Pakistan '47, Kosovo oggi così si spartisce il cuore

Pakistan '47, Kosovo oggi così si spartisce il cuore Incontro con la scrittrice Bapsi Sidhwa, che racconta la più sconvolgente pulizia etnica del secolo Pakistan '47, Kosovo oggi così si spartisce il cuore Claudio Gorller MILANO « «1 EZZANOTTE III del nuovo an1/1 no, 1947: l'InII dia acquista la sua indipendenza. Da quel momento i bambini che nascono sono liberi, e non sudditi dell'impero britannico: i «figli della mezzanotte» dell'ormai classico romanzo di Salman Rushdie. A Labore una bambina, Lenny, ha appena compiuto 8 anni, e non si rende ancora conto che le toccherà assistere a una spaventosa tragedia, il caso più sconvolgente di pulizia etnica dell'ultimo mezzo secolo. Lenny e la protagonista narrante di un h romanzo che un recensore americano ha appropriatamente definito «memorabile»: la spartizione del cuore di Bapsi Sidhwa, la maggior scrittrice pakistana di lingua inglese, ora tradotto da Neri Pozza. L'indipendenza indiana coincise con la cosiddetto partition, la spartizione, in forza della quale venne creato uno Stato musulmano indipendente, il Pakistan. La sessantenne Sidhwa, nata a Karachi e cresciuta appunto a Labore, vittima da bimba, come il suo personaggio, di una poliomielite bravamente affrontata e superata, affida alla voce di Lenny una testimonianza che è anche profondamente sua. In teoria la spartizione si sarebbe dovuta realizzare pacificamente, ma accadde l'opposto. Indù e sikh, che si raccoglievano in lunghe colonne per raggiungere l'India, vennero assaliti da bande di musulmani fanatici, uomini e ragazzi assassinati brutalmente, donne stuprate. Ma in India esplose una reazione speculare, e basta ascoltare oggi la voce dei testimoni per conoscere i particolari orrendi delle stragi, la descrizione dei treni che entravano nelle stazioni di Delhi sgocciolanti di sangue. Lenny, per sua fortuna, appartiene come l'autrice a una minoranza millenaria e raffinata, quella dei Parsi, i seguaci di Zoroastro giunti dalla Persia. Viene risparmiata con la sua famiglia, lei che sta lentamente ricostruendo e riscoprendo il suo corpo anche sotto il profilo di una nascente sessualità. Assiste alle stragi, scorge le fiamme che incendiamo il cielo di Labore, e non sa rendersi ragione del perché, ma non cessa di interrogarsi. Bapsi Sidhwa è in Italia per presentare il suo romanzo. La domanda è quasi inevitabile: la tragedia del Kosovo la riconduce dolorosamente a quella della spartizione nel '47? «Senza dubbio. E' la stessa cosa. Ci troviamo ancora una volta di fronte alla eliminazione fisica, alla espulsione dalla propria terra, di popolazioni da parte di altre, nel nome di un odio etnico cicco». E di mi odio religioso? «La religione viene sempre utilizzata in casi come questi per legittimare la soppressione dell'altro». La sua Lenny subisce penosa- mente una perdita di innocenza e riesce a sopravvivere. Questa volta pagano di nuovo gli innocenti. «Sì, e i fortunati che sopravvivono ne recheranno per sempre il segno. Pensi alle donne musulmane stuprate che vengono poi ripudiate dai loro uomini aggiungendo oltraggio a oltraggio. Dico questo perché ho l'impressione che i musulmani stiano ora diventando le vittime designate, i cattivi della storia. Faccia caso: si parla in genere di loro quando fa comodo aggiungere qualche aggettivo che segnala intolleranza. Sembra che siano tutti, inevitabilmente, fondamentalisti. Capiamo bene che ciò è falso. Non dimentichi che in India si verificano a intermittenza uccisioni di musulmani, ma non fanno notizia». Paradossalmente, ora assistiamo all'intervento della Nato contro la Jugoslavia mentre ai tempi della spartizione gli inglesi, adesso implacabili, stettero a guardare e le loro truppe non mossero un dito. «Si figuri. Per gli inglesi, indù, sikh, musulmani erano tutti poveri stupidi e dunque si sterminassero pu¬ re. Perché intervengono ora? Ma gli inglesi sono naturalmente imperialisti, e si sentono posseduti nuovamente da un sussulto imperialista». Si sarebbe potuta evitare la spartizione con il conflitto tra i due vecchi alleati, Gandhi e il musulmano Jinnah? «Non credo. La spaccatura tra i due si verificò nel momento in cui Gandhi, era entrato relativamente tardi nel movimento, vi recò una forte connotazione religiosa. A quel punto Jinnah andò per la sua strada». Nel romanzo la piccola Lenny incontra Gandhi e ne esce un ritratto indimenticabile, tutt'altro che encomiastico. «Gandlii era un politico astuto, ma bisogna ricordare, perlomeno, sia la mortificazione del corpo, che Lenny coglie, sia il suo masclùlismo. Si riconii che lasciò letteralmente morire la moglie allontanando i medici, mentre lui si fece sempre puntigliosamente curare». Dobbiamo allora dire che il gandhismo di Rugova si appropria l'aspetto politico ma non quello religioso? «Certamente». E' giusta una guerra per impe¬ dire la sopraffazione etnica? «Non lo so. Io vedo nell'insieme un quadro terribile. Che entri in gioco la potenza americana mi pare ovvio, d'altronde con le armi accade proprio così: quando si possiedono, prima o poi si desidera usarle». Il personaggio che da il titolo originale al romanzo, il Gelataio, venditore di gelati, di uccelli, seduttore, ruffiano e poi vittima, musulmano legato a una donna sikh - la bambinaia di Lenny, personaggio straordinario e incarnazione della femminilità - fino a scomparire in India alla fine del romanzo, può essere considerato emblematico nel supremo scambio delle parti? «Penso proprio di sì. Il paradosso, la tragedia e pure la speranza si intrecciano precisamente nello scambio delle parti. La salvezza nella quale dobbiamo credere e per la quale dobbiamo batterci sta in questo scambio tra musulmani e indù, serbi e kosovari o albanesi». Come leggiamo alla fine del ventesimo capitolo: «Un idealismo timido e splendido che rappresenta la vera essenza dell'uomo». «Stragi orrende fra indù e musulmani, e neppure Gandhi fu senza colpe Ma allora agli inglesi non importava nulla che noi poveri stupidi ci sterminassimo: perché invece adesso intervengono?» La scrittrice pakistana Bapsi Sidhwa A destra ragazze musulmane riparano dall'India in Pakistan: un'immagine della tragedia del 1947