D'Antona, altri messaggi nelle carceri di Giovanni Bianconi

D'Antona, altri messaggi nelle carceri Dopo la rivendicazione degli irriducibili, sequestrata nuova corrispondenza Èra penitenziari D'Antona, altri messaggi nelle carceri Jervolino: radicamento con i vecchi fenomeni eversivi Giovanni Bianconi ROMA Dopo la rivendicazione arrivata dal carcere, l'indagine sul delitto D'Antona si allarga ai contatti veri o presunti tra i brigatisti detenuti e quelli in circolazione, e alla corrispondenza fra i diversi penitenziari d'Italia dove sono rinchiusi gli «irriducibili». Oltre al comunicato scritto dai cinque «militanti prigionieri» di Novara e alla lettera scritta a Trani che ne preannuncia un altro, la polizia penitenziaria ha intercettato almeno altri due messaggi inviati tra br detenuti. Uno è del 24 maggio, spedito da Carla Biano - arrestata nel '91 per appartenenza al gruppo Guerriglia metropolitana, che sta scontando a Novara una condanna a 9 anni e tre mesi - al palestinese Al Molqui, uno dei dirottatori dell'Achille Lauro detenuto a Spoleto: poche righe per manifestare il proprio «appoggio all'iniziativa combattente» contro D'Antona. L'altro porta la data del 30, è partito da Novara per Trani, indirizzato - senza firma ad Antonino Fosso, condannato all'ergastolo per l'omicidio Tarantelli: «Caro Nino, abbiano ricevuto il vostro fax... Questo che ti allego è il comunicato che abbiamo fatto e spedito alle varie riviste come di consueto. Stai in gamba e un saluto ai compagni». Quel comunicato - sottoscritto dai brigatisti del Partito comunista combattente Di Lenardo, Minguzzi, Aiosa, Pizzarelli e Bencini - è la rivendicazione che avalla la «continuità oggettiva» tra le nuove Br e quelle degli anni Settanta e Ottanta, ufficializzando il legame tra «l'intera storia delle Br e l'organizzazione in attività» che ha ucciso il professor Massimo D'Antona. I detenuti dichiarano di «disciplinarsi» alle decisioni prese fuori dal carcere e scrivono: «Sicuramente meglio di noi parla la guerriglia, l'organizzazione Brigate rosse per la costruzione del partito comunista combattente, la sua pratica e il suo programma». Di fronte a questi proclami, il ministro dell'Interno Rosa Russo Jervolino spiega: «Purtroppo si conferma un'intuizione che era stata chiara già subito dopo il ritrovamento del documento delle Br che rivendica l'uccisione di D'Antona, e cioè che ci sia un radicamento con i vecchi fenomeni eversivi». Il ministro assicura che «su questa pista si continuerà ad indagare con grandissima attenzione, ma questo non deve togUere ai cittadini la sicurezza nei confronti dell'azione dello Stato per garantire la serena convivenza civile». I magistrati di Roma hanno acquisito agli atti dell'inchiesta il messaggio intercettato a Novara, mentre giudici di altre città che in passato hanno avuto a che fare con le Br commentano il nuovo segnale arrivato da die¬ tro le sbarre. Secondo il veneziano Carlo Mastelloni «è la conferma che parte dei documenti diffusi in questi mesi e siglati Br siano stati ispirati o rielaborati anche con l'apporto dell'espe¬ rienza degli irriducibili che si trovano ancora nelle carceri di massima sicurezza», mentre per il torinese Maurizio Laudi «siamo di fronte ad un processo di ricomposizione di quello che fu il fronte carcerario delle Brigate rosse». Gli inquirenti incaricati di fare luce sull'omicidio di Roma non si spingono ad ipotizzare indicazioni operative arrivate dai penitenziari dove si trovano gli «irriducibili», ma ritengono possibile che qualche contatto tra i br che hanno ucciso D'Antona e i «militanti prigionieri» - an¬ che tempo addietro, e magari solo intorno a un generico ritorno all'«iniziativa combattente» - ci possa essere stato. E' un'opinione condivisa anche da alcuni ex brigatisti che hanno abbandonato la lotta armata, e che ricordano come prima dell'88 - anno in cui furono arrestati quasi tutti gli aderenti all' organizzazione le rivendicazioni dal carcere avvenivano automaticamente perché si aveva la consapevolezza che, fuori, erano rimasti dei «compagni» ben conosciuti; una rivendicazione «al buio», aggiungono, è difficilmente immaginabile, e quindi è probabile che qualche abboccamento tra l'interno e l'esterno dei penitenziari ci sia stato. I brigatisti che oggi hanno firmato con nome e cognome l'adesione all'omicidio D'Antona sono fra quelli che, nel 1988, non erano d'accordo con lo scioglimento dell'organizzazione, ma scelsero di rimanere in silenzio. Per tutti questi anni haimo continuato ad elaborare documenti destinati soprattutto al dibattito interno, regolarmente pubblicati dal Bollettino dell'Associazione solidarietà proletaria; ora tornano a parlare all'esterno, schierandosi dalla parte di chi spara. Se per anni pistole e mitragliene hanno taciuto, spiegano, è stato a causa «della concreta difficoltà di ricostruzione della capacità offensiva adeguata al livello imposto dallo scontro nelle nuove condizioni». Oggi, evidentemente, quelle difficoltà sono considerate in via di superamento, e la «strategia della lotta armata» ha ripreso quota; le indagini sull'omicidio D'Antona vanno avanti per tentare di bloccarla sul nascere. O rinascere. 1 | I I Il giudice Mastelloni «Forse anche il documento del 27 maggio è stato ispirato 1 o rielaborato da qualcuno | che si trova già I dietro le sbarre» I A sinistra Cesare Di Lenardo rinchiuso nel carcere di Novara Qui accanto il procuratore aggiunto di Torino Maurizio Laudi Sotto il ministro dell'Interno Rosa Russo Jervolino