Con gli occhi del Giappone di Rocco Moliterni

Con gli occhi del Giappone Con gli occhi del Giappone Rocco Moliterni inviato a MODENA EMBRANO fotografie tirate fuori da un vecchio cassetto, pezzetti di memoria ingiallita raccolti in luoghi e tempi diversi: una stradina di montagna, l'ombra d'un palo della luce, il vaso di fiori della casa dei vicini, una ragazza sdraiata nella penombra, un gatto o un fiore, un mappamondo il cui globo è rotolato via. A raccoglierle e a distribuirle lungo le pareti di una stanza, con un ordine apparentemente casuale, quasi a disegnare un albero della memoria, è i) fotografo giapponese Masao Yamamoto. La sua Box ofku diventa una sorta di scatola magica dalla quale non vorresti staccarti, inseguendo sempre nuovi minimi particolari. E, per ibi in questo periodo è rimasto lerplesso di fronte all'algida sperimentazione high-tech di Mariko Mori e del suo Dream Tempie alla Fondazione Proda di Milano, è un modo per ritrovare emozioni in una cultura distante dalla nostra come quella giapponese. Al Giappone e ai suoi artisti dell'immagine è dedicata l'edizione '99 di «Modena per la fotografia», curata da Filippo Maggia e Walter Guadagnini. Ci sono nomi ormai affermati della «diaspora» nipponica come Jun Shiraoka, Hicushi Ogasahara, Keichi Tahara che vivono a lavorano a Parigi o Kunié Sugiura e Kenro Izu ormai «newyorkesi», cinquantennni come Ryuji Miyamoto e trenta cinquenni come Tajyi Matsue, oltre a una folta pattuglia di giovani leve. Le loro immagini sono disseminate fra Modena, Nonantola e il Castello di Spezzano. «Uno sguardo sul Giappone» è il titolo della rassegna, ma in realtà chi cercasse volti e situazioni dell'universo nipponico rimarrebbe in parte deluso. Emerge invece «l'occhio giapponese» sul mondo, una filosofia o una ricerca del- l'immagine, fondata sul rigore compositivo e sulla perfezione tecnica, dalla quale la figura umana e il colore sono per lo più assenti. C'è chi, come Osagahara, indaga l'architettura delle periferie parigine, attratto dalle forme e dalle costruzioni geometriche. Nelle sue immagini non c'è il pulsare delle vita della banlieue, ma il rigoroso disegno dei palazzi e degli uffici che quella vita contengono. Le costruzioni talora crollano o vengono distrutte e proprio la fase del crollo o della demolizione affascina Riyui Miyamoto, che inanella nella sua «Apocalisse dell'architettura», immagini di teatri, cinema, aereoporti «appena» distrutti, con gli scheletri di acciaio che emergono dal cemento. Da ricordare la quasi «bunueliana» istantanea della Nakano Prison: una lunga fuga di celle abbandonate, ciascuna con la sua tazza di water a pezzi. Similitudine e differenza sono al centro del lavoro di artisti come Naoya Hatakeyama e Tajii Matsue. Il primo, nelle sue «River Series», propone corsi d'acqua (fogne?) tra alti palazzi: sono luoghi diversi ma «sembrano» lo stesso luogo. Il secondo ha girato mezzo mondo per contrapporre immagini di deserti e pianure, montagne e colline. Espone coppie di immagini e propno non riesci a distinguere, se non per minime differenze, il Cile dal Kenia, Cipro dalle Canarie, i Pirenei all'Islanda. E sempre la similitudine (sarà la stessa immagine o saranno immagini diverse?) prende nella stanza dei Mille Buddha di Hiroshi Sugimoto. Sei circondato da una serie di fotografie, con una sola moltitudine di Buddha che si ripetono all'infinito. Alla natura è invece dedicata la ricerca di Kunié Sugiura, che ripropone in chiave attuale le teorie di Lazio Moholy-Nagy. Fiori e petali diventano quasi acrobati da circo: «Io appoggio i fiori - così racconta il suo lavoro - sulla carta fotografica, disponendoli in forme geometriche, per anabzzarli e comparare le loro morfologie. Sto tentando di esprimere la possibiUtà di controllare qualcosa che non può essere controllato: vale a dire la Natura». E il tentativo di controllare la natura tra ponti, acquedotti e dighe si ritrova anche in Tosino Shibala: maglie che prevengono frane, argini di bacini idroelettrici, canalizzazioni. In ciascuna di queste immagini le opere in cemento assumono quasi la grazia di un tessuto, sembrano di volta in volta fazzoletti, pizzi o calze a rete. Ma di quanto sia, con l'andare del tempo, vano il tentativo di fermare la Natura offre una conferma Kenro Izu, con i suoi templi cambogiani invasi da radici, che paiono usciti da un lilni di fantascienza degli Anni 50. Il corpo umano è esaltato dalle maxi fotografie di Ketichi Tahara: «La sola storia che voglio raccontare è quella della luce e della terra», dice lui. Per farlo riprende statue classiche occidentali, torsi e volti che fa esplodere in pannelli double-face che accolgono il visitatore nel chiostro di Santa Margherita e pendono dal soffitto della biblioteca civica di Notantola. Qui (anno da contrappunto alle ombre velate di Jun Shiraoka: «Io voglio catturare sulla pellicola - spiega Shiraoka - il sentimento che provo, per esempio la brezza leggera che soffia sulla spiaggia verso la fine dell'estate». Le sue immagini restituiscono così una sorta di «sentimento» del tempo, tra ferrovie e luna park, moli e finestre. Accompagna «Uno sguardo sul Giappone» un catalogo edito da Baldini & Castoldi, che rende però molto parzialmente la ricchezza della rassegna (soprattutto nel caso di operazioni come quelle di Yamamoto e Tahara). Modena per la fotografia '99 Uno sguardo sul Giappone Modena, Palazzo Santa Margherita Orario 10/13-16/19 Chiuso il lunedi Fino al 18/7 e dal 12/9 al 10/10 A «Modena per la fotografia» una pattuglia di artisti nipponici propone immagini dal forte rigore compositivo Qui accanto «Cambogia» di Kenro Izu A destra «Hibiya Movie Theater» di Ryuji Miyamoto