Fini: il centro da solo non può vincere di Luigi La Spina

Fini: il centro da solo non può vincere IL PRESIDENTE DS AN EIE RIFORME «IL PREMI ERATO? PARLIAMONE, MA PRIMA DECIDIAMO I POTERI DEL CAPO DELLO STATO» Fini: il centro da solo non può vincere Nasce la via emiliana alpotere: allargare il Polo intervista Luigi La Spina inviato a BOLOGNA ALLA calura arrivano, con evidente sollievo, nell'oasi di aria condizionata del ristorante Diana e sfilano davanti alle foto di Perl ini e di Scalfaro, testimoni sorrìdenti fra i camerieri, dell'imparziale ospitalità politica di questo storico locale. Sono gli imprenditori che si apprestano a salutare il leader di An, Gianfranco Fini, impegnato nel solito frenetico giro preelettorale a base di molte parole, moltissimi chilometri, ma ben rare soste gastronomiche. Le impeccabili grisaglie, i doppie-petti di lino, le bionde e scollate signore hanno solo un fremito quando arriva, col solito sigaro spento in bocca, la giacca a quadri e senza cravatta, Marco Taradash. Ex radicale, antiproibizionista, garantista di ferro, liberale e liberista, e ora in compagnia di chi più, in Italia, si richiama, o si richiamava, allo slogan della elegge e dell'ordine». Alla fine, arriva anche Fini, in completo verdolino, ma sicuramente non leghista. La domanda è inevitabile: ma che razza di partito sta diventando il suo, con Taradash e Segni e con la destra di Alemanno? E' 1'«oggetto misterioso» della politica italiana? «Innanzitutto, non è affatto un oggetto misterioso: che ci sia An nella società e nella politi ca italiana, che conti, che sia molto votata lo vedono tutti. Poi, attenzione: Taradash non è entrato nel partito. Se si dice che Taradash ha chiesto la tessera di An, lui si indigna. E se si dice che io gliel'ho data, io mi indigno. La posizione del partito, sulle questioni che vedono una figura come lui in contrasto, non cambia». E allora, che cosa c'entra con voi? «L'accordo elettorale con lui e con Segni punta a non disperdere quel poco di bipolarismo che in Italia c'è». Ma la verità, naturalmente, non sta solo in questa tur po' romantica testimonianza." D leader della destra' italiana cova, proprio -bella sua Bologna, un sogno fino a qualche anno fa impensabile: la via emiliana alla conquista del potere. Un sogno che spiega i litigi con) Berlusconi per la grande concorrenza al centro che consente non solo di aumentare il bottino elettorale, ma di vincere la partita, per ora del sindaco di Bologna, ma in futuro, chissà, anche di Palazzo Chigi. «Di sicuro, il nostro candidato arriva al ballottaggio. E questa sarà già una notizia che farà il giro del mondo. Si rende conto cosa vuol dire, per la storia di Bologna e dell'Italia politica?». Gli occhi di Fini, dietro le leggere lenti degli occhiali, brillano. Il presidente dei commercianti, il candidato Guazzaloca, gli passa davanti e lui lo saluta chiamandolo già «sindaco». Come se solo la possibilità meriti il premio di una certa vittoria elettorale. Ecco perché la concorrenza nel Polo è dura e la caccia al moderato italiano è senza esclusione di colpi. «Sì, ma c'è differenza tra conflitto e competizione», precisa Fini. «L'esempio di Bologna è indicativo. Ci vuole l'unità per vincere, ma anche l'allargamento dei confini del Polo. Così come abbiamo fatto a Bologna, con un candidato non iscrìtto ad alcun partito:). Ma in una logica bipolare, perché i moderati dovrebbero votare la destra e non il centro di Berlusconi? «Innanzitutto possono votare sia la destra che il centro. Perché anche in Europa, la competizione è tra il centro-sinistra e il centro-destra e non tra la sinistra e il centro. Poi, una cosa deve essere chiara: la De non c'è e non ci sarà più, perché sono cambiate profondamente le condizioni storiche». Sì, ma non c'ò stata un'epidemia mortale di cattolici in Italia. «Guardi, i cattolici non sono dei pacchetti postali che si prendono e si portano di qua e di là. Il cattolico sa benissimo che ha il dovere, non di essere unito in uno schieramento, ma sui valori. Il momento dell'unità è quando, come recentemente avvenuto alle Camere, si arriva al voto». Questa impossibilità di ricreare la De, riguarda anche Berlusconi, che si potrebbe candidare a quella eredità? «Berlusconi è già il centro». Allora perché, in una logica bipolare, l'alternativa non potrebbe essere fra la sinistra e questo centro? «In teorìa ha ragione. Ma, in concreto, questo può avvenire solo se scompare An. Se non ci sono più i suoi voti. Mi sorprende un po' che proprio io, con la mia storia, debba ricordare che la democrazia si fonda sul consenso e non su esperimenti in vitro, come quelli che fa Cossiga». Giusto, ma la democrazia si fa contando i voti, perciò, il candidato premier del Polo non può essere che Berlusconi. Perché vuole invece che sia indicato, dalle primarie? Che non si capisce tra l'altro come si debbano fare? «Che non siano ancora state stabilite le norme è vero, ma il principio è giusto. Se si crede davvero nel maggioritario, vanno fatte ad ogni livello di carica, per individuare il candidato giusto per poter vincere. Il caso Bologna, come altri episodi in passato, insegna e insegnerà». Dica la verità. L'intervista a La Stampa di Berlusconi non le ò piaciuta perché ha visto la conferma dei suoi timori: un tandem D'Alema-Berlusconi alla guida della politica. E, magari, con un clamoroso scambio: il primo che resta al governo e il secondo che va a presiedere una rinata Bicamerale. «Questo scambio è una cosa improponibile. Ma soprattutto è una cosa a cui nessuno crede. Se davvero bisogna fare le grandi riforme non ci vogliono i tandem, ma quei risciò di una volta, quelli a otto posti. Ci vuole il metodo che ha fatto vincere Ciampi per fare le riforme. Tra l'altro, tutte le volte che si è parlato di asse, di tandem, ogni ipotesi è fallita, vedi Bicamerale. L'intesa si può fare se c'è un concerto di dirigenti politici che assumono alcune responsabilità, non se c'è un asse». A proposito di riforme: D'Alema ha rispolverato il premiorato. Berlusconi si è detto prima disponibile, poi, un po' meno. Lei è solo d'accordo sul presidenzialismo? «No. Guardi, l'obiettivo vero è quello di garantire stabilità di governo, una coalizione di governo programmaticamente omogenea e l'impossibilità, dopo il voto, di ribaltare il responso delle urne. La questione, allora, non è la scelta tra premierato o semi presidenzialismo, ma stabilire i poteri del capo dello Stato. Perché un semipresidenzialismo all'austriaca, con un presidente che taglia solo i nastri, non sta bene a nessuno. Ma un premierato, con quelle condizioni dette prima, sta benissimo anche a me». Ricordiamoci che queste sono elezioni europee. E che, oggi, per l'Europa è una giornata importante: il Parlamento serbo ha accettato le condizioni Nato per la pace. Che lezione politica se ne può trarre? «Innanzitutto, è una notizia elle ci riempie di gioia. Certo, si deve attendere che alle promesse seguano, in tempi brevi, i fatti. La lezione è chiara: con certi dittatori, come il nazicomunista Milosevic, comunista per ideologia e nazista per la ferocia, l'unico linguaggio è quello della fermezza». Restiamo ai problemi europei, anche se, per fortuna, meno drammatici. Con la decisione di Chirac, che si appresta anche lui ad entrare nel partito popolare europeo, voi non vi sentite pericolosamente isolati? Allora, non ha ragione Berlusconi, quando dice che i moderati italiani debbono rafforzare il Ppe? «No. Innanzitutto, non credo che Chirac convinca tutti i suoi a seguirlo nel Ppe. Ma poi, fino a quando nel Ppe ci sarà il gruppo di Athena, che è non alternativo alla sinistra, ma consociativo alla sinistra, credo che per persone che, come me, vogliono davvero essere alternativa alla sinistra l'ingresso in quel gruppo non si possa immaginare. E, con me, saranno in molti nel Parlamento europeo. Si ricordi che per vincere contro le sinistre, in Europa come in Italia, la ricetta è unica: il centro si deve alleare con la destra. Altrimenti si perde». E Fini, non ha proprio voglia di perdere. A Strasburgo come a Bologna, come in futuro a Roma. Chi l'ha sdoganato, come ha fatto Berlusconi, sembra dire, non si illuda di poterlo ricacciare nel ghetto. Quel passaporto, neanche U Cavaliere può ritirarlo più. U Non esiste la possibilità che D'Alema e Berlusconi facciano un tandem con Palazzo Chigi e la Bicamerale Magari servirà un risciò a 8 posti li presidente francese Jacques Chine Il presidente del Consiglio Massimo D'Alema In alto il presidente di Alleanza Nazionale Gianfranco Fini Qui a sinistra il leader del Polo Silvio Berlusconi