C'era una volta il comunismo di Pierluigi Battista
C'era una volta il comunismo Coreografìa televisiva per il postumo «processo» iniziato a Roma m C'era una volta il comunismo Pierluigi Battista LA scenografia appare sin troppo elaborata e ad effetto. Anzi, si direbbe quasi prigioniera di un'estetica post-moderna che predilige le linee spezzate (una grande stella rossa andata in frantumi) e l'accostamento di stili e piani diversi, come la pedana mobile (stile tragico) dove sono incisi nomi e cifre delle vittime del comunismo sormontata da un grande schermo (stile comunicativo da convention) che riverbera i primi piani degli speakers. Una veste avveniristica e accattivante, come una coreografia di inequivocabile imprinting televisivo, per scacciare il fantasma dell'accusa che inesorabilmente si affaccia in occasione di un'«istruttoria per un processo storico al comunismo mondiale»: non sarà un attardarsi pigro e nostalgico nello spirito perduto della guerra fredda questo riesumare il «processo» al co¬ munismo quando oramai il comunismo è ufficialmente morto da 10 anni? Accusa ingiusta, perché i detrattori del «processo» al comunismo tendono a offuscare la circostanza che quello in corso di svolgimento per ben tre giorni a Roma è sì un «processo», ma che si vuole «storico» e dunque per forza di cose rivolto, storicamente, al passato. E infatti vengono a parlare illustri «storici» del comunismo come Richard Pipes, Robert Conquest (uno dei primi a indagare le dimensioni apocalittiche del «Grande Terrore» comunista) e Stephane Courtois, il curatore di quel Libro nero del comunismo che in Italia ha suscitato molte polemiche e che Berlusconi agitò come icona nel convegno veronese di Alleanza Nazionale provocando uno degli oramai innumerevoli momenti di discordia con l'alleato Gianfranco Fini, che invece in quell'occasione non apprezzò un gesto giudicato alla stregua di un'impropria invasione di campo. Un processo «storico»: e infatti vengono a testimoniare sulle loro vicissitudini Lech Walesa (che regala al convegno un refolo di ottimismo dicendosi sicuro che per almeno «150 anni il comunismo non tornerà») e una figura storica del dissenso anti-sovietico come Vladimir Bukowski, che negli anni scorsi ha faticato assai per trovare un editore italiano disposto a pubblicare il suo libro pieno zeppo di documenti mediti degli archivi dell'ex Urss e che oggi, nel convegno promosso dalla Fondazione «Europe Liberté», litiga apertamente con Vadim Zagladin, gorvacioviano della prima e dell'ultima ora. Un convegno storico, con due curiosità. La prima è che la tre giorni sul «comunismo» si svolge sotto l'alto patrocinio del Quirinale e della presidenza del Consiglio ed è un sicuro segno dei tempi il fatto che a patrocinare un «processo» al comunismo contribuisca anche Palazzo Chigi, dove attualmente siede un noto post-comunista. La seconda è l'appassionata rivendicazione proposta da Paolo Guzzanti della nobiltà dell'«anticomunismo», parola che in passato sembrava quasi impronunciabile sotto l'effetto intimidatorio di un interdetto che attribuiva un connotato patologico («anticomunismo viscerale») a una corrente ideale che invece può orgogliosamente esibire molti meriti storici. Tra le due curiosità un rischio: la tentazione per gli «anti-comunisti» di rinchiudersi in un recinto di puri, di negarsi per principio il confronto aperto con gli «impuri» e i «tiepidi» per fare delibanticomunismo» il valore di uno schieramento e non un valore condiviso. Era così difficile in vitare almeno un «anti-anticomunista»? Ottimismo di Walesa «Non tornerà per almeno 150 anni» Ledi Walesa
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