I conti da capogiro del fondo Monetario di Franco Pantarelli

I conti da capogiro del fondo Monetario Soltanto l'assistenza ai profughi kosovari può costare fino a quattromila miliardi di lire I conti da capogiro del fondo Monetario Danneggiati dal conflitto 14 Paesi, Italia compresa Franco Pantarelli NEW YORK E ora si leccano le ferite e si fanno i conti. Ci sono i danni subiti dalla .Iugoslavia con i bombardamenti e quelli derivanti dai quasi otto anni di sanzioni economiche; i danni subiti dai Paesi confinanti e quelli dei Paesi che in vario modo hanno risentito dell'attività dell'aviazione Nato, e fra questi c'e anche l'Italia. E poi ci sono le spese da affrontare per il ritorno dei profughi kosovari nelle loro case devastate e l'assistenza por quelli che di ragioni per tornare non ne hanno più. Ieri il Pondo monetario internazionale ha diffuso un primo rapporto in cui si calcola che il costo dell'assistenza ai profughi varia da un miliardo e 300 milioni di dollari a 2 miliardi e duecento milioni (vale a dire da circa 2500 miliardi a 4000 miliardi di lire). La variazione è dovuta al fatto che non si sa ancora quanto tempo l'aoperazione ritorno» richiederà. Per sei Paesi, l'Albania, la Bosnia, la Bulgaria, la Croazia, la Macedonia e la Romania, l'assistenza fornita ni profughi del Kosovo ha comportato dei «buchi» nella loro bilancia dei pagamenti. La comunità internazionale ha già stanziato 620 milioni di dollari, ma non bastano perché «il costo del con- ditto e risultato molto più alto del previsto», dice l'Emi. Cosi al più presto possibile bisognerà trovare almeno altri 500 milioni di dollari e forse un miliardo. Poi ci sono altre nazioni danneggiate a vario titolo: per l'assistenza fornita ai profughi, per la diminuzione della loro attività economica durante la guerra e per i «mancati guadagni», soprattutto quelli provenienti dal turismo che la presenza dei raid aerei ha praticamente cancellato. Questi sono l'Italia, l'Ungheria, la Slovenia, la Grecia, l'Ucraina, la Moldova e l'Austria. Una stima concreta dei danni subiti da questi Paesi non è stata an¬ cora fatta, ma per esempio per la Grecia si calcola già che le sue previsioni di crescita per il 1999 dovranno essere corrette con uno 0,5 per cento in meno. A tutto questo vanno aggiunti i danni subiti dalla Jugoslavia, messa in ginocchio dai bombardamenti ma anche dai quasi otto anni di sanzioni economiche cui la comunità internazionale l'ha condannata dai tempi della guerra in Bosnia. Ci sono da ricostruire centinaia di fabbriche, edifici pubblici, case, strade, ferrovie, la cui distruzione ha comportato la disoccupazione per almeno 500.000 persone. A ogni bombardamento, dicono i mezzi di informazione jugoslavi, nel Paese si facevano i calcoli di quanti posti di lavoro venivano perduti. Quando è stata distrutta la fabbrica di automobili «Zastava» di Kragujevac, 36.000 lavoratori sono rimasti a casa. Quando è stata colpita la fabbrica di motori di Valjevo, le persone rimaste senza lavoro sono state 7000. Inoltre, dicono sempre quei calcoli, il 57 per cento delle risorse petrolifere della Jugoslavia sono state distrutte o seriamente danneggiate. E poi ci sono da riparare i danni «collaterali» provocati dai bombardamenti e c'è da rimettere in piedi l'organizza¬ zione delle forze armate, che secondo i calcoli della Nato hanno perso 100 aerei, 314 pezzi di artigleria e 203 carri armati. La somma calcolata per ricostruire tutto ciò va da 50 a 150 miliardi di dollari, cioè da 83.000 a 255.000 miliardi di lire. Prima che il conflitto cominciasse, si calcolava che la Jugoslavia, per tornare ai livelli economici del 1989, avesse bisogno di 29 anni. Ora il periodo necessario viene considerato in 45 anni, a meno che non ci sia un «significativo» aiuto internazionale. Ma ci sarà? I governi occidentali hanno già detto che la Serbia, cioè la Repubblica «principale», non avrà nessun aiuto economico a meno che Slobodan Milosevic, incriminato dalla Corte internazionale dell'Aja per crimini contro l'umanità, non si dimetta o non venga deposto. Quella decisione lascia la porta aperta agli aiuti umanitari per cui la prospettiva, per ora, è che ad essere aiutata sarà soltanto l'altra Repubblica, il Montenegro, oltre naturalmente al Kosovo. I serbi sembrano sapere che la pace per loro non significherà la fine delle sofferenze. Quelli che ne hanno la possibilità, a quanto risulta, lasciano le città e si trasferiscono in campagna, nella speranza di assicurarsi almeno un po' di cibo.

Persone citate: Slobodan Milosevic