tratta di capire quanti poliziotti o soldati debbano essere destinati alla guardia di ogni chiesa e convento. Infine, c'è il problema della polizia: su queste basi i calcoli dei generali di Belgrado conducono ad una stima di 10-12rn il a armati, forza che la Nato non intende accettare in alcun modo. C'è un'altra richiesta, infine, su cui Belgrado non intende recedere: è quella dei visti d'ingresso per le truppe d'occupazione. Si potrà fare magari uno sconto all'invasore (l'operazione porterebbe nelle casse jugoslave un milione e mezzo di dollari) ma il principio non si tocca: sia pure virtualmente, quello del Kosovo deve restare territorio della Federazione. «La Nato ha considerevolmente alzato il livello delle sue richieste, intanto continua a bombardare e tutto questo coinvolge profondamente la Russia»: la dichiarazione resa pubblica ieri dal primo ministro Igor Ivanov dimostra che Mosca segue con estrema attenzione gli sviluppi della «trattativa-tecnica», che in realtà ha quasi assunto il peso di un trattato di pace. Ogni clausola dell'accordo che sarà firmato fra i generali domani potrebbe determinare il futuro del Kosovo. E' per questo che Belgrado attende la Risoluzione Onu e intanto prende tempo. Il regime non ha molto da perdere: in un Paese già raso al suolo nelle strutture essenziali, una prosecuzione dei bombardamenti può solo provocare altre vittime civili. E questa prospettiva non rafforza certo le tesi dell'Alleanza. Un militare jugoslavo con la sua ragazza a passeggio sulla Knez Mihajlova, nel centro di Belgrado

Persone citate: Glogovac, Goran Matic, Igor Ivanov, Marjanovic, Michael Jackson, Milosevic