La città esausta spera nella pace, senza crederci di Giuseppe Zaccaria

La città esausta spera nella pace, senza crederci IL MESSAGGIO DEL POTERE AL POPOLO: DI PIÙ' NON POSSIAMO OFFRIRE La città esausta spera nella pace, senza crederci La televisione di Stato: da oggi la vita del Paese potrebbe cambiare reportage Giuseppe Zaccaria Wfi *#.tV.V> . - * : inviato a BELGRADO UN momento storico», dicono i giornali. La televisione di Stato insiste: «Da stasera la vita della Jugoslavie potrebbe cambiare». Per la visita dei messaggeri di pace? «Studio B» organizza una copertura di tipo americano (pardon, moderno) con aerei ripresi da tutte le parti, mediatori proposti sotto ogni angolazione e rutilanti inviate che coprono di tenute un po' eccessive il grigiore del panorama. Il messaggio rivolto ai serbi è chiaro: offrire disponibilità maggiore sarebbe impossibile. E se altrove non si volesse capire, altre fonti rilanciano verso Occidente identiche rassicurazio¬ ni. Intervistato dalla Bbc, un portavoce del ministero degli Esteri assicura che la Jugoslavia guarda «con mente aperta» a ogni ipotesi di composizione della forza di pace, anche se verso americani, inglesi, tedeschi, francesi c'è «un comprensibile rancore». Il generale Nejbosa Pavkovic, comandante l'Annata del Kosovo, non rimpiange di non essersi ancora trasformato in eroe popolare ed anzi, dopo l'ultimo incontro con Milosevic, rassicura sul fatto che «la soluzione è all'orizzonte», si è vicini «a un accordo pratico» e il Capo è pronto alla «battaglia decisiva sull'ultimo punto dell'accordo». Il famoso ultimo punto, quello da affrontare al più presto prima che si trasformi ancora in penultimo, e poi terzultimo mentre le bombe della Nato continuano a farsi fitte come pioggia. Ma se sul fatto che questa sia l'ultima spiaggia non c'è serbo che non sia d'accordo, pochi pensano davvero che gli incontri di queste ore possano dare origine a una pace duratura. Vuk Draskovic, antenna a geometria variabile degli umori popolari, oggi per esempio si esprime così: «Vicini alla pace? Ne siamo tanto lontani quanto la Nato vuole che sia». Da Vienna Rados Smiljkovic, ambasciatore e grande amico di Milosevic, più volte usato come portavoce improprio, a poche ore dagli incontri di Belgrado afferma che «elementi della Nato si stanno adoperando per soffocare l'iniziativa del G8», ricorda come «ogni qualvolta s'intravedeva un barlume di speranza, la Nato sia intervenuta per spegnerlo». Per una volta l'umore popolare ricalca quasi esattamente le aspettative della diplomazia. E questo stato d'animo si esprime più o meno così: speriamo nella pace, ma non ci crediamo. Come si fa a credervi, insiste Draskovic già detto «l'amerikano», se l'America preme per introdurre ogni volta nuove condizioni, eccezioni, difficoltà? La circostanza merita un piccolo ingrandimento: appena un mese e mezzo fa Draskovic era stato dimesso dalla vicepresidenza federale per l'essersi dichiarato favorevole a un accordo. Adesso perde quel minimo di credito che poteva aver riscosso in Occidente elogiando «la saggia scelta del Presidente di accettare i punti del G8 nonostante l'incriminazione del Tribunale dell'Aia». «Gli americani - continua l'ex oppositore - avevano spinto per ottenerla, convinti che' subito dopo avrebbero incassato un no a qualsiasi tipo di trattativa. Milosevic invece non è caduto nella trappola». Una genufles¬ sione dinanzi al rivale di ieri: se oggi dovesse andar male la Serbia ricomincerebbe a soffrire un po' più compatta, ammesso che ciò possa valere come consolazione. Non è soltanto Draskovic a sostenere queste posizioni. Se la strategia Nato - per dar retta a Jamie Shea - era quella di scavare il terreno intomo a Milosevic, isolarlo, incoraggiare le timide opposizioni interne, le cose non devono aver funzionato, visto ciò che dichiarano oggi i due soli gruppi «eretici» del Paese. L'Alleanza Civica, il piccolo partito di Vesna Pesic, oggi è retta da Goran Svilanovic, il quale fa sapere: «In questo momento tutti i cittadini di Jugoslavia aspettano con ansia la cessazione dei bombardamenti e la risoluzione del Consiglio di Sicurezza. Con la pace vernino anche elezioni libere e un nuovo potere democratico». Perfino il prtito democratico dell'esule Djindjic adesso «condanna con forza gli attacclù della Nato al sistema energetico della Serbia, che possono provocare una catastrofe umanitaria: questo è un tentativo di distruzione sistematica di tutto un popolo». Anche l'opposizione più dura, dunque, sposa la tesi di una preconcetta volontà di annientamento: «Se il governa firma adesso i princìpi del G8, nessun esponente della comunità internazionale potrà più inventarsi scuse per proseguire l'aggressione». Ecco un altro momento di concordanza nelle voci: da Vienna come da Mosca (leggi Borislav Milosevic, ambasciatore e fratello del Presidente) qualsiasi fonte serba esprime il medesimo concetto: accordo sì, capitolazione mai. Come potrebbe un Paese che solo negli ultimi cinque giorni si è visto piovere addosso 1.400 bombe non desiderare la pace? Per arrendersi però bisogna avere le mani libere: e qui almeno 50 mila soldati del Kosovo aspettano nei bunker continuando a imbracciare i kalashnikov.