Nell'ex capitale operaia tornano le stelle a 5 punte

Nell'ex capitale operaia tornano le stelle a 5 punte IL SINDACATO ASSICURA «QUEI TEMPI NON SI RIPETERANNO», Nell'ex capitale operaia tornano le stelle a 5 punte reportage Fabio Potetti SESTO SAN GIOVANNI SULLE facciate diroccate degli stabilimenti chiusi da anni, sul ponte che attraversa la superstrada che porta a Lecco, accanto ai negozi Me Donald e Blockbuster così come alla sede sindacale, ultimo simbolo insieme a ciò che resta della Falck, della Brada, della Marelli, di una città operaia che non esiste più. Ovunque, da mesi, sui muri di Sesto San Giovanni sono tornate le scritte con la stella a cinque punte. «Ce ne sono tante, più che ai tempi del terrorismo», si preoccupa Filippo Penati, sindaco diesse dell'ex Stalingrado d'Italia, ventimila operai del polo siderurgico negli Anni 70 e adesso meno di cinquemila, rimpiazzati dai colletti bianchi che abitano negli uffici con i vetri a specchio, nei palazzi riconvertiti sotto le pennellate di cemento armato dell'architetto Gregotti. «Venti giorni fa hanno tirato le molotov nella nostra sede, la sera dell omicidio di Massimo D'Antona hanno tappezzato ovunque di stelle a cinque punte. Dappertutto ci sono scritte contro la Nato e D'Alema. Forse il terrorismo a Sesto non è ancora un capitolo morto...», lancia l'allarme il sindaco, sotto scorta dopo l'omicidio del collaboratore di Antonio Sassolino. «Ma non facciamo l'errore di guardare solo ai centri sociali e al sindacato radicale», mette tutto in un unico calderone, temendo un ritorno al passato. Quello dei volantinaggi bierre dentro le fabbriche, delle assemblee selvagge, delle spazzolate ai crumiri, degli applausi alla Marelli dopo il carcere di Enrico Baglioni, numero uno di Prima Li¬ nea e numero due tra i delegati sindacali, dietro al rappresentante della Cgil. I tempi delle auto bruciate, degb striscioni e delle gambizzazioni, del capo del personale dell'Ansaldo e di quello della produzione all'Italtrafo. Quando la colonna Walter Alasia delle Brigate Rosse si chiamava così, perché Luca era uno che a Sesto conoscevano tutti, figlio di partigiani e di comunisti. Ai suoi funerali, dopo la morte in un conflitto a fuoco costato la vita anche a due poliziotti, sua madre aveva voluto che venisse seppellito con il fazzoletto rosso. Dopo di lui ne arrivarono tanti, si scoprirà poi con gli anni, coi pentiti, con le manette che scattavano in fabbriche dove adesso ci sono prati incolti, muri diroccati e quei due milioni e mezzo di metri quadri su cui si progettano uffici e centri commerciali senza un operaio. «Gli operai? Ne abbiamo seppellito uno ieri. Si chiamava Gianbattista Pagarelli. Aveva cinquantaquattro anni, se l'è mangiato un tumore per le lavorazioni con l'amianto. Stava alla Breda come gli altri quarantatre che sono morti allo stesso modo», racconta Michele Michelino, ex operaio alla Breda fucine pure lui, sbattuto fuori come molti ma mai arreso, adesso ufficio alla cascina di via Magenta, vicino all'ospedale, dove da tre anni esiste il Centro di iniziativa proletaria. «Ci occupiamo di tante cose, a partire da quei morti dimenticati da tutti», spiega, dipingendo Sesto come una città di fantasmi, con le case costruite dalla Falck e dalla Breda che stanno in piedi anche se i reparti sono chiusi, con il terziario che si è mangiato tutto, con le fabbrichette da dieci operai dove lavorano i giovanissimi arrabbiati e senza alcun futuro insieme a quelli che arrivano magari dal Bangladesh, dove sotto le ciminiere degli altiforni non c'è più niente. «E quel poco che c'è si sono inventati di schiacciarlo con sta storia delle stelle a cinque punte sui muri. Ma se le ricordano quelli del Pei, le loro bandiere? Se la ricordano la falce e martello con la stella in alto?», guarda alla tradizione, a una certa retorica che riempie ancora le piazze il 25 aprile e il primo maggio e fa nien- Un'immagine delle acciaierie Falck a Sesto San Giovanni te se poi alle ultime elezioni Silvio Berlusconi con il Polo è arrivato secondo per un pelo. «Della storia di D'Antona non so e non ne voglio sapere. So che a Sesto c'è gente che muore per amianto e il sindacato non dice niente. So che c'è un movimento contro la guerra, contro la Nato, contro il governo e stanno cercando di fermarlo con ogni pretesto», assicura l'ex operaio della Breda, arrabbiato con questa citta schiacciata tra Milano e Monza, dove gli ottantacinquemila abitanti da anni fanno i conti con i prepensionamenti, il lavoro intereninale, il terziario avanzato, la modernità e l'arte di arrangiarsi. «E' vero, non siamo più la Stalingrado, ma non ci hanno desertificato come a Liverpool e Manchester», porge l'altra faccia, quella deU'ottimismo, Addo Buriani, delegato Cgil Ansaldo nucleare da trenta anni, ai tempi dell'Itis di Sesto compagno di classe di Walter Alasia. «Dopo l'omicidio D'Antona non c'è stata mobilitazione nelle fabbriche, ma è anche vero che non si è capito subito quel che stava accadendo...», rassicura, negando che dietro ai simboli scritti sui muri ci siano le stesse storie di venti anni fa. «A Sesto è cambiato il ebma, è cambiato tutto», racconta della svolta epocale, della Cgil egemone, dei Cobas che sono forti ma che in fabbrica i rapporti non so- no tesi e che quelle scritte sui muri, fatte da chissà chi, non sono il segnale del ritorno di tempi passati. «Eppure sono convinto che a Nord di Milano funzioni ancora qualche microrete addentellata a gruppi armati», ripete convinto Antonio Pizzinato, storico segretario della Camera del lavoro a Sesto prima di diventare segretario generale della Cgil e poi parlamentare. «Il 12 maggio, il giorno della trasformazione in legge del patto sociale, hanno gettato tre molotov alla sede dei diesse. Nessuno ha capito che era il segno di un salto di qualità», analizza, con la voglia di affidarsi al fiuto - come dice - per spiegare quello che sta accadendo senza però tirare nel mucchio. «Perché chi strilla c'è sempre, ma non sono mai quelli che sparano. I terroristi sono una cosa diversa», giura lui che li ha visti in fabbrica, che li ha conosciuti sotto queste ciminiere spente e da tempo inutilizzate, se non per disegnare con lo spray la stella a cinque punte. Scorta per il sindaco di Sesto S. Giovanni «Forse il terrorismo qui non è ancora un capitolo morto» Ma ormai le fabbriche sono senza operai