«Basta Milosevic, vogliamo elezioni» di Giuseppe Zaccaria

«Basta Milosevic, vogliamo elezioni» A BELGRADO TRA RAID E SPERANZE «Basta Milosevic, vogliamo elezioni» In attesa della pace l'opposizione rialza la testa reportage Giuseppe Zaccaria PER la Serbia stanno per finire i bombardamenti, ma la guerra continua. E più ancora di adesso rischia di essere una guerra combattuta sulla pelle della gente, sulle qualità di vite ridotte a stadio elementare, al puro e semplice stato di sopravvivenza. Tranquilli, la pace col resto del mondo si farà: ormai lo dicono tutti, da Bill Clinton in giù ogni fonte occidentale fa previsioni sulla fine dell'attacco (domani, si pensa) e l'inizio del confronto (questa mattina alle 7 sul contine macedone) fra esperti militari quanto a termini e tempi del ritiro dal Kosovo. I primi soldati d'Occidente potrebbero mettere piede in Kosovo già da mercoledì. Ma se l'arrivo di quest'avanguardia segnerà l'inizio dell'occupazione militare, le altre clausole di pace non indicheranno alcuna schiarita nel futuro di una nazione appena ricondotta al Medio Evo. Ai contrario. I primi commenti inglesi e tedeschi all' approssimarsi dell'accordo già ne smentiscono una clausola: «Con Milosevic ancora al potere - dicono ministri degli Esteri ed autorevoli portavoce - niente aiuti alla Jugoslavia». Questa sera su Belgrado si sta abbattendo una tempesta che ostacola le incursioni, interrompe il caldo torrido e sembra annunciare un clima di tregenda, non solo meteorologico: quello che si abbatterà sul Paese non appena l'euforia per la fine delle incursioni sarà passata e la gente scoprirà ciò che stampa e tv già cominciano a dipingere come l'ennesimo ricatto dei potenti. La logica del danaro che si sovrappone a quella degli accordi, Milosevic che può essere interlocutore se deve ordinare il ritiro del suo esercito, ma non lo è più nel momento in cui si trattasse di ricostruire il Pae¬ se: nella percezione dei serbi, si sta valicando il confine fra il vincere e l'infierire. E' improbabile che lo sgambetto europeo influisca sul processo di pace, lo sfinimento del Paese ormai è totale e la piattaforma del «G8» accettata, anche se cominciano a modificarla. Piuttosto, la Serbia attende con una certa ansia di conoscere la posizione americana a riguardo: l'illusione che fra Milosevic e la Casa Bianca esista una sorta di filo rosso ancora resiste fra la gente comune, contribuendo ad alimentare il mito sull'invincibilità del Capo. La scelta del termine oggi può sembrare grottesca, avendo Milosevic perduto quattro guerre in tre anni: ma all'idea di successo, militare o no, la Serbia ha sostituito da secoli il concetto di valore (o, se si preferisce, di ostinazione). Ed è per questo che il diktat «o Milosevic o soldi» rischia di fallire se, come pare, punta a separare il Paese dal¬ l'uomo che lo simboleggia e lo domina. Per quanto assurdo possa apparire alle nostre mentalità, dal punto di vista dell'immagine il Capo è alquanto cresciuto nell'ottica della sua gente. E se una volta esaurita l'emergenza militare le élites potranno riprendere a disprezzarlo, la gran massa dei serbi considererà le generali sofferenze come un'altra prova da superare assieme, stringendosi in gruppo e chiudendosi ancora di più alle suggestioni dello straniero. Fra meno di quattro mesi questa terra sarà attanagliata dal gelo, priva di carburanti, povera di energia elettrica, zoppa nei ponti e nelle strade, impoverita dalla distruzione delle fabbriche e dalla mancanza di posti di lavoro. Dieci milioni di persone ridotte alla fame, con i gruppi intellettuali destinati a ridursi di numero e peso per sprofondare nel disagio generale. Difficilmente ù potere di Milose¬ vic risentirà di una simile situazione: in Serbia al momento le alternative politiche non esistono e la sola nuova forza affiorata da questa guerra (quella dell'Annata) appare del tutto sotto controllo. Negli ultimi giorni il generale Nejbosa Vutkovic, comandante della Terza Armata, ha preparato con dichiarazioni ed interviste le mosse del presidente. Anzi, per primo ha sostituito l'idea di capitolazione con quella di una dignitosa uscita dall'emergenza dopo una resistenza che non avrebbe potuto essere più eroica. Piuttosto, le immagini del disastro umanitario che coinciderà col prossimo inverno potrebbero pesare sulle coscienze europee, creare nuove polemiche. Il leader di «Alleanza democratica», Zoran Djindjic in un'intervista alla tedesca «Zdf» ha ripetuto che «finché Milosevic resterà al potere non ci sarà autentica stabilità». Zoran Zvitkovic, sindaco di Nis, vice presidente del medesimo partito, in una conferenza stampa ha chiesto «elezioni anticipate per far uscire di scena una dirigenza che ha distrutto il Paese». Rispetto all'anteguerra, però, le opposizioni metropolitane oggi soffrono di un problema in più: adesso vengono dipinte come gruppi di disertori, o peggio di traditori.

Luoghi citati: Belgrado, Jugoslavia, Kosovo, Serbia