Severino: è in gioco il destino dell'Europa

Severino: è in gioco il destino dell'Europa ■". "•' -:!~—r~n— ■ ~— ;. : IL FILOSOFO E LA TRAGEDIA BALCANICA Severino: è in gioco il destino dell'Europa intervista Maurino Assalto inviato a BRESCIA «Hanno vinto gli Stati Uniti, perché sono riusciti a coinvolgere l'Europa in una operazione militare in funzione anti-russa. Ma ha vinto anche la Russia, perché ha svolto una mediazione decisiva. Chi pensava che con la fine del Muro di Berlino sarebbe cessata la conflittualità Est/Ovest, dovrà ricredersi: la guerra contro la Serbia è un prolungamento, in forma nuova, della guerra fredda. Il destino dell'Europa ne è la posta». Adesso che l'ennesima tragedia balcanica è in vista della conclusione, c'è chi non riesce a essere soddisfatto: Emanuele Severino, il filosofo «neoparmenideo» che ha sempre combattuto il mondo delle apparenze, sposta l'attenzione dalla guerra alle condizioni della pace. E qui cominciano i problemi. Il professore riflette pacatamente, con una certa distanza dai fatti della cronaca, come se le scosse contingenti non fossero che la manifestazione superficiale di un movimento magmatico più profondo: «H conflitto in cui sono stati coinvolti la Serbia e i Balcani è la parte di una contesa più ampia fra Est e Ovest». E le ragioni umanitarie, professor Severino? «Le ragioni umanitarie sì, possono avere avuto il loro peso, ma come ha scritto Robert Kaplan, sul New York Times, c'è in gioco qualche cosa più importante del Kosovo. Ed è l'Europa: se cioè debba perpetuare la sua alleanza-dipendenza dagli Stati Uniti, oppure andare verso Est. Non dimentichiamo che per noi europei la Russia è più vicina geograficamente e per molti aspetti anche culturalmente. Stringere i rapporti fra Europa e ex Unione Sovietica vorrebbe dire avvicinare un grande potenziale economico a un grande potenziale nucleare. Sarebbe l'intensificazione di quella Ostpolitik avviata molti anni fa soprattutto dal ministro degli Esteri tedesco Genscher, la cui fine politica è sempre stata misteriosa». Ma la Russia è ancora un antagonista credibile per l'Occidente? «Sottovalutarla è diventato un luogo comune: è una tigre di carta, si dice, anzi non ha neppure più la sembianza di tigre. Che le cose non stiano così lo vado dicendo da dieci anni. E gli Stati Uniti ne sono ben consapevoli. Lo dimostra la loro politica nei Balcani: hanno fatto di tutto per smembrarti, hanno creato le condizioni perché la Slovenia e la Croazia possano aderire all'Unione europea, hanno favorito l'emancipazione di Montenegro e Macedonia, scisso la Bosnia dalla Serbia. E ora il Kosovo. E' un modo di cautelarsi rispetto al pericolo rappresentato dalla presenza della Russia nei Balcani». Un pericolo più attuale, ora che Mosca parteciperà alla forza di pace? «Non è solo questo. E' strano che non si sia dato adeguato rilievo a una notizia che è forse la chiave per interpretare quello che sta succedendo. Poco dopo l'inizio delle ostilità la Serbia ha chiesto di essere ammessa nell'Unione Slava di Russia e Bielorussia. Qualche giorno dopo la Duma di Mosca ha approvato la richiesta: lei questo lo sapeva? quanti lo sapevano?». Ma poi non se ne è fatto nulla. «Mancava l'approvazione del Consiglio dell'Unione. E in ogni caso il governo russo ha subito fatto sapere che non avrebbe mandato armi ai serbi. E' chiaro che la richiesta di Milosevic era utopica, perché se fosse stata accolta la Nato si sarebbe trovata a bombardare uno Stato associato con la Russia: una patata bollente che Mosca si è ben guardata dal prendersi, com'era ovvio. Ma non è utopia, anzi sarebbe un fattore di stabilizzazione una presenza russa nei Balcani che non si riducesse all'invio di truppe per la forza di pace. Era probabilmente questo l'intento segreto di Milosevic, su cui mi stupisce che non si sia riflettuto, e che spiega perché abbia resistito finora». Lei dunque sarebbe favorevole a una sorta di Superatalo slavo? «Non sono io che lo vagheggio, è un processo in atto. In genere si dà per scontato che sia l'Europa il Superstato inserendosi nel quale la ex Jugoslavia potrebbe trovare la pace. E' l'errore del progetto elaborato dall'ex cancelliere tedesco Kohl : unire i serbi al Superstato sbagliato, a quelli che sono i loro tradizionali nemici, e che lo sono di più ora, dopo questa guerra». E quanto all'Europa, lei da quale parte preferirebbe... «No, io non preferisco, io cerco di comprendere i fenomeni. Ma per questo non ci sono ancora abbastanza elementi. Piuttosto posso fare una previsione. Come tempo fa avevo immaginato che la fine della contrapposizione ideologica non avrebbe comportato la fine della conflittualità fra Est e Ovest, perché questa si sarebbe perpetuata in termini di competizione per la gestione della potenza tecnologica, così ora si può prevedere che anche questa conflittualità non più ideologica sia destinata a sua volta a dissolversi. E' in atto un grande rovesciamento di mezzo e fine: la tecnica, che ci si illude sia lo strumento per realizzare scopi ideologici, diventa essa stessa scopo, perché le forze ideologi¬ che - siano la democrazia, il socialismo reale, il capitalismo, il cristianesimo, l'islamismo - hanno tutto l'interesse a fare in modo che lo Strumento con cui possono prevalere le une sulle altre sia in piena efficienza. Ma quando prevale questa preoccupazione lo scopo non è più quello ideologico, bensì è l'incremento indefinito della capacità della tecnica di realizzare scopi. E' accaduto nell'ex Unione Sovietica, come ha capito Solzenicyn: quando è stato chiaro che la filosofia marxista intralciava il funzionamento dell'apparato tecnologico, quella filosofia è stata accantonata. Questo dominio assoluto della tecnica è la forma più rigorosa dell'atteggiamento originario da cui ha preso le mosse l'intera civiltà occidentale». «Chi pensava che la rivalità Est-Ovest fosse finita dovrà ricredersi Il conflitto è stato la prosecuzione della guerra fredda» 4 Emanuele Severino

Persone citate: Emanuele Severino, Kohl, Maurino, Milosevic, Robert Kaplan, Solzenicyn