Mandela, eroe in pensione di Mimmo Candito

Mandela, eroe in pensione Enorme affluenza, prolungata l'apertura delle urne per le seconde elezioni nella storia del Paese DALLA STORIA AL MITO Mandela, eroe in pensione In Sud Africa votano Mbeki Mimmo Candito inviato a PRETORIA In Africa le albe sono rapide, la notte si fa subito rosa e poi il cielo esplode dentro la luce del giorno. Ma ieri la prima alba non si era nemmeno aperta su questo bellissimo altopiano verde e blu quando, erano appena le quattro, i fuochi della veglia elettorale hanno cominciato a punteggiare l'orizzonte della notte un po' dovunque, nelle foreste fitte del Transkei, nelle terre zulù del Natal, nella provincia bianca di Capetown. Ieri il Sud Africa («tutto», il Sud Africa) votava; era soltanto la seconda volta nei suoi secoli di vita, e molti dei 30 milioni di neri, che avevano ritrovato dignità e identità di persona appena 5 anni fa, non hanno potuto dormire. Nel gelo della notte d'inverno andavano raccogliendosi accanto alle tende dove alle 7 sarebbe cominciato il voto. E aspettavano, in silenzio dentro le ombre lunghe dei fuochi. Ora non sanno neppure dire che questo era il loro appuntamento con la Storia, e che lo sentivano come un dovere forte, che ti tiene sveglio come un tempo accadeva soltanto con le grandi feste, quelle alle quali partecipava tutta la tribù e il giorno e la notte erano uguali e si cantava e si ballava con i tamburi della foresta. «Eh sì, stanotte faceva proprio freddo», racconta ora semplicemente la sua veglia insonne Zsuna Mbalathi, che ancora scaldava sulla fiamma le sue mani nodose di vecchio contadino. I bianchi, sono arrivati più tardi. Non avevano fretta, soltanto sceglievano l'ora nella quale la fila in attesa sarebbe stata più corta. L'anziana signora dai capelli color cielo che ieri a mezzodì se ne stava in coda a Houghton, nel sobborgo più bianco di Johannesburg, e consumava l'attesa leggendo l'ultimo libro di Stephen King, interrogata dal giornalista su quanto tempo stesse prolungandosi quella sua attesa, si è rivolta, leggermente annoiata, al domestico nero che la seguiva. Anche lui in coda, certo, ma a un rispettoso passo da lei. «James, a che ora siamo arrivati?». A sentire che erano già passati 40 minuti, la lady scuoteva con grazia stupefatta la permanente azzurrina. Ma quelle code di gente un po' mescolata, i bianchi tra i neri (anche se a Gallagher c'era un vecchio bianco che se ne stava, tra i neri, con le mani sospettosamente coperte dai guanti), era comunque la ri¬ voluzione che ha cambiato la vita di questo Paese. E se 5 anni fa, nello stesso giorno di oggi, per il primo voto, c'erano stati paura e terrore e morti in ogni angolo del Sud Africa, ieri invece è stata soltanto una festa, che i poliziotti controllavano da lontano cuocendosi la pelle al sole forte di una bella giornata di vento. Il voto è continuato tranquillo fino a notte fonda, perché c'erano code di elettori neri che ancora alle nove - quando i seggi dovevano chiudere - si allungavano a serpente per parecchie centinaia di metri sui terrapieni che stavano attorno alle tende e alle piccole aule delle scuole di campagna. «E noi dobbiamo far votare fino all'ultima persona che, alle 21, sia già dentro il compound», spiegava Derek Jeftha, presidente del seggio di Gallagher Estate, nella periferia bianca di Johannesburg. Era stato mattiniero anche Nelson Mandela, che ha votato tra i primissimi del suo seggio di Houghton, dopo dopo le 7.30, e poi già alle 8 era a far visita al Centro elettorale nazionale, qui, a Pretoria, accolto soltanto da uno sparuto gruppetto di giornalisti ancora semiaddormentati. «Sono felice di aver po¬ tuto votare per la seconda volta nella mia vita. Ma, certo, questa volta sono assai più rilassato che nel '94; anche di questo sono felice». Ha celebrato la sua felicità dando un bacio alla moglie, Graca. Ieri il tempo di Mandela finiva. Finiva il tempo eroico, della lunga lotta di liberazione, degli anni di galera a Robben Island, poi della conquista legittima del potere per la maggioranza nera. Ora il vecchio Presidente se ne va in pensione, accompagnato dal mito di un'avventura personale che ha fatto la storia del suo Paese. Se ne va sorridendo, come sorridendo ha governato. L'altro ieri, a chiudere la campagna elettorale del suo partito, l'African National Congress, era voluto andare nel cuore bianco del mondo dei bianchi, presentandosi all'improvviso tra gli stupefatti passanti del Mail di Sandton e piegandosi a stringere mani che tavolta non sapevano nascondere un imbarazzo genetico. Lui invece sorrideva. «Sapete - diceva - io vado via, e perciò sono venuto a salutarvi. Vado in campagna. Io, sono stato sempre uno di campagna», e faceva vedere i suoi denti bianchi, divertito come solo i vecchi sanno fare. Mandela è stato un'icona, irraggiungibile, intoccabile, santificato dal suo successo e dalla sua generosità. «E' stato anche un grande statista», diceva la giovane signora Jane Voerst, bianca naturalmente, che in coda nel seggio del sobborgo elegante di Sandton ricordava come Mandela, appena liberato dopo quasi 30 anni di galera, «aveva parlato non di rivolta, non di vendetta, ma del dovere di capire e di convi¬ vere, bianchi e neri, tutti assieme». Il compagno della signora, il businessman John Fitzsimmons, assentiva con la testa, ma voleva anche andare oltre: «Con Mandela finisce il tempo della nascita del nuovo Slato, quello nel quale il vecchio combattente ha voluto saldare il debito ai suoi compagni della lotta di liberazione, dividendo il potere tra di loro. Ora basta, ora abbiamo bisogno di uno statista, di un uomo che governi davvero, e che chiami al governo non gli ex-guerriglieri ma i tecnici, i politici, i manager. Il tempo stringe, sennò perdiamo tutti». Mandela ha fatto la rivoluzione politica. Ora arriva il tempo della rivoluzione sociale, che lui ha preparato ma che tocca a Mbeki, suo successore, realizzare. In questo Paese convivono oggi due società, una del mondo ricco e una ancora del Terzo Mondo; se queste due società non riescono a trovare un equilibrio, il voto di ieri sarà stato uno dei tanti rituali delle difficili democrazie dell'Africa. Bianchi e neri in coda insieme ai seggi. Il vecchio Presidente in un quartiere boero di Pretoria «Sono venuto a salutarvi» j fi il3rMb/ ■ i-V- ' *'/ir // ■ H gjiflk^^S B aS j BUn H HHSHbhHhM i-V- ' *'/ir // Il vicepresidente sudafricano Thabo Mbeki è l'erede designato da Mandela per la successione L'l 1 febbraio 1990, dopo oltre 27 anni passati in prigione, il leader dell'African National Congress Nelson Mandela viene finalmente liberato dal carcere di Victor Vester. Lo aspettano migliaia di sostenitori festanti. Inizia per lui una nuova lotta pubblica a vise aperto II 2 inaggio 1994 viene annunciato il trionfo dell'Anc nelle prime elezioni multirazziali del Africa Mandela proclamato Presidente Nel suo primo discorso al Parlamento. il 24 maggio annuncia un piano sociale Sono passati solo cinque anni ma il Sud Africa è un Paese diverso Mandela è riuscito ad assicurare una transizione morbida dall'Apartheid alla democrazia multirazziale. Le contraddizioni restano laceranti ma lui può uscire di scena (nella foto mentre vota nel suo seggio, ieri)