«L'Uck non consegnerà le armi»

«L'Uck non consegnerà le armi» «L'Uck non consegnerà le armi» Un leader dei guerriglieri: la Nato ha bisogno di noi intervista Vincenzo Tessandorl SE scoppie la pace, l'Uck, Esercito di Liberazione del Kosovo, rischia di finire in naftalina. Il punto 8 dell'accordo prevede infatti la sua smilitarizzazione. Furibondi, i leader dell'Uck hanno dichiarato: «Non consegneremo le armi prima di aver ottenuto l'indipendenza». E Xhavit Haliti, esponente dell'ala dura, lo spiega a chiare lettere: «Se siamo vicini alla pace, è soltanto perché gli attacchi della Nato hanno distrutto parte della macchina di guerra serba. L'Uck cambierà struttura, non scomparirà. Magari diventerà un corpo di polizia di tipo professionale e sarà utile per ristabilire e poi far rispettare l'ordine, in Kosovo, qnindi aiutare i rifugiati. La Nato ha bisogno delle nostre armi e noi siamo disponibili». E ora che la Nato dovrebbe interrompere la sua azione, voi che cosa farete? «Finché non entra in Kosovo, noi continueremo». Xhavit Haliti è sui 40, una faccia larga, occhi piccoli, molto mobili. Oggi è l'ambasciatore qui a Tirana del governo Thaci, quello che si contrappone anche a Bujar Bukoshi. Insomma, è una delle due anime del Kosovo in esilio. Quella più intransigente. Che cosa pensate del fatto che da una parte del tavolo ci sia Slobodan Milosevic? «Che lui non è un interlocutore: è imo sotto inchiesta per crimini di guerra. Loro sono costretti ad accettare tutto ma...». Che cosa? «Salutiamo gli sforzi di Cernomyrdin, speriamo anche che ascolti la voce della Nato. Ma noi non accetteremo forze armate russe se non sotto il comando Nato. Dopo che il Kosovo sarà diventato un protettorato internazionale, l'Uck avrà un ruolo nella ricostruzione, insomma noi saremo coinvolti». Ma quali sono i rapporti fra il suo gruppo e Rugo va? «Noi lo abbiamo invitato, qui a Tirana, ma lui non si fa vedere». E Rugova, per il Kosovo, che cosa rappresenta? «Che cosa rappresenta? Che cosa ci deve dire! Per prima cosa voghamo che ci spieghi la sua posizione e che cosa è successo a Belgrado quando si è incontrato con Milosevic. E poi, beh!, lui è il capo del suo partito, è stato un membro della delegazione a Rambouillet ma è l'unico che non può decidere un bel niente per il Kosovo». Perché? «Non ha competenze». Ecco, il futuro del Kosovo nasce tra queste crepe molto balcaniche, in mezzo a conflitti intestini e scontri sordi che coprono una lotta che si intuisce feroce per la conquista del potere, una volta che sia deciso il ritorno: è ammesso qualsiasi colpo, purché sotto la cintura. Chissà se è una botta proibita anche quel sequestro, da parte della polizia albanese, spesso distratta, di un carico di armi proveniente dal Nord e destinato agli uomini di Bukoshi. Ambasciatore Haliti, che cosa ne pensa? «Niente, non ne so nulla». Qual è il suo punto di vista sulla posizione tenuta dall'Italia? «Che non siamo completamente d'accordo». Perché? «Perché, per esempio, appare troppo timida nei confronti della Serbia. Eppure l'Italia dovrebbe sapere, come dovrebbe saperlo il ministro Dini, che il posto di Milosevic è uno soltanto: davanti al Tribunale dell'Aia per i crimini di guerra e non fra coloro che porteranno avanti le trattative». Lui, Haliti, non ha dubbi: i serbi si sono comportati non da nemici ma da criminali. E con i criminali non c'è che il processo. Del resto, le notizie che filtrano dalla frontiera si accavallano ogni giorno e non sono certo utili ad alleggerire la situazione. Artur Kuko, ambasciatore albanese presso la Nato, proprio ieri a Bruxelles ha denunciato un eccidio nel villaggio kosovaro di Staradran. Secondo la fredda contabilità mostrata dal diplomatico, sarebbero 130 gli uomini assassinati laggiù. «Per can- celiare le tracce del massacro, mercoledì mattina le truppe serbe hanno trasportato sui camion i cadaveri fino a Rakosh, dove li hanno seppelliti separatamente». I serbi, ha aggiunto, bombardano con metodo: «Non abbiamo dati, ma è da presumere che a causa di quei bombardamenti, il numero delle vittime sia elevato». E non è tutto: nella zona di Drenica si aggirerebbero oltre 200 nula sfollati, privi di tutto e nessuna organizzazione umanitaria, fra quelle entrate in Kosovo, è finora riuscita a raggiungere quel popolo di fantasmi. E così gli aiuti, per il momento, finiscono nelle mani della popolazione serba, la quale, per la verità, non si troverebbe in condizioni migliori. Fra mule differenze ufficiali, il vento di pace soffia forte fra gii esuli. Alle Piscine, il campo di Tirana, c'è stato un boato, in quello italiano delle Regioni, a Valona, la gente ha fatto festa: si abbracciavano e abbracciavano i volontari italiani. «Qualcuno ha organizzato all'istante una partita di calcio, i bambini erano i più scatenati», racconta Alessandro Mobona, detto Aquila, di Pisa. «E anche qui si è avuto un riflesso delle nostre regioni: più tìeddim, più contenuti quelli che stanno nelle sezioni Piemonte e Veneto, più rumorosi quelli che sono con la Sicilia, le Marcile, la Calabria, gli Abruzzi». Lo sanno tutti che l'Albania avrebbe preferito una resa senza condizioni da parte dei serbi, ma bisogna pur accettare quello che c'è e così il presidente albanese Rexhep Meidani ha ascoltato con attenzione quanto gli raccontava ieri pomeriggio Robert Frowick, ambasciatore americano ad interim. Poi Meidani ha fatto sapere di non aver nulla da commentare. Domani, forse... «Cambieremo struttura, magari diverremo un corpo di polizia per il dopoguerra» «Continueremo la nostra lotta fino al giorno dell'indipendenza» Sepoltura di un soldato dell'Uck: in mezzo ai guerriglieri c'è la sua bambina Nella foto grande Milosevic durante i colloqui di ieri